Il libro richiama al «vivere personalmente» in quanto sempre connesso a un «vivere socialmente»: il mondo sociale si rivela essere allora il mondo visto e vissuto dalle persone insieme. In esso facciamo esperienza delle cose, non come «nude e crude» ma come qualitativamente caratterizzate: la sedibilità della sedia, la delicatezza della carezza, l’affilatezza della lama, la giustizia del giudice, la sincerità della promessa. Le cose del mondo ci si mostrano sempre come ricche di qualità di valore, senza le quali non sarebbero le cose che sono. Allo stesso tempo, vita personale e sociale sono in relazione reciproca: per esistere in quanto tale, ogni persona deve essere parte di almeno un intero sociale. La «buona vita delle società» dipende da quella delle persone,
e viceversa.
Sono pochi i libri che non ci ingombrano la testa con opinioni o peggio visioni del mondo più o meno prêt à porter, o con risposte a domande che non ci è dato conoscere. Ancora meno sono i libri che offrono veri strumenti, cioè concetti limpidi e pronti a essere usati, per articolare domande vere e provare anche a cercare la risposta. Questo è uno dei pochissimi. È un’ introduzione di Francesca De Vecchi all’ontologia sociale, che affronta questa disciplina filosofica relativamente giovane, ma con profonde raici nella tradizione fenomenologica, da una prospettiva totalmente innovatrice: quella assiologica. L’ontologia sociale non si occupa solo della natura e dell’identità degli enti di cui è fatta la realtà sociale, dal denaro alle istituzioni ai contratti ai tipi di comunità. Ma anche della buona vita di queste cose – delle loro qualità di valore e disvalore, che incredibilmente la tradizione non fenomenologica ha ignorato. Perché come si fa a parlare della società in carne ed ossa, della società in persona, se non possiamo chiederci cos’è guerra, cos’è pace, cos’è corruzione, o come una società promuove o opprime le persone di cui è fatta?
Il saggio di Francesca De Vecchi raccoglie finalmente in modo convinto e rigoroso, l’esigenza fenomenologica di sviluppare un’autentica ontologia del mondo della vita (Lebenswelt), nell’accezione husserliana del termine. Sono molti gli snodi concettuali che rendono questa lettura una fonte preziosa di chiarimenti filosofici e di nuovi spunti di riflessione. Qui mi limito a sottolineare come questo saggio dimostri, a mio parere in modo inequivocabile, la necessità di sviluppare l’ontologia materiale nel suo orizzonte qualitativo, considerando il mondo come il correlato intenzionale di poli noetici essenzialmente e inemendabilmente personali. Proprio ponendo al centro dell’ontologia sociale l’essere personale, che ciascun individuo umano incarna, il lavoro di De Vecchi non solo non cade nel ricorrente errore di ridurre l’ontologia a una serie di vaghe astrazioni teoriche, ma preserva finalmente l’investigazione ontologica da tale vaghezza. Il mondo della vita non è infatti il mondo abitato e trasformato da meri individui (o agenti, o animali sociali, etc.), o da meri aggregati di enti individuali. Esso è piuttosto il mondo abitato e trasformato da esseri complessi e stratificati, che lo abitano e lo trasformano in modo personale, essendo essi motivati dalla pluralità delle salienze qualitative che questo stesso mondo dona. La concretezza del mondo non si riduce alla dimensione microscopica delle particelle e delle loro connessioni fisiche, ma appare prima di tutto nella straordinaria ricchezza delle sue stratificazioni strutturali, così come esse si manifestano qualitativamente attraverso la pluralità delle nostre esperienze personali. Ritengo quindi che il saggio di Francesca De Vecchi offra un contributo molto importante per un rinnovamento quanto mai necessario dell’ontologia, o, se preferiamo, per una riscoperta della sua vocazione originaria. Pertanto, consiglio questa lettura sia agli studiosi che hanno maggiore affinità e familiarità con la fenomenologia, sia a coloro che invece conservano uno scetticismo analitico verso questo tipo di approccio.