Autorizzati dall’Autore riprendiamo questo intervento pubblicato oggi su Facebook da Marcello Flores, storico che con l’amico e collega Giovanni Gozzini ha pubblicato diversi libri, tra i quali recentemente Il vento della rivoluzione. La nascita del Partito comunista italiano (Laterza).
Conosco Giovanni Gozzini da oltre 35 anni e da 30 sono suo collega e amico, abbiamo insegnato e ricercato insieme, abbiamo scritto dei libri in comune, l’ultimo uscito poco più di un mese fa. I suoi insulti a Giorgia Meloni mi hanno colpito duramente, tanto mi paiono estranei alla persona che conosco, penso, così bene. La spiegazione che mi sono dato, e che ho dato anche a Giovanni, è stata di un’improvvisa regressione infantile, che potrei chiamare da «spogliatoio maschile», e in cui le trasmissioni alla radio che ha contribuito da giovane a fondare rendono evidentemente più facile cadere e sprofondare. Un momento di totale e assurdo obnubilamento, di cui Gozzini ha pubblicamente chiesto “umilmente perdono”. Le reazioni che si sono avute alla deprecabile uscita di Gozzini sono state diverse ma tutte, con qualche rara eccezione, accomunate da uno stesso metodo. Da una parte c’è stato chi – schierato politicamente con Giorgia Meloni – ha chiesto di impiccare Gozzini, di ucciderlo, di licenziarlo in tronco, di fargli tutto il male possibile e anche di più.
Da un’altra ci sono state molte donne che si sono indignate a tal punto da ritenere quelle sue parole il suo vero sentire, il suo vero pensiero nascosto e camuffato per decenni abilmente; qualcuna ha anche detto che quello è il modo «vero» in cui pensano tutti i maschi se li si lascia liberi di dire ciò che davvero credono. Molti, conoscenti di Gozzini o che si sentono dalla sua stessa parte politica, la sinistra, lo hanno insultato e condannato come se ci fosse bisogno – per tutelarsi e sentirsi innocenti dalle accuse a tutta la sinistra – di trovare un capro espiatorio su cui riversare ogni nefandezza possa passare per la testa, visto che Gozzini ha avuto la stupidità e superficialità di dirlo pubblicamente. Qualche amico, per fortuna, ha voluto testimoniare che la «persona» Gozzini è fatta dei decenni di insegnamento impegnato e riconosciuto dai suoi studenti, di ricerca scrupolosa, attenta e originale, di capacità di giudizio e anche di empatia non comuni, anche nel nostro mondo. Nella SISSCO, la società degli storici cui per fortuna non appartengo più da anni, vi sono stati insulti a raffica che qualcuno, per fortuna, ha stigmatizzato a dovere.
Ma cos’è che lega tutto insieme, secondo me, che è un denominatore comune a risposte e accuse diverse e che provengono da parti diverse? Non so se hanno ragione alcuni sociologhi che ritengono siano i social media ad avere accentuato questa dinamica di pensiero e azione o se sia sempre stato così ma con altre modalità e strumenti. Certo è che, questa volta in modo lampante, si è voluto prendere l’«accidente» per trasformarlo subito in «sostanza», o, per dirla come facciamo noi storici, si è trasformata la «contingenza» nella «struttura», nell’«essenza», o per dirla in termini religiosi si è trasformato il peccato nel peccatore, attribuendo alla sua vera natura quel comportamento momentaneo e isolato. Questa è la logica che porta, ad esempio, anche in Italia, a lasciare che siano poche e isolate persone a combattere per un vero garantismo giuridico e per i diritti dei detenuti (sia quelli in attesa di giudizio che quelli condannati) perché si ritiene che chi commette un fallo, un errore, un crimine, lo fa perché quella è la sua natura, ed allora è meglio difendersi e buttare la chiave. Con una logica simile c’è stata questa unanime condanna nei confronti di Gozzini, giusta nella difesa dei diritti e della persona offesa, ma terribilmente ipocrita e sbagliata nelle modalità con cui si è espressa, che ha voluto cancellare a volte in modo esplicito e sottolineato tutto quello che di buono e positivo Gozzini ha mostrato di saper fare nella sua vita, riducendolo a una falsità di cui finalmente si sarebbe liberato dando sfogo alla sua vera natura.
Non scrivo queste parole solo per difendere Gozzini dagli insulti (quelli eccessivi, esagerati, ed «essenzialisti» che gli vengono lanciati), ma per provare a richiamare non solo e non tanto alla sobrietà, che su FB sarebbe un’inutile ironia, ma a fare attenzione a quella deriva, che si nasconde evidentemente in tutti noi, a rendere le persone immedesimate con qualche loro atto, cosa che non salverebbe nessuno di noi se solo onestamente ci facessimo un esame di coscienza sincero.
Ho appena terminato di leggere il bel volume di Marcello Flores e Giovanni Gozzini Il vento delle rivoluzione e, del solo Gozzini con Tommaso Detti, L’età del disordine. Non ho dubbi su quanto scrive Marcello Flores. Credo tuttavia si debba andare oltre l’infortunio dello storico, per chiederci se quella che è parsa decisamente una manifestazione di “coscienza sprezzante” non riveli un abito mentale acquisito da molti intellettuali afferenti non più tanto alla cultura della destra più estrema, quanto e forse ancor di più e più gravemente alla sinistra, che tradizionalmente se ne riteneva estranea. Mi riferisco non tanto all’imbarazzante “machismo da spogliatoio”, pure evidente in lui e negli altri presenti, ma al passaggio in cui si sdegnava per il fatto che una parlamentare della Repubblica, dal basso della sua “incompetenza”, si permettesse di rivolgersi a “uno come Mario Draghi” formulando critiche più o meno condivisibili, ma assolutamente legittime e che interpretavano le difficoltà di settori produttivi di cui certamente sarebbe compito di uno storico – in tutta evidenza non di destra – tenere quanto meno conto. È il risultato di un distacco e di una inconsapevole subalternità culturale che purtroppo continua a cedere terreno alla destra “di popolo” perché ha ormai abdicato alla possibilità di conoscere, rispettare e interpretare le istanze sociali dei più deboli, che non sono affatto annegate nei particolarismi come si crede in omaggio al luogo comune per cui la nostra società non sarebbe più rappresentabile in termini di classi, bensì abbandonate dalla nostra “coscienza sprezzante” alla deriva di scelte politiche a cui molti cosiddetti “competenti”, incluso almeno sino a ieri lo stesso Draghi, le hanno consegnate, non di rado sostenendo fosse semplicemente da “incompetenti” pensare a indirizzi alternativi. Quella reazione è anche frutto di una retorica sulla “competenza” ipocrita o subalterna che esige più soggezione che rispetto. Se non ci si ferma, quindi, al problema della “sostanza” della persona Giovanni Gozzini e si prova a riflettere sulla “sostanza” della mentalità che ne fa da sfondo, forse la questione diventa più interessante. Al di là della polemica su se e quanto lo storico abbia sbagliato, allora, il caso suggerirebbe di riflettere sul diffondersi della “coscienza sprezzante” abbondantemente oltre quello che una volta era considerato il suo alveo naturale: la peggiore destra politica. E sul simmetrico e in fondo complementare fenomeno per cui viene fin troppo facile speculare sull’infortunio del “professore”, usandolo come alibi per giustificare qualunque barbarica aggressione verbale e non al prossimo, in quanto interprete dei “più schietti e sinceri” sentimenti “popolari”: il che è tutto da dimostrarsi. La forma dell’opinione pubblica al tempo della transizione digitale e dei suoi ibridi e scivolosi spazi virtuali a cavallo tra pubblico e privato va oltre il singolo episodio. Politicamente corretto e politicamente scorretto rappresentano infatti, sovente, l’uno la cattiva coscienza dell’altro. E proprio per questo finiscono per scambiarsi e rinfacciarsi i ruoli. Per il resto, il professore si è reso perfettamente conto dell’errore. Ha chiesto scusa, giustamente. E ha subito la sospensione da parte del suo Rettore, anche se non sarà querelato. Resta storico eccellente e credo saprà trarre dall’accaduto la lezione che merita. Ma non fermiamoci lì.