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E’ proprio lì, in quell’ammasso di dolore e rovina che è la Striscia di Gaza, che ora brucia l’anima del mondo. Perché lì si consuma quotidianamente una strage che non è solo di corpi e d’anime, è di significato e verità. Forse in nessun altro osservatorio tragico del mondo si vede così bene quanto il bivio fra la speranza e l’abisso, fra la civiltà e la guerra mondiale, prenda avvio dal linguaggio. La prima biforcazione è lì: fra chi lo usa sentendosi impegnato a riconoscere il vero, impegno con cui comincia l’etica – e chi delle parole abusa, per ignorare il vero senza neppure confessarlo a se stesso. Per cancellare i nomi dell’altro. Per chiamare democratico uno Stato che si regge sull’esclusione di una parte dei suoi cittadini dai diritti di nazionalità (Nation-State Act del 2018) e sulla soggezione degli altri, non-cittadini, a un regime d’occupazione sempre più feroce, in quella terra che Israele sognò “senza popolo”.
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