Forse Christophe Palomar non esiste – almeno nel senso che il suo è probabilmente un nom de plume. Ma il suo romanzo Frieda – Un’educazione sentimentale del Novecento (Libreria Utopia Editrice 2015, Prefazione di Lucio Morawetz) – esiste eccome – se, con Jeanne Herch che ha, come i personaggi di Palomar, attraversato l’intero Novecento – vogliamo assumere l’esistenza come un più accessibile sostituto del predicato estetico di bellezza. Esiste, nel senso in cui una crosta non esiste e un Egon Schiele sì. Non mi viene a caso il nome sotto le dita – c’è un disegno di Egon Schiele chiuso nel bagaglio che il protagonista, il Conte Joachim von Tilly di Hannover, erede e capo delle acciaierie di famiglia, porta con sé nella sua “fuga senza fine” (citazione dal titolo di un famoso romanzo di Joseph Roth) dalla Germania degli anni ’20, una fuga che lo porterà fino a Buenos Aires mentre l’Europa precipita nei totalitarismi e poi nella guerra, e noi ancora degustiamo il ricordo di un’iniziazione adolescente alla vita fra lo splendore di Capri e i bordelli di Napoli, di una giovinezza viennese immersa nella spuma leggera dell’intelligenza e dell’arte, di una terribile maturità venuta insieme con la catastrofe degli Imperi Centrali, di una difficile età della ragione spesa in conversazioni con Walther Rathenau sull’avvenire della Germania – mentre il protagonista è occupato a dissipare il proprio nell’amore centrale e impossibile del romanzo. Che si accende del resto di pochi amori assoluti e impossibili come il primo, quello che dà nome al libro, quello per Frieda von Richtofen, cugina del Barone Rosso e femme fatale che sposa e finisce anche D.H. Lawrence…. Forse senza saperlo, il protagonista vive del sogno irrealizzato di lei – della donna di Schiele – dell’anima cosmopolita e lucente, resistente a ogni crollo, misteriosa bellissima fenice. Come scrive forse giustamente Lucio Morawetz che ha scoperto e pubblicato questo autore di indubbio talento e di splendida scrittura – il sogno di “un mondo travolto dalla storia”, lungo il filo del quale cresce “un grande romanzo sul Novecento”.
Europa addio. Oggi molti vedono tristi analogie fra quella fine e questa, questo dissolversi planetario della dolce luce dei Lumi, o dell’Età dei Diritti, ancora una volta, nella disfrenata balbuzie dei popoli, nello svagato cicaleccio dei sapienti, nell’ascesa al potere mondiale di un ometto virulento e volgare, potenzialmente criminale e fattualmente immorale, assurdamente ricco e imbroglione. Nel silenzio impotente dei più.
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