La democrazia è ancora nella sua infanzia. Rinnovamento etico e ordine mondiale secondo Tomàs Garrigue Masaryk.

lunedì, 9 Settembre, 2024
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Riprendo qui la versione originale di un articolo uscito sul Manifesto in una versione modificata in funzione dell’inserto letterario (Alias, 9 settembre 2024, pdf qui). Davvero l’opera di Tomas Garrigue Masaryk dovrebbe essere rivalutata in toto, come mostra il saggio uscito su “Nuova Antologia” Aprile-Giugno 2024, Tomáš G. Masaryk, il fascismo e la recente pubblicistica italiana sul leader ceco, di Francesco Leoncini, probabilmente  massimo conoscitore italiano di questo autore, oltre che suo traduttore e curatore italiano:  lo rendiamo disponibile perché contiene tutta la bibliografia necessaria a orientarsi negli scritti, tradotti in varie lingue, del grande statista-filosofo cecoslovacco. Rispondendo così alla garbata critica di Francesco Leoncini, che mi rimprovera di non aver citato La nuova Europa, disponibile in italiano, e ringraziandolo delle preziose segnalazioni. 

Riaccende la speranza e il pensiero – due cose che tanto spesso si riaccendono insieme, e forse non per caso –  la straordinaria testimonianza di Yuval Green, il giovane riservista israeliano che già coltivava dubbi sulla liceità morale e civile di una società fondata sull’occupazione dei territori palestinesi, ma che dopo il 7 ottobre ha provato a mettere i suoi dubbi nel cassetto e si è messo a disposizione dell’esercito. Dopo sei mesi, di cui 50 giorni passasti all’interno della striscia di Gaza, Yuval ha firmato con 40 commilitoni una lettera che denuncia l’invasione di Rafah come inutile massacro di innocenti, non mirato a riportare a casa vivi gli ostaggi. E’ l’inizio di una vita da  refusnik? O forse si tratta dell’inconsapevole outing di uno dei 36 giusti che secondo una tradizione talmudica reggono il mondo in ogni generazione, ma non sanno di esserlo: e infatti Yuval non parla affatto di sé ma dei palestinesi di Gaza, che “hanno il diritto di vivere esattamente come noi”, e se parla pubblicamente lo fa sapendo che opinioni estreme, da soluzione finale (“ucciderli tutti”) “sono divenute improvvisamente comuni, normali”; e lo fa per “chiedere alle persone di aiutar[lo]” a spingere verso un cessate il fuoco (La Stampa, 24/08/2024). Questa la speranza.

E il pensiero? Proviamo a riavvolgere la storia del mondo all’indietro di cent’anni, per cogliere nella sua purezza il pensiero che scaturì allora, insieme alla speranza di una civiltà nuova che poteva e doveva nascere dalla “Grande Morte”. La chiamava così, la Grande Guerra, Tomàs Masaryk, uno dei pochi “re-filosofi” della storia, allievo, prima di Husserl, di Franz Brentano, e grande, paterno amico di Husserl, come lui moravo. Su “The New Europe”, il giornale che fondò a Londra durante la guerra, andava sviluppando l’idea di una “politica sub specie aeternitatis”: il solo riscatto possibile di quell’umanità di cui Karl Kraus aveva messo in tragedia “Gli ultimi giorni”. E c’è, in questa location della politica nell’eternità, una certa zolfigna ironia krausiana, dopo “la Grande Morte”. Eppure Masaryk non l’intendeva così. Come allora? E perché mai il suo pensiero dovrebbe illuminare ancora anche noi, e cosa c’entra con il gesto di Yuval? Il gesto di Yuval è l’esatto esempio di quella renovatio mentis, di quel rinnovamento personale radicale che idealmente dev’essere cosa quasi quotidiana nella vita di ciascuno, perché una democrazia possa rifondarsi e vivere. Questo è il nucleo del pensiero che si concretò nell’esperienza della neonata Repubblica Cecoslovacca, che Masaryk riuscì a fondare e di cui fu eletto Presidente, con l’appoggio di Woodrow Wilson. Dopo averlo convinto dell’importanza di una repubblica indipendente nell’Europa Centrale, che facesse da argine al sempre rinascente pangermanesimo, e da ponte alla fraterna Russia, o meglio da calamita democratica al sol dell’avvenire. “La democrazia, in una nuova repubblica democratica, ha bisogno di un uomo nuovo, un nuovo Adamo. L’uomo è una creatura abitudinaria. Se desideriamo una democrazia realmente moderna e coerente dobbiamo rompere con le nostre vecchie abitudini politiche, e abiurare a ogni forma di violenza”. E’ il pensiero più ricorrente del libro che scrisse durante la sua presidenza (uscì nel 1927): The Making of a State – Memories and Observations 1914-1918. Masaryk era non soltanto riuscito a federare su un piede di assoluta parità Cechi e Slovacchi, pur tanto divisi dal gioco dei potenti nei secoli, prima e dopo il felice, breve intervallo dell’indipendenza cecoslovacca (1918-1938, data del Patto di Monaco e dell’annessione dei Sudeti); ma anche a integrare, pur con il massimo grado di autonomia, tutte le minoranze tedesche, magiare, russe. E non per un colpo di fortuna, ma perché riuscì a rendere politicamente maggioritario nel suo parlamento il pensiero che la democrazia è la forma politica dell’organizzazione sociale moderna, la quale è appunto un’innovazione anche morale perché il riconoscimento che tutti sono liberi e uguali e lo sviluppo delle istituzioni della solidarietà non può arrestarsi ai confini nazionali o etnici senza contraddizione. Con le parole di Masaryk: la base etica della democrazia è l’umanità, e l’umanità è un programma internazionale”.

Ricordiamoci ora delle parole di Yuval: i palestinesi “hanno il diritto di vivere esattamente come noi”. Ecco un programma democratico nuovo, che sottrae la questione all’imbroglio sempre più mortifero di Oslo e dei due stati, uno dei quali ridotto al 10 % della sua originaria metà.

Ma che quel pensiero getti luce anche sulla scena oggi atroce del mondo è innegabile. La vera democrazia secondo Masaryk è ancora nella sua infanzia, perché i principi di libertà, eguaglianza e fraternità non si possono veramente applicare dentro le istituzioni di ancien régime che in misura maggiore o minore gli stati democratici hanno conservato, primo fra tutti gli arcana imperii, l’esercizio geopolitico di un potere invisibile e spesso assassino, la distinzione radicale fra politica interna ed estera e il completo rigetto dei diritti universali “all’esterno”. Ma da dove viene la legittimità del potere politico? Masaryk sa bene con che disprezzo i “realisti” politici alzano il sopracciglio sull’idea che la legittimazione possa mai essere etica. Però delle due l’una: o, come nel residuo teocratico che sta nelle costituzioni di alcune democrazie, è divina (si chiama “eccezionalismo”, c’è ad esempio quello americano) – e allora tutto è permesso; oppure è umana, cioè è ciò che agli umani è dovuto, etsi deus non daretur. E allora è “un programma internazionale”. Si chiama diritto internazionale.

 

 

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