In occasione della prima sortita a Bruxelles, riporta Europa Today, citando il quotidiano francese Le Monde, il Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi si sarebbe opposto all’invio a Paesi africani di 13 milioni di vaccini oltre che alla prosecuzione del piano Covax per una loro distribuzione a prezzi calmierati ai Paesi poveri. Sempre secondo Europa Today, è notizia del 5 marzo, anche il Presidente francese Emmanuel Macron sembrerebbe orientato a opporsi all’invio di dosi di vaccini a Paesi extraeuropei.
Pubblichiamo di seguito alcuni stralci dell’intervento evidentemente sempre più attuale di Massimo Florio all’evento in streaming Disuguaglianze nell’epoca delle crisi. Un anno di vita e più utili che mai: le nostre 15 proposte organizzato lo scorso 25 marzo 2020 dal Forum disuguaglianze diversità. A cornice, una ricapitolazione delle divisioni in atto tra i Paesi sulle politiche vaccinali in questo intervento di Peter J. Hotez Dean, National School of Tropical Medicine, Baylor College of Medicine. Un’ipotesi d’impatto della pandemia sulle economie dei Paesi poveri e di riflesso su quelle dei Paesi ricchi, in questo intervento di Hanne Beirens, Director Migration Policy Institute Europe.
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Il modello di business dell’industria farmaceutica è focalizzato in primo luogo sui farmaci ‘blockbuster’ da un miliardo di dollari di fatturato annuo. Questi farmaci hanno come tipici bersagli di mercato le patologie croniche, come il colesterolo alto, il diabete, l’ipertensione. Un farmaco per il colesterolo come Lipitor ha generato da solo in meno di venti anni 150 miliardi di dollari per Pfizer. Certi tipi di cancro si prestano anche a terapie a lungo termine che assicurano alti profitti. Rea et al. (2018) illustrano con numerosi esempi come la ricerca farmacologica esplorativa – con i relativi rischi – è sempre più svolta inizialmente da gruppi nelle università e nelle piccole start-up, con considerevoli finanziamenti pubblici, mentre le Big Pharma scendono in campo quando l’investimento appare promettente in termini di mercato geograficamente ampio e regolarmente crescente nel tempo. Non sono prioritarie le malattie infettive che danno luogo ad epidemie locali, spesso in aree a bassa capacità di spesa (Ebola in Africa), o che comunque una volta spenta l’infezione non assicurano un mercato interessante e commisurato ai rischi della ricerca su bersagli mutevoli. Potenzialmente una pandemia, come quella in corso, offrirebbe un mercato globale, ma per sua natura non dà luogo a condizioni croniche: le persone guariscono e si immunizzano oppure muoiono entro un lasso di tempo relativamente breve. Non è un mercato stabile su cui investire, a meno che i governi non offrano alle società farmaceutiche cospicui sussidi per spingerle a fare ricerca. Lo sta facendo ora (Marzo 2020) il governo degli USA, con oltre un miliardo di dollari destinati ai National Institutes of Health (che dipende dal ministero della salute) e ad altre agenzie che a loro volta li gireranno in ultima analisi alle imprese del settore farmaceutico. Le quali -grazie al loro imbattibile lavoro di lobby- hanno ottenuto che il Congresso respingesse un emendamento dei Democratici alla legge da oltre duemila miliardi di dollari, appena approvata, per fare fronte alla crisi economica e sociale da coronavirus. L’emendamento mirava a stabilire un controllo dei prezzi di vaccini o farmaci che fossero ottenuti grazie ai fondi pubblici di ricerca dalle imprese private. Non solo l’emendamento è stato respinto, ma addirittura è stato invece inserito un dispositivo nella legge che esplicitamente impedisce al governo di porre limiti ai prezzi che potranno essere richiesti dalle imprese farmaceutiche che brevetteranno farmaci per il COVID-19 (Mazzucato e Momenghalibaf 2020).
Il sistema di ricerca biomedica è malato di una distorsione della missione, di una contraddizione insanabile fra le priorità della scienza per la salute e della scienza per il profitto. Questa patologia si può curare con una radicale scelta politica: una grande infrastruttura pubblica europea che intervenga su tutto il ciclo del farmaco: ricerca, sviluppo, produzione e distribuzione. Non una ennesima inefficace agenzia di regolazione, ma una impresa pubblica ad alta intensità di conoscenza nello spirito della proposta n.2 del Forum, cui rimando. Un luogo come il CERN a Ginevra, che funzioni sia come hub fisico per migliaia di ricercatori residenti che come hub virtuale per decine di migliaia di ricercatori e medici in collaborazioni globali, che decida le proprie priorità in base a ciò che la comunità scientifica e i sistemi sanitari pubblici indicano. E che si riservi – per donarne al mondo i frutti – la proprietà intellettuale delle scoperte, con il diritto di produrre o di dare la licenza a terzi a prezzi accessibili farmaci, vaccini, tecnologie.
Uno schema analogo è stato proposto per gli USA dal think tank Democracy Collaborative (Brown 2019). Prevede a) un istituto di ricerca e sviluppo del farmaco, a livello federale, che si impegni su tutto il ciclo della ricerca farmacologica (inclusi i trials clinici), eventualmente da collocare presso i già citati National Institutes of Health in Maryland; b) varie imprese pubbliche di produzione a livello regionale, statale o municipale per produrre questi nuovi farmaci o generici da vendere a basso prezzo; c) distributori all’ingrosso anche essi pubblici, come il servizio postale pubblico; d) le farmacie private al dettaglio e gli ospedali potrebbero quindi contare su una offerta accessibile per prezzi, scorte e rapidità di consegna; e) i pazienti potrebbero così accedere alle cure sfuggendo alle condizioni monopolistiche oggi prevalenti sul mercato che direttamente o indirettamente finiscono per pagare.
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(leggi on line l’intervento integrale o scaricalo in formato Pdf)
Il 5 marzo The Guardian ha pubblicato un editoriale in cui Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell’OMS, si è scagliato contro il sempre più grave apartheid vaccinale. Tedros non pone “soltanto” una questione di valori: rallentare l’immunizzazione della popolazione globale vuol dire protrarre i tempi della ripresa economica. Mentre finora, a livello globale, sarebbero state somministrate solo 225 milioni di dosi, di cui la stragrande maggioranza nei paesi più ricchi — c’è solo una soluzione, sostiene: superare, almeno temporaneamente, il meccanismo della proprietà intellettuale dei brevetti.