Immobilismo o immobiliarismo: Draghi punta sul “modello Milano”

lunedì, 15 Novembre, 2021
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Il Sole 24 Ore sabato 13 novembre ha dedicato alla notizia la prima pagina: “Modello Milano per le città del futuro”. Ribadendo in seconda: “Modello Milano per la legge sulla rigenerazione urbana”. Sottotitolo: “La proposta risolutiva del ministro delle Infrastrutture consente ai comuni di approvare progetti presentati da privati anche prima che sia varato il piano complessivo”. Pare questione che interessi soltanto qualche addetto ai lavori: ingegneri, architetti, amministratori pubblici… Invece è la vera e propria arma letale attraverso la quale il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) entrerà come il burro nelle nostre città e nei nostri territori, cambiando le nostre vite e soprattutto il destino dei nostri figli.

Nessuno ne parla, distratti come siamo dalle polemiche spicciole che ogni giorno la maggior parte dei mezzi d’informazione e la chiacchiera che corre sui social network ci impartiscono.

Di che cosa si tratta? Proverò a esporlo in breve.

Giace al Senato un Disegno di legge sulla rigenerazione urbana, giudicato inadeguato da più parti. Si tratterebbe di un provvedimento importantissimo, benché ancora limitato, perché avrebbe un impatto diretto e di lungo termine sulla più grande “fabbrica” del Dopoguerra italiano: il territorio, le sue case, le sue campagne, le sue montagne, le sue strade, le ferrovie; ma anche le piazze, i parchi, i porti, le coste, i luoghi della produzione e del lavoro, quelli dello scambio e dell’evasione, dove abitiamo e dove ci incontriamo. Non c’è rigenerazione, d’altronde, che non passi attraverso ingenti investimenti, pubblici e/o privati. Anche da questo è sorta la difficoltà, nel nostro Paese, di darsi una disciplina nazionale, coerente e qualificata, alla materia. Dati gli enormi interessi politici ed economici in gioco, infatti, mettere tutti d’accordo è tutt’altro che facile. E allora si è lasciata proliferare una selva di norme, nazionali, regionali, comunali, che rispondono a logiche difformi se non contraddittorie, con effetti che la nostra esperienza, oltre alle statistiche sullo stato di città e territori, testimoniano.

Il piano NextGenerationEU, alquanto maldestramente tradotto in Italia in Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ha messo a disposizione del nostro Paese 191,5 miliardi di euro, in parte a fondo perduto, che fanno gola a molti. Di questi tra i 50 e i 70 andranno agli enti locali: Regioni e Comuni.

Non avere una normativa adeguata per disporne rappresenta un rischio enorme per il Paese, esponendolo a speculazioni di natura elettoralistica, economica, finanziaria, che, sotto il cappello della “rigenerazione urbana” all’insegna della “sostenibilità” (mai parola fu più equivoca e abusata), anziché sanare le innumerevoli vulnerabilità del Paese, le amplificherebbero, con effetti che anche di recente, da Como a Catania, abbiamo potuto constatare.

Questa preoccupazione è stata all’origine della campagna La città cambia, cambiamo le città, che lo scorso luglio, su iniziativa degli architetti Andrea Boschetti e Alfonso Femia, del Milano Design Film Festival, con la collaborazione del bimestrale The Good Life Italia, è stata lanciata con la pubblicazione di una Lettera aperta sullo sviluppo urbano, la cura e la prevenzione del territorio rivolta alla Presidenza della Repubblica, alla Presidenza del consiglio e ai ministri competenti. La Lettera, sottoscrivibile on line, ha raccolto oltre 650 firme di urbanisti, architetti, economisti, professori universitari, intellettuali, semplici cittadini: da Michele De Lucchi a Mario Cucinella, da Roberta De Monticelli a Nadia Urbinati, da Franco Cardini a Marcello Flores, da Salvatore Bragantini a Stefano Zamagni. E lo scorso 23 ottobre è stata oggetto di una giornata di dibattito pubblico, al Teatro Parenti di Milano, durante la nona edizione del Milano Design Film Festival, alla quale hanno partecipato l’urbanista Paola Viganò, l’economista Antonio Calafati, il sociologo urbano Giovanni Semi, il paesaggista Claudio Bertorelli, la giornalista Silvia Botti, gli architetti Andrea Boschetti, Alfonso Femia, Isabella Inti, Gianandrea Barreca, Giovanni La Varra e Alessandra Ferrari del Consiglio Nazionale Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori.

Chiediamoci ora: la notizia cui ha dato tanta evidenza Il Sole 24 Ore deve ridurre o accrescere le nostre preoccupazioni? In fondo, tra le “otto azioni non più differibili” per il Paese che in quella Lettera si richiamano, si trova proprio la necessità di dare finalmente una disciplina nazionale allo sviluppo urbano, alla cura e alla prevenzione del territorio, esigenze a cui anche una legge sulla rigenerazione urbana potrebbe provvedere. L’annuncio in base al quale il ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, starebbe per sbloccarne l’iter, potrebbe di conseguenza essere benvenuto. Il problema allora qual è ? Il cosiddetto “modello Milano”. Di che cosa si tratta?

Chi volesse, tra luci e ombre, farsene un’idea, può leggere un testo pubblicato da due giovani urbanisti, Jacopo Lareno Faccini e Alice Ranzini: L’ ultima Milano. Cronache dai margini di una città (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2021), oggetto proprio sabato 13 novembre di un incontro pubblico al Parco Trotter di Milano organizzato dalle associazioni Città del Sole – Amici del Parco Trotter, B.Cam, Come.In, Padova Viva. È documentato, breve e a tutti accessibile. Vi si parla di una città in crescita economica dal 2015, ma che a fronte di aumento del 6% del Pil ha visto il costo della vita crescere di oltre il 20%; di una città in cui a fronte di investimenti immobiliari di fondi speculativi e costruttori nazionali e internazionali per decine di miliardi di euro, le risorse (per lo più europee) per l’Edilizia Residenziale Pubblica ammontano a un centinaio di milioni; una città in cui 65 mq in affitto, in media, costano 1.300 euro al mese; una città con uno dei più elevati consumi di suolo, ma il cui consumo di suolo continua programmaticamente ad aumentare, con strategie di compensazione del tutto inadeguate; una città con 8.000 alloggi pubblici sfitti, ma 12.000 famiglie in attesa di una casa; una città in cui l’housing sociale non solamente non riesce a coprire quei cronici fabbisogni abitativi, ma neppure quelli di un ceto medio i cui salari non corrono al passo del costo della vita e che, privo spesso di un’occupazione stabile o di una rendita familiare alle spalle, non può né rivolgersi al mercato privato né a quello pubblico; una città in cui processi di gentrificazione sempre più brutali avanzano dal centro alle periferie con effetti espulsivi proprio sotto il cappello di una “rigenerazione urbana sostenibile”.

A Milano l’amministrazione pubblica, nonostante per prima si sia dotata del primo Piano di Governo del Territorio d’Italia, in nome dell’efficienza e della crescita, è diventata sempre di più una stazione appaltante de-regolativa del territorio a fondi e costruttori privati, internazionali e nazionali, che attraverso concessioni pluridecennali “stimolano e favoriscono i grandi investimenti immobiliari”, come il suo primo cittadino ha dichiarato appena rieletto, lo scorso 4 e 5 ottobre. Le decisioni si prendono in Giunta. Il Consiglio comunale è ridotto a una finzione giuridica o a un mero strumento di opposizione “distruttiva”, che ne delegittima a sua volta il ruolo. Siamo arrivati al punto, si pensi al caso della rigenerazione del quartiere San Siro, che partiti interni alla stessa maggioranza di governo sono costretti ad appellarsi a referendum cittadini per contrastare i piani di Giunta.

Naturalmente il “modello Milano” non è soltanto questo. Ma è soprattutto questo: una città che ha accettato che la crescita quantitativa del Pil sia sovra-ordinata alla sua qualità. E che pianifica l’aumento delle sue diseguaglianze, oltre che dei conflitti che ne scaturiscono, inclusi quelli tra cittadini italiani e di recente o remota immigrazione: un terzo della ricchezza prodotta a Milano, infatti, risiede nelle mani del 9% dei suoi abitanti, mentre la città ha il record italiano dei senzatetto, cresciuti di quattro volte in tutta Italia.

Perché dunque Milano dovrebbe essere presa a “modello” da una legge italiana sulla “rigenerazione urbana”? E perché un economista, esperto di statistica, come Enrico Giovannini, ex Presidente dell’Istat, ora ministro delle Infrastrutture, dovrebbe avere le competenze per sbloccare una legge sulla rigenerazione urbana, che certo investe ambiti della nostra vita molto più ampi non solo di quelli coperti delle discipline econometriche, ma anche della costruzione di ponti, ferrovie, gallerie, svincoli autostradali?

Per capirlo vale la pena di leggere questi due contributi, riportati di seguito e consultabili sul suo blog, di Antonio Calafati, economista delle città, tra i firmatari della Lettera aperta sullo sviluppo urbano, la cura e la prevenzione del territorio, che inquadra storicamente e teoricamente il ruolo che il pensiero macroeconomico ha avuto e continua ad avere nelle politiche di sviluppo urbano e gli effetti che ha prodotto e rischia di continuare a produrre sulle città e i territori del nostro Paese.

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Organizzazione spaziale, costi sociali e democrazia di Antonio Calafati

Una scelta che non deve stupire, perché il PNRR è il prodotto di una cultura politica ed economica che non riesce a comprendere l’importanza dell’organizzazione spaziale nella costruzione del benessere sociale; che non ‘vede’ quanti costi sociali genera e quale profonda distorsione nell’allocazione delle risorse produce la traiettoria di sviluppo spaziale che l’Italia sta seguendo.

Intervento alla tavola rotonda “La città esclusiva: architettura e democrazia”

(Milano Design Film Festival, 23 ottobre 2021)

L’agenda urbana delle città italiane di Antonio Calafati

Testo dell’intervista condotta il 7 maggio 2021 dal Gruppo di lavoro di Progetto Italiae coordinato da Giovanni Vetritto presso il Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie (DARA) della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

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Personalmente, alla domanda provo a dare una mia risposta, molto meno competente e articolata, ma spero non del tutto sbagliata. Il motivo per cui un economista esperto in statistica e ministro delle Infrastrutture è così interessato a sbloccare una legge sulla rigenerazione urbana prendendo a modello Milano è che bisogna dimostrare alla Commissione Europea che riusciremo a spendere velocemente i 191,5 miliardi di euro del PNRR e a fare correre il nostro Pil, evitando il rischio di perdere il controllo della spesa pubblica nazionale e locale. Ma siccome nei tempi strettissimi previsti dal PNRR stesso la Pubblica Amministrazione, costretta ormai a una cronica carenza quantitativa e qualitativa di organici, indirizzi e competenze, sembra non riuscire a stare al passo, bisogna snellire le procedure per “stimolare e favorire i grandi investimenti privati”. Sarà infatti sufficiente per gli enti locali riconoscere un “interesse pubblico” in un qualunque “progetto privato” di rigenerazione urbana per poterlo finanziare. Il “modello Milano”, appunto; con tutto quello che, abbiamo visto, comporta.

Immobilismo o immobiliarismo. There is no alternative?

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2 commenti a Immobilismo o immobiliarismo: Draghi punta sul “modello Milano”

  1. Stefano Cardini
    martedì, 16 Novembre, 2021 at 16:13

    È bastato attendere un giorno. Ecco la task force per la rigenerazione urbana: https://www.true-news.it/politics/la-squadra-giovannini-per-la-rigenerazione-urbana-boeri-barel-e-la-prof-vicina-a-morassut?fbclid=IwAR3vSSLfUmORYa3I3J49jOds15cmKiHm9MTVtWA9m5p1DK2F7khDQNTkHJA Interessante che sia evocata, in particolare, la cosiddetta “urbanistica negoziata” e, del DDL depositato in Senato, il seguente passaggio: “La bozza di Ddl a oggi depositata prevede l’istituzione di un “Fondo nazionale per la rigenerazione urbana”. Che a regime potrà contare su 300 milioni di euro all’anno dal 2025 fino al 2036. Tra gli altri punti qualificanti della norma, la rivisitazione della disciplina e dei tabellari in materia di oneri di urbanizzazione da parte degli enti locali, i partenariati pubblico-privati e incentivi fiscali, economici e volumetrici per spingere le operazioni di rigenerazione urbana. Come il “riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale”, si legge, o la possibilità di “delocalizzare le relative volumetrie in aree diverse”. È il modello Milano: cementificare (sussidiati) qui, per forestare (forse) là.

  2. Stefano Cardini
    mercoledì, 17 Novembre, 2021 at 22:46

    Intanto, il Ddl sulla concorrenza disegna un settore pubblico a cui è praticamente vietato gestire qualsiasi cosa, anche i monopoli naturali. Ma il sistema delle concessioni è strutturalmente più costoso della gestione pubblica e praticamente ingestibile: i controlli, nella pratica, sono impossibili. E allora perché? Per ideologia e per favorire un capitalismo al riparo dalla concorrenza (https://www.micromega.net/privatizzazione-servizi-pubblici/). E sì, lo pretende l’Europa… altrimenti niente prestiti.

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