Riprendiamo dal sito di Libertà e Giustizia: 1) un appello di Fondazione Perugia-Assisi, Università degli Studi di Padova, Centro di Ateneo per i Diritti Umani Antonio Papisca, Difendi la Corte Penale Internazionale; 2) un saggio di Domenico Gallo, Il mandato d’arresto per Netanyahu scoperchia l’ipocrisia dell’Occidente, e 3) un saggio di di Roberta De Monticelli. Quest’ultimo racconta la storia epica e tragica di Raji Sourani, l’ avvocato di Gaza da cui era partita la denuncia dei crimini contro l’umanità perpetrati dai responsabili del governo israeliano contro la popolazione di Gaza, giunta recentemente all’ emissione di mandato d’arresto internazionale per il primo ministro e il inistro della difesa israeliani, e per tre leader di Hamas, di cui due certamente già eliminari dalle forze militari israeliane.
Come si giunse al giudizio della Corte Penale Internazionale: una meditazione sulle misure dell’umano.[1]
C’è un modo per misurare il livello intellettuale e morale dei commenti del Ministro degli Esteri italiano alla conclusione del G7 tenutosi a Fiuggi, il 26 novembre scorso, a proposito del mandato d’arresto emesso dalla Corte Penale internazionale per Netanyahu e il suo ex ministro Joav Gallant, oltre che per i leader eventualmente sopravvissuti della milizia di Hamas. Ed è ripercorrere la storia che ha portato infine a questa pronuncia, ricordare i suoi primi protagonisti, tributare loro la riconoscenza e l’ammirazione dovuta a chi sa accendere ancora il fuoco ideale del diritto, solo vincolo all’arbitrio del potere.
Ma per verificare la differenza, diciamo così, di misura umana fra i primi promotori delle inchieste che sono infine sfociate nella sentenza della CPI e alcuni dei massimi decisori politici in Occidente, serve averle in mente queste parole, tanto poco memorabili che sarebbero altrimenti dimenticate subito, e non dovrebbero. Sembrano uscite dalla bocca dei Gendarmi di Pinocchio. “Bisogna capire di che diritto si parla […] Netanyahu in ogni caso non andrà mai in un Paese dove potrebbe essere arrestato. E poi, anche fosse, chi lo arresterebbe? […] Si tratta di un capo di governo […] non di un privato cittadino. È un periodo ipotetico, una decisione inattuabile”. Variazioni vivaci, in stile Commedia dell’arte, al sepolcro imbiancato della dichiarazione finale del G7 di Fiuggi: “Nell’esercizio del proprio diritto di difesa, Israele è tenuto in ogni caso a rispettare pienamente gli obblighi derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario. Ribadiamo il nostro impegno nei confronti di tale diritto e rispetteremo i nostri obblighi. Sottolineiamo che non ci può essere alcuna equivalenza tra il gruppo terroristico di Hamas e lo Stato di Israele”. La sentenza della CPI è implicitamente evocata nella prima riga (“gli obblighi derivanti dal diritto internazionale”) per essere contraddetta nell’ultima: non sono tutti eguali di fronte alla legge.
- Una storia epica e tragica
E allora riviviamola, questa storia di uomini di fede (nella giustizia). 24 giugno 2015, la Palestina siede per la prima volta fra gli stati membri della Corte penale internazionale, all’Aia. Ed è per questo che da allora in poi, che Israele accetti o no la giurisdizione della Corte, le sue sentenze la riguardano e sono vincolanti per tutti quelli che l’accettano, checché ne pensino certi ministri. Ma non era stato facile, arrivarci. Tutto comincia con l’operazione militare israeliana “Piogge d’estate”, la prima delle sei successive che devasteranno la Striscia, nel giugno 2006. L’avvocato palestinese Raji Sourani, fondatore e direttore del Centro per i diritti umani a Gaza, riesce a ottenere un colloquio con il primo procuratore della CPI, Luis Moreno Ocampo, e gli porta una massa impressionante di documentazione, risalente negli anni, di violazioni di diritti umani da parte di Israele. La risposta di Ocampo è netta: nessuna inchiesta avrebbe potuto partire, a meno che non fosse accettata dagli americani. Ma le chances sono pari a zero: gli Stati Uniti non hanno firmato lo statuto di Roma del 1998, che istituisce la CPI. Figuriamoci, proibiscono alla Corte anche di interessarsi alle azioni delle loro truppe in Afghanistan. 14 gennaio 2009. Il diluvio di bombe su Gaza dell’operazione “Piombo fuso” scatena la protesta di migliaia di manifestanti sulle piazze del mondo. A Lione Gilles Devers, avvocato, ex infermiere, a nome di una ragazza quindicenne di Gaza, Amira Al Karem, e col mandato di un centinaio di associazioni, invia alla corte una prima segnalazione. I responsabili dell’Autorità Nazionale Palestinese si muovono: Ali Khashan, “Ministro della giustizia”, e Ryad Al-Maliki, “ministro degli Esteri”, chiedono ragione a Ocampo, alla CPI. E Israele percepisce questa richiesta di ragione come “un atto di guerra”. Il consigliere legale dell’esercito israeliano- uno dei veri giudici-re dei territori occupati, con un telegramma del 27 febbraio 2010, pubblicato da Wikileaks, chiede a Washington di far pressione sulla Corte. Da allora, e nei successivi 14 anni, Israele userà tutti i mezzi in suo possesso (legali, diplomatici e di intelligence) per ostacolarla.
Maggio 2011. Mahmoud Abbas annuncia l’intenzione di chiedere l’ingresso a pieno titolo dello stato di Palestina nell’ONU. Pochi mesi dopo, Ocampo riceve all’Aia l’ambasciatore israeliano: segretamente, perché Israele ignora ufficialmente anche solo l’esistenza della CPI. E decide di chiudere il dossier, prima di lasciare il suo incarico. Se la Palestina vuole chiedere ragione in Corte, prima dovrà essere membro dell’ONU. E che succede a New York? Francia e Regno Unito si dichiarano pronti a votare a favore, ma solo a condizione che la Palestina rinunci a chiedere alcunché alla CPI. Qui Raji Sourani pronuncia una battuta che dovrebbe essere la chiave di una grande tragedia sul gioco dei potenti.
“Mi sarei aspettato che l’Europa ci chiedesse di rinunciare alle armi. Macché. Ci chiedeva di rinunciare al diritto”.
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[1] Un grazie alle fonti di questo testo: Stéphanie Maupas, “Le Monde”, 25/11/2024; Giacomo Costa, “Affaritaliani.it” 23/11/2024; Chantal Meloni 2024, Giustizia universale? Tra gli stati e la Corte penale internazionale: bilancio di una promessa, Il Mulino; Tina Marinari di Amnesty International (comunicazione privata).
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