Questa sera sulla 7 non si può perdere il dibattito sulla riforma costituzionale fra il Presidente del Consiglio e Gustavo Zagrebelsky, ex Presidente della Corte Costituzionale, Presidente onorario di Libertà e Giustizia e quest’anno Professore di Filosofia del Diritto alla nostra nuova Laurea Magistrale.
Anche in preparazione del dibattito che si terrà all’Università San Raffaele sullo stesso tema il 25 ottobre prossimo (vedi locandina), vorrei sottoporre a tutti questa riflessione, nella speranza di suscitare interventi, anche e soprattutto critici, che ci aiutino a preparare quella importante mattinata di confronto.
Non entro qui nel merito dei 47 articoli di cui è proposta la modifica, né della questione centrale sulla nuova articolazione dei rapporti fra il Senato e la Camera: ci sarà tempo di approfondire ed è certamente più arduo farlo per noi semplici filosofi – ma nessun cittadino dovrebbe sottrarsi al dovere di prendere conoscenza della proposta di riforma. Pongo una questione che non credo sia solo preliminare: è fondamentale, a mio avviso.
Perché Calamandrei diceva che “Quando si scrive la Costituzione, i banchi del Governo debbono restare vuoti”? Per una ragione elementare di dottrina costituzionalista: politica e cornice normativa della politica sono due cose distinte, che stanno fra loro come le regole del tennis e il tennis. E perché un governo che cambia la costituzione a vantaggio della propria contingenza è precisamente ciò che la costituzione era nata per impedire, dato che è contro il cuore della democrazia moderna e contro lo “spirito delle leggi”: la divisione dei poteri. Non può essere il titolare dell’esecutivo il potere che delimita il potere dell’esecutivo – oppure la Costituzione non va più intesa come ciò che definisce “le forme e i limiti” della sovranità, ma come espressione di uno, anzi del massimo, dei poteri in cui si esprime la sovranità. Per questa ragione, Pallante e Zagrebelsky scrivono:
“Il governo che assume l’iniziativa di promuovere un ddl di revisione costituzionale si pone, dunque, al di fuori della logica del costituzionalismo” (Zagrebelsky Pallante 2016, 52)
Dunque è letteralmente stupefacente, per la dottrina costituzionalistica che su questo punto mi sembra recepire l’ultimo nerbo della distinzione fra filosofia e sofistica, o fra esercizio di ragione nella sfera pubblica e legge del più forte, quello che abbiamo sotto gli occhi: un governo che, dopo aver potuto prendere l’iniziativa della riforma sulla base di una maggioranza parlamentare dichiarata incostituzionale dalla corte (340 seggi invece dei circa 180 che le sarebbero spettati senza “Porcellum”), ora usa tutti i suoi mezzi, anche finanziari, per girare i continenti alla ricerca di voti per il sì. Che non opera nel regime di garanzia delle minoranze sul tema più sensibile : le regole di tutti. Che ha regolato finora le trasmissioni di tutta la rete nazionale su cui influisce (gran parte) a questo scopo. Che cioè coram populi e a livello continentale dirompe i vincoli del ruolo istituzionale dello Stato in funzione del programma politico di un particolare, contingente governo.
Che, insomma, rovescia effettivamente, senza che si muova foglia, il principio costituzionale lex facit regem nel suo opposto, rex facit legem.
Se anche si prescindesse per il momento dai contenuti della proposta governativa, chiunque abbia a cuore l’idea stessa di norma e l’idea di differenza fra le regole del gioco e giocare nelle regole (invece che nell’arbitrio) dovrebbe a mio parere respingere con orrore questa riforma, perfino se non fossero così devastanti le infrazioni alla logica e alla grammatica costituzionale e giuridica al suo interno, e purtroppo lo sono. Oggi alla radio Morrone, sostenitore del sì, interrogato sui dettagli, è svicolato dicendo: nei dettagli si annida il diavolo, ma guardiamo invece alla sostanza. Ma come può un costituzionalista distinguere i dettagli dalla sostanza??
Cosa dovrebbe fare oggi Socrate, cosa possiamo fare nel nostro piccolo noi filosofi se non denunciare questo fenomeno talmente pervasivo che ci sta soffocando: il venir meno, nella coscienza dei più, della differenza fra l’ideale e il reale, la norma e il fatto, il diritto e il potere? Se torno su questo punto, è perché Socrate oggi tace. Perché? Non sarebbe ora di svegliarci?
Ma come di tutti i fenomeni pervasivi, nessuno se ne accorge. Siamo classici pesci nell’acqua.
E’ molto, ma molto meno grave il violare una norma che l’adattare le norme ai fatti. Nel primo caso la riserva ideale e normativa preserva almeno il futuro: nel secondo caso si toglie semplicemente al futuro la possibilità di distinguere fra comportamento deviante e comportamento normale, si svuota di senso l’idea stessa di norma e si dà l’ultima ragione, non solo nei fatti ma anche nel mondo delle idee, a Trasimaco. La sola legge è quella del più forte.
E non sto parlando di questa o quella forma di involuzione autoritaria: a mio parere questa riforma è un tale pasticcio che senza l’Italicum non avrà probabilmente esiti particolarmente autoritari. Di questo si potrà discutere. Certamente invece avrà, se vince e nel modo in cui vincerebbe, l’esito di una svalutazione ancora maggiore delle idee di norma, istituzione, imparzialità, cosa pubblica, forme…. Quella che il mio maestro Jeanne Hersch chiamava l’Imperatività della Legge, e che il massimo costituzionalista anglosassone, Ronald Dworkin, chiama addirittura l’impero della legge (senza “i”: non Rule, ma Empire). Impero che, attenzione, è tutto ideale, o è nelle nostre coscienze o non è. Letteralmente, non esiste.
E infatti l’argomento che ora prevale fra i fautori del sì, compreso il filosofo che ha fondato la nostra Facoltà di Filosofia al San Raffaele, è molto semplice: La riforma è pessima, ma si vota sì lo stesso. Perché? Perché la vittoria del no metterà il governo in mano dei populisti. Credo che questo non sia affatto l’unico esito possibile, nella contingenza niente è veramente prevedibile, ma non è questa la mia obiezione.
Eccola invece: C’è un argomento che più smaccatamente rinunci alla differenza fra il quadro delle regole, fatte anche e soprattutto per evitare avventure antidemocratiche, e la contingenza politica? C’è forse un modo più diretto di ridurre TUTTO alla contingenza politica?
Ma se tutto in politica è ridotto alla contingenza del gioco delle forze del momento, se ideali e progetti non possono avervi nessuna parte, allora che senso ha per noi parteciparvi? Che senso ha togliere anche alla politica il respiro dell’idealità? Non è questa un’uccisione virtuale della democrazia molto peggiore di qualunque progetto autoritario, che per lo meno avrebbe dietro di sé un pensiero, e al quale si potrebbe almeno con parola e ragione resistere? Ma non vi accorgete che questo argomento svuota la nostra ragione di qualunque ruolo, la nostra volontà di qualunque orizzonte progettuale nella sfera delle politiche pubbliche, la nostra persona di cittadini di qualunque responsabilità?
Ma che questa nostra coscienza sia l’ultima linea di resistenza all’arbitrio (non all’arbitrio tragico della hybris, no, all’arbitrio basso e diffuso della pessima respublica con le sue 350.000 leges, alla sfiducia nelle istituzioni e nella dignità della politica che la alimenta da sempre) : ebbene, continua a non importare a nessuno, neppure ai miei più cari amici, neppure a molti fra i miei colleghi di privilegio – avere il mestiere di Socrate, remunerato per giunta. Ma se invece con la mia obiezione fondamentale mi sbaglio: qualcuno mi dice dove sbaglio, anche qui, in questo nostro spazio aperto a tutti e anche agli studenti?
Intanto buon ascolto del dibattito di stasera – INAUDITO – fra il capo del governo e il massimo costituzionalista italiano.
LA MATITA SPUNTATA
Egr. Prof.ssa,
fintanto che la politica potrà essere considerata, a ben vedere, un lavoro (priva di regole di accesso, salvo l’età) e non un servizio da rendere alla collettività a titolo pressochè gratuito e, non si riescono a legare (in qualche modo) i risultati dei politici ad una migliore qualità della vita per i cittadini, (oramai, le successive elezioni,come strumento di sintesi e valutazione dell’operato dei politici,non bastano più) prevedendo forme di risarcimento danni, (anche solo la restituzione integrale degli emolumenti percepiti per tutta la durata della legislatura ovvero prima di nuove elezioni), sarà difficile uscirne.
Ad onore del vero, non va sottaciuto neanche il fatto che sino a qualche anno fa, i cittadini potevano ancora scegliere i propri rappresentanti e che tali scelte non sempre si sono rivelate prive da condizionamenti “interessati” e che il potere, adesso, considerato il disfacimento del popolo, più propenso a risolvere i propri problemi, attraverso il ricorso paradossale ai propri aguzzini, (sembra un’aporia) tenta l’affondo finale. Rischiamo di continuare a non potere scegliere nulla (cosa che, peraltro, già avviene in modo eclatante con le Province) e ad aumentare il solco tra potere principesco, autoimmune per grazia ricevuta, e la marmaglia corresponsabile del proprio assoggettamento. Mi chiedo a cosa potrà servire ancora esercitare il diritto di voto a queste condizioni. E’ delle ultime ore la notizia della disponibilità a modificare la legge elettorale (italicum) così da tentare di non renderla palesemente incostituzionale prima del pronunciamento della Corte che, comunque, non avverrà prima del referendum costituzionale, così da non attribuire a tale pronuncia un valore politico che si potrebbe ripercuotere sul referendum di Dicembre.
Della serie, stanno lavorando per noi.
Il punto è che se il popolo non si riprenderà le proprie prerogative non ci sarà nessuno che a circa 20.000,00 €/mese (diconsi ventimila/00) sarà disposto a “donargliele”.
Se si considera che molti di questi hanno difficoltà a disegnare la O con il bicchiere e altri che potrebbero, corresponsabilmente, si assoggettano per convenienza, il dado è tratto.
E’ un fallimento generazionale di tutte le classi sociali che può essere depotenziato, nell’immediato, solo rendendo la politica meno appetibile, ossia riducendone significativamente gli emolumenti e magari, riuscendo a partorire una legge anticorruzione più che seria.
Abbiamo ancora la Costituzione, cosiddetta, “più bella del mondo” e la si vuole cambiare, non oso immaginare cosa saremmo stati in grado di fare se non lo fosse stata. Non avendone, i più, mai compreso la reale grandezza e il progetto di società cui la stessa sottende (a ben vedere, è proprio ciò che si intende modificare), sarà un istante, un attimo, un’avventura in più e, per di più, con la matita spuntata.
La questione se in una democrazia debba prevalere un sistema (prevalentemente) proporzionale o un sistema maggioritario, se si debba o non si debba e in che senso si debba “vincere” le elezioni è di grande importanza, anche per la filosofia della democrazia che si adotta, ed è uno dei problemi profondi che Zagrebelsky ha sollevato durante l’incontro.
Credo che qui come in tutte le cose umane e specie in quelle politiche il diavolo stia nei dettagli, o nella misura e nella moderazione di quello che si sostiene. Allora, siccome il Presidente del Consiglio ha a un certo punto, mi pare, accusato Zagrebelsky di incoerenza, riproduco qui sotto e poi commento (vedi commenti seguenti) l’intervista a Zagrebelsky citata dal Presidente del Consiglio (a propositoo: NON si dovrebbe dire “premier”. Il nostro sistema non è ancora un premierato, anche se si sta tentando di adeguare le norme ai fatti. Ma il linguaggio, almeno, dovrebbe essere ancora parte della norma vigente).
Riporto qui sotto il passo dell’intervista di Zagrebelsky su Repubblica del 27 agosto 2013 citata ieri dal Presidente del Consiglio. Passo finale nel contesto di un’intervista che è una lezione magistrale di etica pubblica, che con la legge elettorale c’entra poco, e tuttavia sufficiente a mettere in luce la postuma malafede del Presidente del Consiglio. Zagrebelsky vi parla da un lato di “democrazia sfiancata” – e questo stato di salute non solo non è migliorato, ma semmai molto peggiorato dalla circostanza che l’Italicum, sul quale pesano sospetti di incostituzionalità, fu imposto dall’attuale Presidente con la fiducia: né lo migliora affatto, questo stato di salute, la sua attuale mossa di sfilarlo (in modo puramente virtuale, immaginario, per ora, perché se cambia idea uno non è detto che cambino idee gli altri): conferma semmai esattamente che “Se c’è una materia su cui, più che su ogni altra, si giocano gli interessi immediati delle forze politiche….è proprio la materia elettorale”, come Zagrebelsky scrive.
Naturalmente poi ci vuole una malafede radicata a leggere nell’espressione “sistema proporzionale con premio di maggioranza dato a chi prevale con una certa percentuale di voti” una sorta di endorsement ante litteram all’Italicum, che è in sospetto di incostituzionalità appunto in ragione dell’esiguità della percentuale di voti con cui una forza prevale: per fortuna questo punto è stato chiarito senza ombra di dubbio, quello dell’Italicum è un premio di minoranza, cioè premia la prima delle minoranze. Un po’ come il Porcellum in virtù della quale, con 340 seggi invece che 180 che gli sarebbero spettati senza, il partito di maggioranza relativa ha potuto autoproclamarsi “costituente”, con un programma politico di riforma costituzionale assolutamente mai esistito nel programma che quel partito aveva presentato alle elezioni. Per forza poi “loro dicono” che adesso o mai più! Quando mai potranno ancora godere del Porcellum o dei suoi eredi, per riscriversi la Costituzione da soli?
Una situazione come quella di questi giorni e la prospettiva della crisi di governo farà saltare la scommessa di una nuova legge elettorale. Rischiamo di tornare alle urne con ilPorcellum oppure lei vede vie d’uscita?
“Una proposta meritevole d’attenzione c’è: sistema proporzionale con premio di maggioranza dato a chi prevale con una certa percentuale di voti oppure, in mancanza, assegnato con ballottaggio. Le idee non mancano. Ciò che manca è una convergenza d’interessi su una proposta. Se c’è una materia su cui, più che su ogni altra, si giocano gli interessi immediati delle forze politiche, e le ragioni di principio, cioè le visioni di giustizia, sono recessive, è proprio la materia elettorale. Gli interessi non si sommano ma si elidono. Per questo, c’è poco da essere ottimisti.
Un’occasione s’è persa quando la Corte costituzionale ha bloccato un referendum per il ritorno alla legge precedente, imperfetta ma certo migliore dell’attuale. Perciò, è assai probabile che si ritorni a votare con la legge attuale, da tutti deprecata per il suo marcato carattere oligarchico, per la possibile abnormità del premio di maggioranza e per l’incoerenza degli esiti, tra Camera e Senato: tre ragioni d’incostituzionalità. Ora, che si possa essere chiamati a votare con una legge che la Corte costituzionale, di passaggio in una sentenza di qualche anno fa, ha bollato come incostituzionale, è una delle non ultime ragioni della malattia che sfianca la democrazia nel nostro Paese”.