Mentre si conferma che si continua a morire da entrambe le parti del conflitto per poche centinaia di metri, e che i trasferimenti di nuove armi all’Ucraina da parte degli Stati Uniti includono ormai ufficialmente gli ordigni a uranio impoverito, riprendiamo qui questo articolo di Giacomo Costa, pubblicato su Affaritaliani.it Venerdì 1 Settembre 2023. Per un’analisi molto informativa, con dati e date rispetto alle politiche espansive americane, si può vedere qui questo intervento di Domenico Gallo
Per rispondere a questa domanda, non del tutto ovvia, conviene sgombrare il campo da una serie di questioni preliminari che potrebbero, se trattate con sufficiente competenza, compromettere la semplicità e linearità della risposta. Ecco la risposta ufficiale: siamo in guerra con la Russia perché essa ha invaso l’Ucraina, quando è ben noto che le dispute territoriali non si risolvono per via militare. Non possiamo nasconderci che né gli Usa individualmente, né i paesi della Nato collettivamente, sono stati scrupolosi osservanti di questo principio; e che perciò essi in questa occasione mirano ad affermare l’ordine imperiale degli Usa piuttosto che l’ordine del diritto internazionale, pur condannandone a gran voce la violazione da parte della Russia. Ma non insisterò su questa e altre distinzioni, solo richiamandole brevemente.
Infatti ci si potrebbe chiedere se l’invasione non sia la prosecuzione di una guerra che durava già da anni, che allora dovrebbe essere esaminata nella sua interezza, e ci si potrebbe anche chiedere, indipendentemente da questo, se la Russia non abbia reagito a delle pesanti provocazioni. Quali? L’allargamento ad Est della Nato, avvenuto in diverse fasi: Polonia Ungheria e Repubblica Ceca nel 1999, Romania, Bulgaria, Slovacchia, Slovenia, Lettonia, Estonia e Lituania nel 2004, Croazia e Albania nel 2009, Montenegro nel 2017 e Macedonia del Nord nel 2020, culminate nell’annuncio nel 2009 che Georgia e Ucraina sarebbero entrate nella Nato. Forse può essere interessante prendere cognizione di come gli Stati Uniti e la Nato abbiano tentato di mostrare alla Russia la completa infondatezza delle sue preoccupazioni in merito. Infatti la Nato, pur protagonista di interventi militari in Jugoslavia, Afghanistan, Libia, sarebbe, secondo loro in modo evidente, un’alleanza atlantica puramene difensiva. La famosa “Dichiarazione congiunta sul partenariato strategico Usa-Ucraina” del 1° Settembre 2021 andrebbe presa come semmai un segno della considerazione dei due paesi per la Russia. E se Lavrov e Putin non riuscivano o dicevano di non riuscire a credere questo, tanto peggio per loro.
Dunque nel descrivere le considerazioni politiche che motivano il concorso degli Stati Uniti e della Nato –e dunque anche del nostro Paese- alla difesa dell’Ucraina prescinderò da tutte le questioni preliminari brevemente ricordate sopra. Ne farò tabula rasa, e assumerò, come nella narrazione corrente, che un certo giorno, ex abrupto, l’esercito russo sia entrato in Ucraina e sia stato da allora alquanto restio ad andarsene. L’appoggio internazionale non si propone esplicitamente di dettare la condotta della guerra all’Ucraina, anche se la dipendenza dagli Usa e dalla Nato è diventata gradualmente dominante. Quali sono gli obiettivi di tale gigantesco sforzo di cobelligeranza? C’è un obiettivo massimo, espresso dagli Usa nella famosa dichiarazione di Ramstein (26 Aprile 2022): porre la Russia nello stato di non poter più nuocere ad alcun paese vicino, ossia, disarmarla; e un obiettivo minimo, a lungo dichiarato dal governo ucraino: respingere l’esercito russo entro i suoi confini.
L’obiettivo massimo parrebbe presuppore come minimo lo smembramento della Russia, e la sua fine come stato nazionale: un risultato difficilmente conseguibile dal solo esercito ucraino, pur riempito di armi sino non ai denti, ma ai capelli: parrebbe richiedere la partecipazione bellica diretta degli Usa e altri paesi della Nato. Non è chiaro se il Segretario della Difesa Usa Lloyd Austin, l’oratore di Ramstein, e il Segretario di Stato Blinken, o invero il Presidente Biden, si rendessero conto di queste conseguenze, davvero piuttosto estreme. Quindi non ne discuterò nel seguito, concentrandomi sull’obiettivo minimo, lo sgombramento del territorio ucraino.
La bellezza dell’obiettivo minimo sta nella circostanza che, se conseguito, pone fine alla guerra senza bisogno di alcun negoziato. Verrebbe ristabilito esattamente lo status quo ante. Questo si combinerebbe perfettamente con un’altra tesi dell’Ucraina e i suoi alleati, che la Russia non avrebbe alcuna esigenza, alcuna richiesta all’Ucraina da esaminare nel corso di un negoziato. In definitiva, coloro che insistono per il negoziato devono ritenere che la Russia abbia delle pretese legittime nei confronti dell’Ucraina, che potrebbero essere soddisfatte con delle opportune concessioni, territoriali o di altro tipo, in cambio del ritiro dell’esercito russo. Ma non sarebbe così. Costoro sbaglierebbero. L’Ucraina non dovrebbe nulla alla Russia, e quando l’esercito russo fosse stato respinto entro le sue frontiere non ci sarebbe più niente da discutere. Verrebbe così salvato il principio della obbligatoria rinuncia alla violenza nelle relazioni internazionali. Un qualsiasi negoziato darebbe luogo a uno schema di concessioni reciproche, ciò che comporterebbe che la Russia sarebbe in qualche modo premiata per la sua sconsiderata assurda invasione. Questo dovrebbe essere evitato a tutti i costi.
Abbiamo così analizzato la logica stringente di una politica militare mirante a conseguire l’obiettivo minimo. L’altra questione è se la coalizione dell’Ucraina e delle rilevanti forze che la sostengono: più di 40 paesi! siano in grado di realizzare tale obiettivo senza una loro partecipazione diretta alla . Nel corso della guerra le opinioni dei governi dei paesi della Nato e dei loro esperti hanno variato di molto a questo riguardo. L’esercito russo diede soprattutto all’inizio l’impressione di essere in pessimo stato: e l’invasione un tentativo fallito di rievocare i fantasmi dell’Unione Sovietica, montati su carri armati ormai diventati ferrivecchi da far saltare in aria come se fossero stati tappini a corona di bottiglie di birra. Una decina di generali russi, incautamente accorsi nelle prime linee, furono ammazzati in poche ore. Sarebbe bastato che gli ucraini ci credessero, e i fantasmatici scalcinati soldati russi si sarebbero dileguati come la neve al sole. La Moskva, apparentemente inerme, fu affondata. E come dimenticare che molti capi di governo, con Mario Draghi in primis, pensarono che le sanzioni economiche avrebbero messo in ginocchio la Russia in poche settimane? In seguito, il governo ucraino ha imparato a compiere un’audace escalation nelle sue richieste di armi sempre più avanzate e micidiali: se l’esercito russo non fosse respinto, esso presto dilagherebbe fino al Portogallo! E i paesi della Nato, terrorizzati, hanno gareggiato conferire al loro protegé il meglio dei loro armamenti. Ogni nuova generazione di armi chiesta e ottenuta sembrava quella decisiva. Ma parrebbe non esservi invece mai nulla di decisivo. La guerra è diventata ormai una sfida industriale e tecnologica tra gli Usa e la Russia, interessante, per i due veri avversari, in se stessa. Sarebbe anche più interessante se la tecnologia fosse orientata ad evitare del tutto l’uso di guerrieri umani: se fosse possibile ridurla ad una partita di un video-gioco. Ma per ora a questo non si è arrivati. Attualmente, nella fase della “contro-offensiva” ucraina, sembra che muoiano circa 1000 uomini al giorno. Il perseguimento dell’obiettivo minimo comporta che la guerra continui ad oltranza. “Siamo impegnati a combattere sino all’ultimo ucraino”, dicono scherzosamente i politici e militari statunitensi. Avvertono molto chiaramente il limite della politica dell’obiettivo minimo: non garantisce che nel suo ammirevole perseguimento resti vivo un solo soldato ucraino, o resti in piedi un solo pezzo di Ucraina.
Persa la battaglia delle idee sulla “provocazione” dell’allargamento della NATO come causa dell’aggressione russa all’Ucraina, ci si inventa ora che la guerra sarebbe questione industriale e tecnologica. Si scambiano gli effetti con la causa, che resta il bisogno del potere russo, da sempre assolutistico e nazionalistico, di recuperare
, con l’espansione territoriale, il ruolo imperiale d’un tempo, una volta persa la sfida sul terreno economico (in generale) e sulla transizione energetica in particolare.
Con questo tasso di bellicosità le truppe ucraine avrebbero già sfondato le linee nemiche.