Nel quadro di una riflessione sul futuro dell’Europa, tanto più urgente in questo momento di svolta che fa sperare in una giusta idea di solidarietà (l’avvio del processo verso l’unione fiscale) – e anche temere la popolarità di un’idea sbagliata (i famosi pugni sul tavolo), riprendiamo questo articolo di Giacomo Costa dal sito di Libertà e Giustizia.
I paradossi del debito e la riforma dell’UEM
di Giacomo Costa
Sul debito e sulla riforma dell’Unione Economica e Monetaria si discute molto. Orientarsi sui problemi che pongono dovrebbe servire al nostro Paese per scegliere una direzione in cui muoversi, tra le molte che vengono proposte, a volte con sconcertante sicurezza, semplicismo e superficialità; a volte invece in modo serio e meditato. Terrò presenti, in particolare, due interessanti saggi recenti, quello di Paolo Bosi: “Il debito italiano in Europa: un problema mal posto”, il Mulino, 2/2020, e quello di Roberto Artoni: “C’è bisogno di più Stato (sociale)”, Sinistrainrete, 27 V 2020. Secondo Bosi, il problema del debito esiste e va affrontato con calma e freddezza, ma non dovremmo lasciare che alteri le nostre priorità; e quali siano le nostre priorità viene proposto da lui e indipendentemente, ma concordemente, da Artoni: il rafforzamento e l’estensione del nostro Stato sociale.
Molti di noi sono pieni di risentimento nei confronti dell’UEM (Unione Economica e Monetaria): l’austerità a cui ci ha vincolato ci avrebbe impedito di continuare a mantenere in buone condizioni il nostro Sistema Sanitario Nazionale, i nostri edifici pubblici, le nostre scuole, sicché allo scoppio della pandemia da coronavirus ci saremmo trovati indeboliti di risorse umane, scientifiche e materiali. Non dovremmo lasciare che anche in futuro le assurde imposizioni del Patto di Stabilità e Sviluppo ci impediscano di compiere tutti gli investimenti pubblici di cui abbiamo e avremo bisogno. Basta andare a piAtire ogni anno un punto o mezzo punto in più di deficit a Bruxelles! Queste sono ormai opinioni largamene condivise, anche da persone, come Bosi e Artoni, che non condividono invece le conseguenze che ne traggono i famosi “sovranisti”: l’uscita dall’euro, ossia dall’Uem, permettendoci di riacquistare la sovranità monetaria ci consentirebbe il finanziamento monetario di ogni deficit pubblico, dunque l’entrata in un mondo fantastico in cui non ci sarebbe alcun limite alla soddisfazione dei nostri bisogni e desideri, pubblici e privati: senza più doverci preoccupare delle imposte, rese obsolete ed inutili. Un mondo fantastico l’entrata nel quale sarebbe annunciata da una nuova raffica di mega-condoni, non solo tributari e contributivi, ma anche urbanistici e ambientali: a ricordare che il nostro “sovranismo” è alquanto selettivo, e conserva l’insofferenza anarcoide per lo Stato, per un qualsiasi Stato, della berlusconiana Casa delle Libertà.
Un primo paradosso del debito sta nel fatto che da un lato siamo stati e tuttora siamo affamati di deficit pubblico, dall’altro abbiamo accumulato un debito imbarazzante e paralizzante. Ci troviamo in ginocchio esattamente per questo. Gli altri paesi europei non avranno difficoltà ad affrontare l’inattesa contrazione produttiva causata dalla pandemia da coronavirus impeccabilmente con delle spese in deficit finanziate emettendo titoli sul mercato internazionale o addirittura (nell’UK) moneta. Noi abbiamo bisogno di essere soccorsi perché la nostra posizione sul mercato è debole, come evidenziato dall’esistenza del famoso “spread”. Alcuni (ad esempio Varoufakis) pensano che abbiamo bisogno non di prestiti ma di liberazione dall’indebitamento, con dei puri trasferimenti dal resto del mondo a noi. Forse Varoufakis confonde la Grecia di 10 anni fa con l’Italia, che al contrario della Grecia ha sempre avuto un disavanzo primario positivo (ossia il suo bilancio pubblico sarebbe in avanzo se non dovessimo pagare gli interessi sul debito.) Come che sia, In forza dell’essere ritenuti almeno da alcuni vicini all’insolvenza, chiediamo al resto dell’Europa dei sussidi. Se anche riuscissimo a ottenerli questa volta, con tutta probabilità sarà l’ultima. La pressione che stiamo facendo sulle istituzioni dell’UEM è esattamente il male (per l’UEM) che la nostra osservanza dei “parametri di Maastricht” le avrebbe e ci avrebbe evitato. (continua a leggere l’articolo qui)
Riflessione non per forza interamente condivisibile, ma informativa, onesta e interessante.