“Si attende la reazione di Gerusalemme nei confronti dell’Iran”. Salto su dal letto, improvvisamente sveglia. Chi parla? E’ il conduttore (7-13 ottobre) della gloriosa trasmissione di Radio 3, Prima Pagina. Alessandro Campi. Ma come. Un politologo! Uno studioso del realismo politico. Un informatore e una voce del dibattito pubblico, che della verità fattuale – almeno quella – ha bisogno come del pane. Come è possibile, dire “Gerusalemme” fa questo e quest’altro come si direbbe “Parigi” discute con “Berlino”? Gerusalemme non è la capitale di Israele! Incredula, preparandomi di corsa per gli impegni della giornata, sfoglio la posta. Da Whatsapp mi arriva un altro pugno sul naso. Anche Limes! Ecco l’occhiello di un articolo pubblicato il 4 ottobre online: “Lo Stato ebraico prepara una risposta all’offensiva dell’Iran. La capacità di Teheran di produrre un ordigno nucleare in poche settimane rappresenta un rischio esistenziale per Gerusalemme, ma colpire gli impianti della Repubblica Islamica comporta dei rischi non trascurabili”. Un rischio esistenziale per “Gerusalemme”? Lo scrive Limes, la più nota rivista italiana di Geopolitica?
Non è sottile la differenza fra l’ignoranza (involontaria) e l’ignorare (volontario). Per incredibile che sia, si può almeno sperare (è una speranza amara) che sia solo ignoranza quella che fa stampare cose illeggibili su certi libri di scuola: ad esempio Il Pianeta in gioco 2030, che a pagina 167 recita: “Israele è una repubblica con capitale Gerusalemme”. Ma è curioso, perché l’ignoranza non immagina le alternative possibili ai suoi strafalcioni, e invece negli esercizi di fondo pagina, classe terza della scuola secondaria di primo grado – insomma, terza media – si trova il test di verifica a risposta multipla, e l’alternativa che si può spuntare – la prima di due – è “Tel Aviv”.
Gerusalemme fu nel ’47 dichiarata dall’ONU “Corpus separato sotto un regime speciale internazionale” – e “dovrà essere amministrata dalle Nazioni Unite” (Risoluzione 181). In seguito alla Legge fondamentale unilateralmente promulgata da Israele nel 1980 (primo ministro Menachem Begin), Gerusalemme fu dichiarata “Capitale una e indivisibile dello stato ebraico di Israele”. A questo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU rispose, con 14 voti favorevoli, nessun contrario e una sola astensione (USA), approvando la risoluzione 478, che dichiara nulla e vana la legge in questione (e ingiunge l’obbligo per le ambasciate di risiedere a Tel Aviv). Trump lo sfidò nel 2018, spostando quella americana a Gerusalemme, atto non disfatto dal suo successore. Risparmio al lettore i numeri delle risoluzioni precedenti dell’Onu con lo stesso soggetto. Ecco, a proposito di “realismo politico”, inteso però nel senso di Realpolitik, come l’esemplificò una sera il Direttore di Limes in televisione, chiedendosi sarcastico, in presenza della relatrice speciale dell’Onu Francesca Albanese, “c’è ancora qualcuno che crede che il diritto internazionale esista”? Chi abbia letto il libro di Paola Caridi, Hamas sa quale immensa importanza simbolica abbia Gerusalemme per tutto il mondo arabo, e ovviamente per i palestinesi in particolare. E’ impersonale legge della storia, che abbia ragione chi vince? A me pare che usare le parole in modo da seppellirci sotto l’informazione che ho riassunto qui sopra – e uccidere la verità – sia atto di libero arbitrio. Forse perfino satanico, in ogni caso personalissimo. E credo anche che pochi casi come questo dimostrino la verità della frase che Simone Weil scrisse nel 1937 (Non ricominciamo la guerra di Troia) “Chiarire le nozioni, screditare le parole congenitamente vuote, definire l’uso delle altre con delle analisi precise: ecco un lavoro che – per strano che questo possa sembrare – potrebbe preservare delle vite umane.”
Grazie!
È verissimo che lavorare sul significato delle parole serve a preservare la vita. Tutta la storia delle scienze lo dimostra.
La storia politica è più complicata. Il caso dell’ uso mistificato della parola Gerusalemme è illuminante.
Sono molte le parole che andrebbero chiarite, ad esempio “soluzione”.
Si dice che ci vuole una soluzione per risolvere i conflitti. Ma questa pretesa potrebbe scontrarsi col fatto che esistono conflitti che non hanno soluzione.
Può non esistere una soluzione condivisa da tutti e una soluzione imposta con le armi dal più forte potrebbe egualmente non esistere, essendo equivalente a una calamità immane, anche peggio di quelle del XX secolo.
Dunque ben venga l’attenzione a usare le parole in modi corretti o almeno accettabili.
condivido ogni parola dell’articolo di Roberta de Monticelli! Mi indegno per le guerre che negano il valore della comune umanità! Bisogna coltivare la pace
A volte mi sono chiesta perché io non riesca a capire una questione o l’altra. Sicuramente colpevole sarà la mia ignoranza, ma ora ci aggiungo l’uso falso o arbitrario della lingua dei cosiddetti competenti, grazie all’articolo di Roberta De Monticelli.