Questo articolo è uscito su “Domani” (20 agosto), in risposta a e dialogo con un articolo di Raffaele Alberto Ventura, uscito su “Domani” il 17 agosto : si può leggere qui – e lo riprendiamo qui nella speranza che qualcuno – magari anche fra quei distratti amici che emettono un giudizio di valore dopo l’altro mentre coprono di disprezzo la ricerca sui fondamenti di evidenza e giustificazione dei giudizi di valore – si decida a rispondere all’argomento “poverohttps://www.phenomenologylab.eu/public/uploads/2021/08/Ventura-Eliot-La-terra-devastata-_-Domani.pdf e nudo” che questo articolo presenta in difesa della tesi che i valori a fondamento dei diritti umani sono universali e non “occidentali”. Saremmo ben lieti di accogliere i suoi contro-argomenti qui. Anche perché la cosa più sconcertante per chiunque tenga al principio di non contraddizione (un valore epistemico) è il riflesso pavloviano con cui quelli che difendono la tesi universalistica vengono immediatamente identificati come occidentalisti, filoamericani, anzi perché no filocapitalisti-mercatisti. Che in confronto perfino Dacia Maraini (“Corriere” 20 agosto: https://www.corriere.it/esteri/21_agosto_20/dacia-maraini-cosa-ci-insegna-coraggio-afghani-quelle-piazze-colme-giovani-donne-67045282-01e4-11ec-9259-e06a1abb2d03.shtml) sembra il lumino stesso della ragion pratica.
“L’orrore! L’orrore!” – Le ha trovate bene, Raffaele Alberto Ventura (Domani, 18 agosto), le parole per commentare gli eventi di questi giorni, la fuga dei funzionari americani ed europei dalla terra devastata dell’Afghanistan, il caos, la disperazione dei molti cooperanti locali abbandonati all’arbitrio vendicativo dei nuovi signori del paese. Perché chiunque le abbia lette le ha pensate riferite a questo scenario, anche se dopo il doveroso aggancio all’attualità la riflessione di Ventura prosegue sul filo di una presentazione della nuova edizione del poema di Thomas Stearns Eliot, La terra devastata (The Waste Land, 1922), a cura di Carmen Gallo (Il Saggiatore). Quelle che aprono l’articolo erano le ultime parole di Kurtz, alla fine di Cuore di tenebra di Joseph Conrad: che, ci ricorda Ventura, “sono l’epitaffio di un secolo d’ottimismo: aperto nel 1789 con la promessa rivoluzionaria di un trionfo della ragione e del progresso, nel 1899 si chiude simbolicamente con la denuncia dei crimini coloniali di quella stessa ragione, di quello stesso progresso. L’orrore provato dal mercante di avorio è quello dell’uomo civilizzato che nel profondo del Congo belga riconosce la barbarie occultata dietro i nostri fragili principi”.
Ha ragione Ventura a evocare quel grido d’orrore. Ha ragione ad approvare la nuova traduzione del poema eliotiano: certo, “devastata”, la terra, non semplicemente “desolata”. La volontà umana c’entra eccome con questo orrore che perfino la mia memoria custodisce fin dagli anni dell’adolescenza, e un frammento eliotiano – non so, non voglio verificare ora – risale color di cenere insieme alle parole strozzate di Kurtz – “Dead mountain mouth with carious teeth that cannot spit…”- morta bocca di montagna dai denti cariati che non può sputare”. Che neppure ci può più risputare in faccia “tutta la sporcizia, la nostra sporcizia, che abbiamo gettato in faccia all’umanità”: queste invece sono parole di Claude Lévi-Strauss, quelle che seguono l’incipit folgorante di Tristi Tropici (1955): “Odio i viaggi e gli esploratori”. Perché è questa sporcizia, tutto quello che è rimasto da vedere agli esploratori dei paesi esotici. Questa “prodigiosa quantità di malefici prodotti di scarto che ora inquinano la terra”, dall’eliminazione dei quali “dipendono l’ordine e l’armonia dell’Occidente”.
Ha ragione Ventura a scrivere che “la catastrofe della modernità lascia una terra devastata”, ma ha torto, torto marcio a confondere i crimini coloniali e la ragione, peggio, ad attribuire alla ragione i crimini coloniali, e gli altri più recenti. Ma non è il solo che sbaglia: anzi è nel mainstream dell’intelletto contemporaneo, che nel suo caso, purtroppo, non sai se sia miglior scrittore o peggior pensatore, ed è questa tremenda combinazione di bravura e irrazionalità, di bellezza e controsenso che rende tanto pericoloso – veramente devastante, oserei dire – questo mainstream. E non sto parlando di qualche intellettuale alla moda. Lo stesso Lévi-Strauss gli darebbe pienamente ragione (gliela dà virtualmente da tre quarti di secolo) quando pensa che l’universalismo etico, giuridico, politico – diciamo, la filosofia dei diritti umani – altro non sia che la pretesa di una particolare civiltà – “la nostra” – di incarnare valori universali. Altri, molti altri, da Heidegger a Carl Schmitt, dagli eredi dell’antropologia culturale francese ai filosofi postmoderni a quelli post-coloniali hanno visto dietro questa “pretesa di universalismo”, iscritta sulle bandiere dei Lumi, del progresso, della dignità, della libertà, della solidarietà, della giustizia – solo la forza bruta dei cannoni nascosti da queste bandiere, o la volontà di potenza dei vincitori, o peggio la macchinazione universale della tecnica, della finanza, dell’Occidente e del suo destino, infine autodistruttivo. Preconizzato del resto fin dagli inizi del secolo scorso – in quel mediocre bestseller globale che fu Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler. Eccola, la terra devastata. “Nietzsche non aveva filosofato invano”. “L’orrore si era semplicemente levato la maschera del progresso: si era passati dalla padella illuminista alla brace fascista”. Così scrive Ventura, e questa tesi fascinosamente correda di richiami a Pound, a Joyce, al Thomas Mann delle Considerazioni di un impolitico – che peraltro si era amaramente pentito dei suoi umori antiliberali e delle sue ironie romantiche sulla civiltà democratica, e già all’epoca della Montagna incantata, prima della catastrofe tedesca. Il fascino resta, però. Questo per dire quanto impari siano le armi, mentre suggerisco che connubio di illogicità e bellezza è la cifra della sofistica quando combatte con la filosofia, povera e nuda. Qui però non è in questione la filosofia, ma quel suo cuore che è anche il cuore di ogni responsabilità e buona volontà in terra, perché è l’etica del pensiero, anche quello che guida il nostro agire: la logica.
Povero e nudo è l’argomento che propongo contro la tesi fin qui descritta. In tre parole: se affermo che non esistono verità, dovrò spiegare se ritengo vera almeno questa affermazione, e se no, che senso ha. Analogamente, se affermo che l’universalismo è solo la pretesa illusoria ma violenta di contrabbandare come universali i valori di una particolare epoca e civiltà – la modernità occidentale; anzi, se affermo addirittura che questa illusione e questa violenza è all’origine della catastrofe della modernità, che lascia una terra devastata – renderò inintelligibile la mia tesi. Perché non è una bella cosa una catastrofe, e neppure lo è devastare la terra. Ma come posso affermare che le cose vanno così male (e non che non piacciono a me o a te) e insieme che l’inizio della catastrofe è l’imbroglio sui valori? Non devo cader vittima di questo imbroglio per affermare un giudizio di valore (catastrofe, devastazione) che pretende di essere vero, constatabile da tutti? O questa tesi fa parte dell’imbroglio? Il risultato è comunque un controsenso.
Possiamo anche dettagliare l’argomento, il risultato sarà sempre lo stesso. Un grido d’orrore esprime disgusto e angoscia di fronte a un male orribile. Ma se Nietzsche “non ha filosofato invano”, bisogna andare al di là del bene e del male, anzi del vero e del falso, questa circe dei filosofi. Al di là del bene e del male non c’è torto né ragione, e tanto meno c’è responsabilità e colpa. Ma invece si punta il dito dell’accusa verso questa “nostra” civiltà, l’Occidente, che “maschera” sotto i nomi dei “suoi” valori inconfessabili interessi di potenza, sfruttamento, dominio. Brutta cosa questo mascherare, cioè occultare il vero, brutta cosa sfruttare, cioè togliere agli altri la dignità dovuta, o addirittura la libertà, per non parlare dell’eguaglianza…. Però, come si fondano tutti questi giudizi di valore? Vogliamo sfuggire al circolo vizioso, spezzandolo insieme col relativismo, e rispondere che si fondano nell’esperienza a tutti accessibile del dolore subito e del male inflitto, che è una buona ragione di aborrirlo, quel male? Per carità la ragione! Quanto più accampa di essere universale, tanto più è criminosa! Dice che non è giusto cancellare il volto delle donne, impedire loro di studiare, e forzarle a maritare chi vogliamo noi? E come può capirlo, una donna afgana? Quelli sono i nostri valori! Del resto, sappiamo che sono solo maschere, che anche da noi dalla padella illuminista si passa alla brace fascista.
Questo modo di (s)ragionare produce devastazioni non solo nelle menti, ma nelle buone volontà su questa terra, dicevo. Perché toglie alle menti gli standard in base a cui giudicare quanto di fatto inadeguate ai principi ideali che si sono date sono ancora le nostre società, le nostre istituzioni, le decisioni di alcuni dei decisori: a partire dalla sciagurata, e poi malissimo condotta, guerra all’Afghanistan. Quanto poco all’altezza della Dichiarazione di Indipendenza del 1776 o dei Principi dell’89 siano stati lo schiavismo americano o il colonialismo francese, ad esempio: e quanto ridicolmente inadeguata alla sua propria Carta sia oggi l’Unione Europea, coi suoi (mediocri) statisti locali, ciascuno dei quali attualmente impegnato a dis-attuare l’impegno comune che questa Carta prevede, a difendere insieme il diritto dei profughi dalle guerre e dalle persecuzioni a trovare ospitalità e asilo presso chi riconosce degna di rispetto e considerazione la loro vita, non meno che la propria. Cioè “noi”. E chi, se no? O forse voi smascheratori di falsi universalismi no?
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