In occasione dell’incontro di questa sera
https://us06web.zoom.us/j/88473322509?pwd=UU16UTdYZjYybnBpV3lSOVBNa0NaUT09
riprendiamo qui un articolo uscito su Domani il 19 novembre (scarica qui il pdf) nella versione non tagliata, che appunto cita un’osservazione pertinente – nel caso specifico – di Lucio Caracciolo. La questione che vorrei porgli però è: ma perché questo giudizio tombale e di principio sulla necessitaà di fallimento dell’Unione europea? Anche io ritengo che sia sull’orlo del suicidio se continuerà questa totale assenza di una politica estera sua propria e soprattutto del “pacifismo LEGALE” inscritto nel suo DNA: ma perché penso che non dovrebbe accadere e potrebbe non accadere (dipende anche da tutti noi) – non perché esista una qualche “necessità” nella storia…
Così “europeo” è solo il suicidio
Un incidente come quello che è avvenuto sul confine polacco potrebbe segnare il punto a partire dal quale ogni ragionamento sarà inutile, e la spaventosa meccanica delle alleanze militari girerà sui suoi ingranaggi. Non avverrà questa volta, speriamo. Ma se una civiltà europea verrà nuovamente distrutta fin nelle sue basi materiali, questo aggiungerà solo disperazione a una disperazione che è già lì, rimossa o ignorata dai più, ma (non da oggi) registrata da tutti i sensori della pubblica fede (nel futuro): letterari, artistici, psicologici, politici. Siamo a zero.
E forse è troppo tardi per ricordarlo, ancora una volta: per “Europa”, quando se ne parla come soggetto politico, non si dovrebbe intendere la canea dei sovranismi scatenati sotto l’atlantismo unanime. Bisognerebbe intendere l’Unione europea. Tutti credono di farlo: ma intendono per Europa solo il Consiglio europeo, costituito dai capi di stato e di governo dei 27 paesi dell’Unione, e che simbolicamente include anche la Presidente della Commissione europea. Ben triste simbolismo. La Commissione, nel disegno istituzionale degli Stati Uniti d’Europa (copyright Churchill) dovrebbe essere l’organo esecutivo, cioè il governo d’Europa, in costante dialogo con l’organo rappresentativo dei suoi cittadini (il Parlamento europeo), e con il senato delle regioni europee (il Consiglio, appunto). E invece è oggi la voce da sentire giusto per cortesia quando hanno parlato tutti gli altri, e la parata cacofonica delle sovranità nazionali ha terminato i suoi stanchi riti suicidari. Scrive Lucio Caracciolo sul penultimo numero di Limes, “All’ombra della bomba” che “a Bruxelles l’orchestra “eurocratica” …continua a trarre melodie fuori tempo da parole scritte con l’inchiostro simpatico”. Parole sprezzanti, ma per una volta meritate, purtroppo. Perché Ursula Von der Leyen non sta dando il minimo segno di sapere che esiste in Europa un pensiero dell’ordine globale possibile alternativo allo scenario bipolare The West and the Rest, che già tanto sangue ha fatto scorrere nel mondo, uccidendo a poco a poco le speranze suscitate dalla fine della guerra fredda. Peggio: sembra davvero scritta con l’inchiostro simpatico la risoluzione che avrebbe potuto essere decisiva se attuata, e subito, di una riforma dei Trattati dell’Ue suggerita dalla Conferenza per il Futuro dell’Europa, con la voce di noi cittadini. Nel senso di un’abolizione della regola dell’unanimità, a vantaggio di decisioni a maggioranza qualificata. Condizione per arrivare – per esempio – a una vera modifica del Trattato di Dublino, questo sgorbio giuridico che confondendo prima accoglienza (dove i migranti arrivano) e gestione-distribuzione delle domande d’asilo (necessariamente comunitaria, e non ridicolmente “volontaria”) ha confuso le acque e le regole, generando opacità e arbitri e dolore e morte a profusione lungo l’intero confine dell’Unione. Per non parlare dei passi necessari alla vera creazione di una difesa europea, e quindi della possibilità di una politica estera europea fondata sul “pacifismo legale”. L’espressione fu proposta da Max Scheler alla fine degli anni ‘20. Denunciava l’impotenza della Società delle Nazioni a perseguirlo, e la guerra mondiale che senza un cambio di rotta ne sarebbe seguita. Di lì a dieci anni si vide quanto avesse ragione.
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