Si discute questa settimana in Parlamento la proposta di legge sulla riforma della giustizia, la cosiddetta “Cartabia”. Che è stata radicalmente criticata nel suo impianto da numerosi e famosi esponenti della Magistratura, fra cui Gian Carlo Caselli, Piercamillo Davigo, Nicola Gratteri. Armando Spataro, figura altrettanto di spicco e ben nota per le sue inchieste coraggiose e la sua indipendenza di giudizio, ha invece espresso e argomentato un’opinione moderatamente favorevole a questo impianto (“La Stampa”, 12 luglio 2021: per leggere l’articolo di Armando Spataro clicca qui). Tanto più dovrebbe interessarci conoscere le sue ragioni. Riprendiamo qui anche l’articolo di Giacomo Costa uscito ieri su “Affari italiani.it”, che ne fa un esame critico e prova a rispondergli.
L’articolo pubblicato su La Stampa del 12 Luglio dal Procuratore Armando Spataro merita la nostra più scrupolosa attenzione per la sua indipendenza di giudizio e fedeltà ai principi costituzionali, dimostrate in decenni di condotta competente e coraggiosa contro diversi nemici del nostro Stato. E che nel suo scritto contro ogni aspettativa egli si ponga a difesa della ‘riforma Cartabia’ deve non costernarci, ma rendere più tesa la nostra attenzione.
La ragione principale della nostra costernazione è che la ‘Cartabia’, come il berlusconiano “processo breve”, interviene sugli effetti e non sulle cause, e pare basato sulla credenza che con la mera promulgazione di “tempi brevi”, e cioè limiti alla durata dei processi in Appello e Cassazione, sia possibile ottenere il risultato desiderato, che è, ricorda Spataro, “la riduzione del 25% dei tempi della giustizia penale”.
Ma nessuno crede veramente a questa magia. Per i processi incompiuti è stata approntata l’improcedibilità, che agisce come una ripresa della prescrizione, e che se ne differenzierebbe solo se facesse salva la sentenza di primo grado, un’osservazione che manca nell’articolo del dott. Spataro. Il ripromesso taglio del 25% nella durata dei processi a quale percentuale di dichiarazioni di improcedibilità darebbe luogo? Il dott. Spataro non si pone esplicitamente questo problema, ma sembra ritenere che sarebbe una percentuale tollerabile.
Questo è forse ciò che ha capito anche il titolista del suo articolo, che ha coniato la formula riassuntiva di “giusto equilibrio tra processi rapidi e garanzie”, che forse significa “giusto equilibrio tra rapidità e improcedibilità”.
Ora, tra le cause della lunghezza dei processi, il dott. Spataro sorprendentemente non lo ricorda, c’è l’affollamento di quelli oltre il primo grado. E tra le cause di tale affollamento, vi sono “le manovre dilatorie degli avvocati per evitare le condanne dei loro più danarosi assistiti”, come dice, ma più in generale la circostanza che agli imputati conviene sempre inoltrarsi nei gradi successivi del processo.
Conveniva prima per tentare di ottenere l’assoluzione, e in mancanza di quella la prescrizione (se non ricordo male Berlusconi è otto volte prescritto) e converrà ora per ottenere l’improcedibilità, dato che con essa si intende cancellare la sentenza di primo grado. Questi istituti sono, se non accuratamente filtrati, cause del loro stesso abuso. Il dott. Spataro respinge con un certo sdegno queste considerazioni sostenendo che “è offensivo per l’intera classe forense generalizzare l’abuso mirato di strumenti dilatori, come per i giudici che non sappiano disinnescare tali strumenti”, ma io temo che questo argomento ignori la realtà così ben descritta nel suo libro La giustizia ingiusta, 2005, dal compianto Gerardo d’Ambrosio: il nostro c.p.p. mette nelle mani di un difensore abile e fantasioso infinite risorse dilatorie, pienamente legittime. E nello sterminato esercito dei nostri avvocati penalisti, non mancheranno quelli che sapranno servirsene con successo.
Altre cause sono “il deficit di organico (di magistrati e di personale amministrativo) e di strutture”, e ci si sarebbe potuti aspettare che un governo apolitico come l’attuale qui si concentrasse piuttosto che sull’impianto del processo penale: sull’“assestamento delle strutture informatiche e delle procedure digitali”, dei cui effetti sulla durata dei processi non sembrano esservi stime quantitative, ma che potrebbero essere rilevanti. Se lo fossero, la reintroduzione della prescrizione sarebbe accettabile, ma non più necessaria.
Per leggere l’articolo su “Affari italiani.it” : https://www.affaritaliani.it/politica/giustizia-la-riforma-cartabia-davvero-equilibrata-come-dice-spataro-750664.html?refresh_ce
La ragione per cui credo che la questione dibattuta in questo post abbia una grandissima rilevanza FILOSOFICA è la stessa che mi spinge a fare questo commento. E cioè: in materia di giustizia penale – questa è la tesi – quello che conta, ovvero quello che chi si rivolge alla giustizia chiede è L’ACCERTAMENTO DI VERITA’, ESSENZIALMENTE (SE VI E’ UN COLPEVOLE; CHI E’, E DI COSA) E SOLO PER ACCIDENS LA PUNIZIONE DEL COLPEVOLE (per questa ragione sulle modalità della punizione si può anche discutere, come fa ad esempio con radicalità Gherardo Colombo che addirittura nega l’utilità delle pene carcerarie. Sostengo questa tesi non come vera di fatto, perché molti che chiedono giustizia sono mossi solo da cieca rabbia, ma di principio e diritto, perché l’indignazione vera, come il dolore vero, ha ragioni, ha una domanda, ha un pensiero, e in questo si distingue dalla cieca rabbia e anche dal risentimento. Ora, se la prescrizione contiene una pur flebile traccia di memoria della circostanza che una domanda ci fu, e un dubbio, e magari molto di più di un dubbio, se ci fu addirittura una condanna (e per questo al laico che io sono sembrerebbe ragionevole che la possibilità di prescrivere cada dal momento che una condanna ci sia); sembra proprio, invece, che l'”improcedibilità” NON SERBI PIU’ NEPPUR MEMORIA di ciò che fu chiesto, e dubitato, e magari perfino, pur fallibilmente, accertato (in caso di condanna rispetto a cui si sia fatto ricorso in appello). Ed è questo che – ai miei occhi laici, e salva restando la possibilità che mi sfugga qualcosa in termini di diritto penale – concorderei con chi ha nei confronti della riforma Cartabia (così come pare che sia) obiezioni radicali.