Una spensierata giustificazione dei crimini di guerra – di Roberta De Monticelli

domenica, 15 Dicembre, 2024
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Riprendiamo qui dal Manifesto (14 dicembre 2024)  la valutazione logica di un editoriale di Galli Della Loggia (Corriere della sera 12 dicembre 2024), dal consueto tono realpolitico (la Storia gronda sangue e lo ha sempre fatto, moralisti e giurtisti levatevi dai piedi). Era stata preceduta il 13 dicembre sul Corriere da una replica di Antonio Bultrini, docente di diritto internazionale. 

Ci sono, in logica, circoli quadrati, volgarmente detti contraddizioni, che in etica diventano dissimulazioni disoneste, peggio che sepolcri imbiancati, perché la coerenza ivi sepolta non è morta per sbaglio, è stata proprio uccisa. Eccone un esempio: “Nell’esercizio del proprio diritto di difesa, Israele è tenuto in ogni caso a rispettare pienamente gli obblighi derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario. Ribadiamo il nostro impegno nei confronti di tale diritto e rispetteremo i nostri obblighi. Sottolineiamo che non ci può essere alcuna equivalenza tra il gruppo terroristico di Hamas e lo Stato di Israele”. E’ la dichiarazione finale del G7 che si è tenuto a Fiuggi il 25/26 novembre scorso, sotto la presidenza di Antonio Tajani.  La pronuncia della Corte penale internazionale (che conferma il mandato d’arresto per Netanyahu e Joav Gallant, come pure per i leader eventualmente sopravvissuti della milizia di Hamas)  è implicitamente evocata nella prima riga (“gli obblighi derivanti dal diritto internazionale”) per essere contraddetta nell’ultima: non sono tutti eguali di fronte alla legge.

E poi ci sono sofismi a castello, che in logica non hanno ancora un nome. Sono come i letti a castello, appunto. Ecco l’esempio. Alla base c’è una petitio principi: “Leggi, trattati e tribunali possono stabilire quanto gli aggrada…. Ma se il mondo ha deciso di andare da un’altra parte si può essere certi che ci andrà”. (Galli della Loggia, La guerra è un crimine di guerra? Corsera, 12 dicembre). Questa è la prima premessa, e per funzionare deve portare con sé il suo non detto: in certi ambiti, non c’è legge che tenga. Se fosse vero, saremmo ancora all’età del bronzo. Ma l’incongruo postulato serve a tutt’altra conclusione. Per la quale ci vuole un’altra premessa. La realtà della guerra moderna è che essa si fa colpendo le popolazioni civili. Dunque il diritto internazionale umanitario non sanziona i crimini di guerra, ma proibisce la guerra trasformandola in un unico crimine…di guerra. Sarebbe una conclusione gradevole per un pacifista, in effetti. Ma è un non sequitur. Un non sequitur ben camuffato, però: dietro un circolo talmente vizioso da diventare vertiginoso. La ragione protesta: proprio perché una guerra non è una necessità né fisica né metafisica, ma semmai il prodotto di decisioni politiche, gli umani si danno vincoli normativi, che all’arbitrio di queste decisioni pongono un limite suggerito da umanità e ragione. Con la stessa spensieratezza l’autore del ragionamento avrebbe potuto concludere che i crimini di guerra non esistono, dato che chi conduce le guerre non osserva di fatto mai la distinzione fra milizie e popolazione civile.

Eppure  Hiroshima e Nagasaki, Dresda, e Gaza, sono episodi che colpiscono non solo per la loro efferatezza, ma anche per la loro mancanza di necessità. Sono crimini di guerra. Dunque i crimini di guerra esistono, e con essi la desiderabilità di perseguirli da parte della comunità internazionale.  Il resoconto storico della pratica bellica secolare, e il diritto internazionale di guerra e umanitario, sono da distinguere come i fatti e le norme, e la fallacia di ridurre le norme ai fatti è la più grande che ci sia.

Come si definirebbe, in etica, questo sofisma a castello? Forse, fallacia cinica.  

 

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