E’ finalmente disponibile in traduzione italiana il famoso saggio di Aurel Kolnai su Il digusto (Das Ekel, 1929), a cura di Marco Tedeschini.
Per ordinazioni vedi la pagina dell’editore: (http://www.marinotti.com/aurel-kolnai/il-disgusto)
Riceviamo e volentieri pubblichiamo una nota di presentazione del curatore.
Su Il disgusto di Aurel Kolnai. Una breve nota.
di Marco Tedeschini
Nel 1929 Aurel Kolnai (1900-1973) pubblica sul decimo volume dell’annuario di fenomenologia diretto da Edmund Husserl Il disgusto. La eco internazionale che subito ebbe – George Bataille, Salvador Dalì, José Ortega y Gasset (che addirittura ne pubblicò in quello stesso anno la traduzione spagnola sulla Revista de Occidente) e, probabilmente, anche Jean-Paul Sartre – si spense non meno rapidamente e oggi pochi conoscono questo saggio e meno ancora il suo autore.
Tuttavia all’epoca in cui apparve il saggio, in molti dovevano essere convinti del fatto che nel disgusto si giocasse una partita decisiva per l’essere umano. E Kolnai fu tra i primi a mostrarlo con una trattazione filosofica, fenomenologica.
Il disgusto si presenta agli occhi di Kolnai come la scena di uno scontro: lo scontro tra una certa forma di vita, la vita propriamente umana, e una forma alternativa e sempre possibile, ma che umana non è. Non almeno in senso proprio.
Il problema – questa l’idea originale e ambiziosa di Kolnai – è che il disgusto non risponde alle nostre convinzioni, o alla nostra struttura psichica, ma alla realtà. Che s’impone e non è mai neutrale e che il disgusto serve a respingere ed escludere. Non tutta la realtà, ovviamente, ma alcune sue ben precise manifestazioni, avvertite come disgustose. Perché non si segua l’indicazione precisa del disgusto – perché, cioè, non si allontani, escludendolo, l’oggetto disgustoso – è necessario che il disgusto non sia l’unica misura di quelle realtà. In altri termini, serve un altro punto di vista oltre a quello offerto dal disgusto.
Solo così è possibile giungere a quello che Kolnai definisce il «superamento» del disgusto. Il quale però non cancella il carattere disgustoso dell’oggetto che ci disgusta: non è la realtà a cambiare, ma il metro con cui la si valuta. Il massimo esempio di questa dinamica – siamo all’ultima pagina del libro –, Kolnai lo trova nella figura di Cristo. Non quello narrato dai vangeli, che pure non avrebbe difficoltà a ricoprire un tale ruolo, ma il Cristo immaginato da Franz Werfel nella poesia Jesus und der Äser-Weg (Gesù e la via delle carogne), mentre domanda al Padre un amore «più forte del disgusto», con il quale poter redimere un’umanità che non è più di un fiume di carogne.
Può darsi che serva davvero un amore più grande, soprannaturale, per superare il disgusto. Prima però si deve raggiungere una diversa consapevolezza sul disgusto come tale. Ciò che risulta spesso impossibile proprio per la difficoltà a opporvisi. Tuttavia, il saggio di Kolnai lo mostra con grande lucidità, nell’esperienza del disgusto si esprime e vive solo il rifiuto di una dimensione della vita: per quanto disgustosi, il puzzo, il marciume, la malattia, il degrado, la deformità non esauriscono le restanti dimensioni delle realtà che inevitabilmente guastano (in modo temporaneo o definitivo). Possono tuttavia portarci a crederlo. Ciò non è però il frutto di una visione piena sulla realtà in questione, ma di una necessaria parzialità: quella di un sentimento che, pur potendo cogliere esclusivamente il suo tratto disgustoso – al di là del quale non avrebbe senso pensarne l’attivazione –, costituisce spesso l’unico punto di vista sulla cosa che, del resto, esibisce come propri (parte di sé) i tratti reali del disgustoso. Un’illusione inevitabile, di cui Kolnai sembra volerci rendere coscienti, illustrandone la logica e le conseguenze discriminatorie ed emarginanti, per metterci nelle mani un formidabile strumento critico, il cui buon uso promette di innescare un vero cambiamento dell’uomo e della società.
Uno strumento non facile da utilizzare, però. E duro, perché confrontarsi radicalmente con il sentimento di disgusto significa allo stesso tempo caricarsi della sua carica altamente impolitica. Una carica che emerge con ancora più forza per il fatto che Il disgusto è stato scritto in anni che, dai nostri, sembrano lontanissimi per sensibilità e valori; ciò che lo rende a tutti gli effetti un saggio intempestivo, ma anche, e proprio per questo, in più d’un caso difficile, troppo difficile da ricevere.
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