Li vedete tutti in fila, sui barconi o sulle navi. Li avete visti tante volte. Non vi dicono più nulla – rafforzano soltanto, forse, la vostra opinione generale sulla questione delle migrazioni. Poi apprendete la storia e le speranze di uno di loro: e non siete più indifferenti al suo destino. Questo è il fenomeno, l’esperienza che tutti hanno. L’enorme differenza fra i molti e l’uno, quando si tratta di persone, e della conoscenza che possiamo farne. La notizia di uno tsunami che fa migliaia di vittime per noi anonime ci colpisce molto meno della morte di un solo individuo di cui ci sia apparsa anche solo in un lampo la personalità: come il ragazzo che si era cucito la pagella nella maglia, o il bambino che stringeva ancora l’orsacchiotto.
Com’è strano: per un fenomeno così ovvio e familiare, i filosofi non hanno, con poche grandi eccezioni, sviluppato concetti adeguati. Non disponiamo oggi correntemente di un’adeguata metafisica né di una morale dell’individualità. Una metafisica dell’individualità dovrebbe rendere conto della differenza – così importante per la nostra vita – fra quegli individui che sono semplici repliche di un tipo – come i sassolini della ghiaia, le poltrone di un cinema, e in definitiva gli atomi di ogni sostanza – e quelli che hanno un’essenza individuale, una “ecceità”. Di quest’ultimo tipo sono le persone. Non possono esistere fotocopie o di una stessa persona: supponiamo di essere, io e te, due cloni biologici. Ci basterà guardare lo stesso mondo da due diversi punti dello spazio, e avremo contenuti di percezione, e memoria, e pensiero, diversi. Si duo faciunt, non est unum: ogni minimo atto ci differenzia. E se così non fosse, non avrebbero senso domande angosciose e cruciali come Chi sei? Chi sono? Severino Boezio per la verità aveva provato a dirlo: essere persona non è semplicemente avere “natura ragionevole”, ma interpretarla, “impersonarla” appunto. Individuarla, essenzialmente. Purtroppo Boezio non fu capito in età moderna. Ma peggio ancora stiamo con la morale dell’individualità. Che dovrebbe essere il vanto della modernità – non a caso i suoi critici l’accusano di “individualismo”. E invece! La definizione di Boezio con Kant restò monca. Restò soltanto la “natura ragionevole”, o il soggetto morale che ciascuno alberga: essere persona è ciò che ci accomuna, santi e assassini. È l’universalità della ragione – e dell’autonomia, che con l’età di ragione ci sottrae alla tutela del re e del prete, ci dà sovranità politica e morale. E questo è indubbiamente grandissimo vanto della modernità. La capacità di chiedere “perché” e di dire “non è giusto”, è proprio universale, la vediamo risvegliarsi prestissimo in ogni infanzia umana, a qualunque latitudine. Ma Kant ha opposto la natura ragionevole della persona alla sua individualità, come l’anima al corpo o la legge morale alla legge della giungla. E questo è un dramma. L’accidente della nascita è sì fonte di radicale diseguaglianza nelle condizioni di partenza delle nostre vite. Infatti è qui che il Novecento ha visto l’ultima frontiera della domanda di giustizia: nessun enunciato è più normativoe meno descrittivodi “Tutti gli uomini nascono liberi e uguali in dignità e diritti” (1948). Ma le contingenze dell’esser nati – in un deserto subsahariano o a Central Park – sono anche ciò che sapremo farne, secondo le nostre diverse vocazioni e scale di valori, sono ciò che trasformeremo nella nostra essenza. Sono la nostra ecceità. Purché ci siano date le condizioni di farne qualcosa, e non di esserne fatti e basta.
Una democrazia non è soltanto un sistema di governo: è il mezzo per consentire a ognuno di accedere al meglio di sé stesso, alla sua grazia e alla sua libertà – attraverso la sua sovranità morale e politica. Una democrazia è l’aspetto politico di una civiltà umanistica. Ma le democrazie continueranno a degenerare, e noi a rinnegare l’universalità che ci fa persone (“prima gli italiani”) fino a che resteremo ciechi al valore dell’unicità, della fragile essenza individuale di ogni persona: della sua ecceità. Che è il cuore metafisico e morale di una civiltà umanistica.
(Articolo pubblicato con il titolo “Come sassolini della ghiaia” sul Domenicale de “Il sole – 24 ore”, 8 settembre 2019, dedicato al Festivalfilosofia di Modena)
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