G. Piana (1940-2019)
Addio al filosofo del suono e del colore
Roberto Casati, “Il sole – 24 ore”, 3/3/2019
Che cos’è un debito intellettuale? Che cosa dobbiamo ai nostri maestri – quando abbiamo la fortuna di incontrarli – e come possiamo sdebitarci? Giovanni Piana, filosofo dell’esperienza, disse una volta durante un suo corso all’Università degli Studi di Milano che “gli allievi devono superare i maestri”, compito non facile, direi. Anche perché per molti della mia generazione Piana è stato un maestro senza pari; il primo giorno di università, aggirandomi per i corridoi di Festa del Perdono, avevo chiesto a un collega che mi sembrava sufficientemente posato quali corsi avrei dovuto seguire, e lui mi disse senza esitare di andare a vedere Piana. La Milano filosofica di quegli anni non era lo sfondo più congruo alle riflessioni di questo intellettuale schivo e tagliente, ci si iscriveva a filosofia perché si sarebbero finalmente capiti e utilizzati come sciabole nelle conversazioni il materialismo dialettico, la psicanalisi e l’eterno ritorno. Ci si immergeva nei testi con gli strumenti dell’ermeneutica, col risultato che poi era difficile uscire dai testi. Piana a lezione mostrava una tazza, la rigirava tra le mani, e cominciava a fare domande su che cosa significa vedere un oggetto, descriverne il colore, immaginarne la parte nascosta alla vista, sentirne il suono. Filosofo husserliano (sua la monumentale traduzione delle Ricerche Logiche), filosofo del ritorno alle cose stesse e della descrizione onesta e senza compromessi dell’esperienza delle cose, è stato anche un fine interprete di Wittgenstein; la sua lettura del Tractatus resta a mio parere un esempio luminoso di che cosa significhi scalare un monumento del pensiero senza dovere a tutti i costi barcamenarsi tra impalcature filologiche, storiche, reverenziali: leggi un grande testo, fattene un’idea, cerca di ripensare a modo tuo quei pensieri, non aver paura di fare errori.
La filosofia di Piana viene chiamata una forma di fenomenologia strutturalista, e integra in modo originale idee di Husserl, Wittgenstein, Bachelard. Al di là delle etichette, l’idea metodologica è relativamente semplice. Quando vogliamo andare a fondo nella complessità di un concetto, dobbiamo cercare di immaginare casi limite e vedere se il concetto regge o collassa. Possiamo pensare a un colore che non sia esteso? A un verde rossastro? A un suono senza timbro? Queste esplorazioni (Husserl avrebbe parlato di “variazione eidetica”) sono esperimenti mentali che mostrano quello che è essenziale e quello che è inessenziale nelle cose che stiamo studiando. Sembrano questioni marginali, ma senza una buona fenomenologia dei fenomeni della vita mentale non ha molto senso iniziare uno studio di questi fenomeni; le nostre spiegazioni più profonde, psicologiche o biologiche, non potranno mai portarci più lontano di una buona descrizione.
La casa in cui abitava in Brianza, un’anacronistica costruzione turrita di inizio novecento, accoglieva studenti e musicisti; Piana era un violinista raffinato. Alle pareti i dattiloscritti dei suoi corsi, anno dopo anno ogni corso era praticamente un libro, Piana batteva rapidissimamente a macchina su una elettronica. Alcuni di questi corsi-libri sono stati pubblicati, altri sono oggi disponibili nell’archivio online. Al momento di andare in pensione mise in atto quella che oggi chiameremmo la decrescita felice (mi ricordo di una conversazione in cui paragonava simpaticamente la sua scelta a quella di Cesare Romiti che a più di settant’anni era diventato l’AD della Fiat) e si ritirò in Calabria. Quando cercammo di invitarlo a un convegno all’inizio degli anni 2000 ci rispose che preferiva contemplare le stelle e il mare.
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