“C’è bisogno di memoria per ricordare che la società civile nel passato, riconoscendo che il crimine più grave ed impunito è il silenzio, si è data lei stessa uno strumento come un tribunale: sul Viet Nam 1966/67 e sulle dittature dell’America Latina 1974/76 con personalità come Bertrand Russell, Jean Paul Sartre, Lelio Basso…”
Ce n’è bisogno, sì. E anche di rompere il silenzio, e non con grida soltanto. Questo testo è comparso ieri sulle pagine de “Il Fatto Quotidiano”, e siamo onorati di riprenderlo qui.
Gaza: la metafora del mondo.
Dove fermeremo l’asticella dei diritti negati e che su questo limite ci batteremo tutti assieme?
Il fuoco si è fermato a Gaza. Si sono contate le vittime: 12 civili israeliani e 250 palestinesi uccisi, 60 dei quali bambini, 1200 feriti che intasano ospedali di Gaza già collassati dal Covid e danneggiati dalle bombe.
E’ finita. Pochi giorni di attenzione e i media non ne parleranno più.
Ma a Gaza si continuerà a morire per queste bombe, per quelle di prima e di prima ancora, in attesa delle prossime.
Queste hanno distrutto strade, 500 case, generato 60000 senza tetto, danneggiato 5 linee elettriche, semi distrutta la già disastrata rete idrica e fognaria, i pozzi, le stazioni di pompaggio, gli impianti di desalinizzazione, paralizzato il già precario sistema sanitario e bloccato i già pochi e difficili tentativi di vaccinazione.
Si muore e si morirà sempre di questo a Gaza. Il tasso di mortalità infantile è tra i più alti del mondo ed è per l’acqua infetta. Perché Gaza è Gaza.
Non entrano i materiali per riparare le reti idriche, fognarie ed elettriche, la falda è esaurita assorbe acqua salata e infetta dalle fogne. Nessuno costruisce infrastrutture che portino l’acqua dall’esterno.
Impossibile a Gaza rispettare le norme igieniche di lavarsi le mani più volte al giorno.
Non vogliamo sottrarci alle analisi sulle vecchie e sulle nuove responsabilità, su come distribuirle tra Netanyahu e Hamas con i loro progetti criminali che si intrecciano. Non vogliamo parlare di geopolitica, tutto è stato già detto e discusso. Forse è solo necessario esprimere l’indignazione ragionata per la politica capace di “usare” i numeri e le statistiche delle vittime per fingere un interesse, simulare un diritto internazionale morto da tempo.
Vogliamo per un momento partire solo da Gaza per guardare al mondo.
A Gaza le bombe si sovrappongono e si confondono con l’assenza di tutti i diritti umani che ognuno di noi continua ad elencare da tempo: la democrazia, l’autodeterminazione, la dignità, le libertà e… infine l’acqua. Sempre in fondo, aggiunta all’ultimo momento.
Forse, va invertita la scala delle priorità, va fermata l’asticella su ciò che vogliamo susciti ancora qualche passione universale: l’acqua pulita e la salute i diritti umani fondamentali, i più violati e dimenticati.
L’acqua è il più materiale, il più sacro dei diritti. E’ antico come la genesi, salvaguardato nelle guerre greche, eppure dimenticato.
A Gaza questi fondamentali diritti alla Vita sono negati.
Gaza è la metafora dello scarto portata all’estremo, è un occhio su come si prospetta il mondo futuro.
Una striscia di terra lunga 36 km e larga 10.
360 km2 in cui sono stipati 2 milioni di persone, delle quali 600 mila bambini, un popolo di profughi, dall’età media di 20 anni, una delle più alte concentrazioni demografiche del mondo. Un pericolo pandemico per il Mediterraneo e la stessa Israele.
E’ una discarica umana, chiusa da una parte e dall’altra, dalla quale non si fugge a nuoto o coi gommoni, nemmeno quando piovono le bombe….chi li accoglie?
Il diritto all’acqua: nemmeno la guerra lo dovrebbe distruggere.
E’ stato affermato da una Risoluzione dell’Assemblea delle Nazioni Unite nel 2010, che recita:
“ il “diritto all’acqua potabile e ai servizi igienico sanitari è un diritto dell’uomo essenziale alla qualità della vita ed all’esercizio di tutti gli altri diritti dell’uomo”….Pensiamoci: più d’ogni altro diritto umano. E’ la prima volta che ciò viene affermato e reso giudiziabile.
Solo che non lo sa nessuno, nemmeno le vittime e non c’è protocollo tra nazioni e nessun tribunale internazionale che sanzioni chi non lo rispetti.
C’è bisogno di memoria per ricordare che la società civile nel passato, riconoscendo che il crimine più grave ed impunito è il silenzio, si è data lei stessa uno strumento come un tribunale: sul Viet Nam 1966/67 e sulle dittature dell’America Latina 1974/76 con personalità come Bertrand Russell, Jean Paul Sartre. Lelio Basso… E dal 1979 opera il Tribunale Permanente dei popoli e un tribunale Russell sulla Palestina ha tenuto le sue sessioni negli anni precedenti ad un altra tragica operazione su Gaza..
Non si tratta di inventare nulla di nuovo. O forse si, per immaginare relazioni internazionali diverse. C’è un Forum dei movimenti dell’acqua italiano e internazionale con cui relazionarsi.. Si tratta di mettere la lente di ingrandimento su due diritti negati premessa e indicatori di ogni altro diritto. Metterli a fuoco, non occasionalmente e nei giorni di cronica del prossimo evento: da parte di magistrati, medici, avvocati, intellettuali, Rappresentanti della capacità di civiltà della società: perché diventino “processi”, presa di coscienza, cultura giuridica, di democrazia e impegno di giovani.
Rilanciarli in quanto parlano alle nuove generazioni del futuro del nostro mondo. Ci parlano della crisi dell’acqua e delle guerre che il suo possesso generano, di 700 milioni di profughi previsti dall’ONU dal 2030 e delle discariche umane turche, libiche, sub sahariane ecc… Ci parlano di quotazione in borsa dell’acqua, di pandemie, di vaccini, di multinazionali, di farmaci negati. Delle diseguaglianze, quelle grandi, quelle collettive, che si misurano con la vita e la morte di milioni di persone. Ci parlano di indifferenza e di impegno.
Dacia Maraini – Piero Basso – Don Virginio Colmegna – Emilio Molinari Stefano Nespor – Moni Ovadia – Armando Spataro
27/5/2021
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