La nostra pubblica lettera al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca è stata pubblicata il 30 marzo sul “Corriere della Sera” (edizione lombarda) e ripresa il 1 aprile sul “Fatto quotidiano” (vedila qui: http://www.giannibarbacetto.it/2016/04/01/dopo-expo-i-soldi-per-la-ricerca-dati-ad-amici-e-vassalli/).
Oltre a quelle dei primi firmatari, la petizione continua a ricevere adesioni sul nostro sito, come sugli altri in cui si sta diffondendo rapidamente, e stiamo cercando di recapitarla effettivamente alla sua destinataria istituzionale.
Non ci nascondiamo che le questioni che hanno occasionato questo dibattito sono complesse: è del resto in corso una discussione anche fra i ricercatori e i docenti del nostro Ateneo, molti dei quali hanno, per triste e lunga esperienza vissuta, ben poca fiducia nelle capacità del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – al quale pure la nostra lettera si rivolgeva – di garantire la trasparenza, l’oggettività, la terzietà e il rigore nelle procedure di valutazione, cui noi chiediamo che anche il progetto Human Technopole debba sottostare.
Eppure esiste già, almeno come proposta, un modello alternativo e innovativo di erogazione di fondi pubblici, si veda qui:
Ecco: chiunque di noi abbia partecipato a una “cordata” PRIN, a una commissione di concorso universitario o fatto parte della giuria per l’assegnazione di una borsa di studio o di ricerca conosce bene la differenza fra phone calls e public calls, e sa quanto è difficile che lo spirito dei secondi prevalga sulla logica dei primi, e soprattutto quanto questo dipenda da ciascuno di noi. Ci sono momenti nella vita di un Paese in cui si capisce quanto disinformazione e vittimismo (è sempre colpa degli altri, della burocrazia, del “sistema”), passività e delega siano responsabili dell’arretratezza civile e della corruzione politica almeno nella stessa misura in cui lo sono i conflitti di interesse e i procedimenti consortili. Quello attuale è uno di questi momenti. Per questo non è tempo di tacere ma di continuare a discutere, e soprattutto a informarsi.
E’ in questo spirito che ospitiamo qui alcuni stralci di un intervento di Elena Cattaneo, autorizzato alla pubblicazione, che si riferisce alla discussione in corso tra i 100 membri italiani dell’EMBO Council su un testo redatto da alcuni membri a proposito dell’affaire Human Technopole. Li abbiamo scelti sulla base della chiarezza della posizione di principio che enunciano riguardo all’etica pubblica, alla scienza e alla loro intersezione: l’etica della scienza. Saremmo veramente felici se qualcuno dei colleghi cui la lettera originale era rivolta volesse esporre anche qui, anche ai molti che hanno seguito il dibattito (più di due migliaia di contatti in pochi giorni) le sue ragioni.
“Gentili colleghi e membri italiani EMBO,
a volte, come in queste circostanze, mi sento davvero quasi straniera in questo Paese. Come se lavorare per anni all’estero e poi riuscire a mettere su un piccolo gruppo di ricerca alla Statale di Milano conquistando il 60% del finanziamento fuori dall’Italia e interagendo con enti americani che ritengono giustamente importante controllare anche il numero di matite che compro con i loro soldi, fosse stato del tutto inutile. Perché evidentemente mi sono fatta un’idea delle ragioni per cui la scienza ha un alto valore civile all’estero e non in Italia, ma queste ragioni qui sono considerate irrilevanti o addirittura una “rottura” da buona parte degli scienziati stessi. Perché la ricerca scientifica in Italia sembra irriformabile, perché siamo indubbiamente un “Paese moralmente arretrato” e perché buona parte della comunità scientifica rispecchia del tutto l’etica familista e clientelare che prevale nel Paese. Ed è anche per questo che – vi assicuro – non conta politicamente proprio nulla e si accrocchia su procedimenti inguardabili. A volte mi viene ricordata la battuta di Mussolini: “Governare gli italiani non è difficile. Ma è inutile”. Non sembra sia cambiato molto.
Circa IIT, a me francamente chi ha creato IIT e chi lo guida non interessa. Ma per via di HT sto guardando ai risultati di IIT, altrimenti sarebbe sepolto nei miei pensieri di quando, anni fa, ne avevo valutato regolamenti e processi decisionali interni senza trovare allora grosse anomalie, di cui mi accorgo ora.
É una fondazione di diritto privato che riceve molti soldi pubblici. Sinceramente faccio ancora e sempre più fatica a capirne la natura giuridica. Non sono l’unica. Una parte di fondi pubblici viene re-impegnata presso altre istituzioni, per crescere i loro progetti, quasi “a mo’ di agenzia”. Il direttore scientifico – a prescindere da chi sia e nessuno, per favore, tiri fuori inesistenti rancori tra persone – non si sa quante volte può essere rinnovato e come viene eletto, pratiche ormai da tempo archiviate per gli enti pubblici. Ho scoperto dalla stampa, nelle scorse settimane – e questo mi ha fatto sobbalzare – di un tesoretto (legittimo) di 430 milioni di euro accantonato presso la Banca D’Italia che equivale alla metà dei soldi pubblici ricevuti nei suoi dieci anni di vita. Ma stiamo scherzando? IIT potrebbe anche semplicemente essere inadatto ad essere il soggetto che conduce l’operazione HT. Quali le prove del contrario. Quali le analisi disponibili. In quanto a qualità, se è adatto, dimostri di essere il migliore competendo per l’accesso ai fondi pubblici. Tutto qui. […]
In questi giorni mi sono anche domandata perché alcuni enti (che mi hanno interpellato direttamente) siano rimasti fuori “dalla convocazione” per HT, che a un certo punto ho ricevuto anch’io, declinandola. Non solo ma in una mail privata al direttore di IIT ho suggerito come, a mio giudizio, si sarebbe dovuto rispondere al governo, e che per parte mia l’avrei aiutato a percorrere una strada trasparente. Io non ho bisogno di queste modalità di erogazione dei fondi pubblici per sostenere le mie idee, contribuendo, per come la vedo io, a discriminare quelle di altri, e non abdicherò mai dall’etica della scienza e dalla qualità dei metodi di ricerca per cui penso che valga la pena davvero continuare a fare questo lavoro. […]
Ho sicuramente molto da imparare ancora, ma so riconoscere benissimo chi ha qualcosa da insegnarmi e traggo quotidianamente ispirazione dai grandi della scienza contemporanea. Penso che le idee sull’etica della conoscenza scientifica di Jacques Monod andrebbero rilette a cadenza periodica e portate ai giovani ai quali dovremmo anche dare l’esempio del fatto che essere scienziati implica un’integrità eticamente forte, che va ben al di là del non rubare. Perchè c’è un principio di libertà, di uguaglianza e di pari opportunità tra le proposte messe in competizione tra loro per l’accesso alle risorse pubbliche circa il quale io non arretro un passo. A meno che quello che anche molti di voi scrivono nei loro libri o articoli divulgativi o di denuncia “dell’inefficienza del sistema italiano” siano solo atteggiamenti comodi da tenere in pubblico, mentre nel privato, quando in gioco c’è la messa in pratica del principio su sè stessi, si fa comunque all’italiana, le stesse cose che sono state criticate. E per ogni stortura del sistema non serve fare altro che denunciarla, nome e cognome, con il tempo e l’impegno necessario per perseguirla. La mia prima denuncia di “distorsioni” nella sfera delle politiche della scienza è del 2001. Non ci guadagnavo niente. C’era un principio tradito. Ce ne sono state diverse altre. Tutte documentate, tutte sulla base di solidi fatti e argomenti che, per quel che mi riguarda, ricadono nella responsabilità di cittadino e scienziato (e da due anni anche senatore) che partecipa a progettare il futuro di un paese, obbligato a portare le prove che trova e a esprimere i ragionamenti che ne conseguono in modo coerente e libero da condizionamenti. Sono pronta a ogni confutazione, ma non ad ascoltare discorsi generici, assenza di una conoscenza precisa di quello di cui si sta parlando o “opinioni” personali su gestioni, procedure e rapporti: come se uscendo dal nostro laboratorio improvvisamente tutte le regole che difendiamo perché grazie a esse possiamo ricercare, verificare e consolidare la comprensione delle molecole che studiamo, di colpo svanissero, e nelle dimensioni del nostro ingaggio sociale potessimo fare a meno di qualunque regola altrettanto definita e controllata in modo trasparente.
Per quanto riguarda la proposta dell’Agenzia della Ricerca, che condivido pienamente, che sostengo con il gruppo 2003 (di cui non faccio parte), mi chiedo solo chi tra voi, che ne ha parlato in questi scambi, metterà tante altre ore e energie per sostenerla oggi e domani, minuto dopo minuto, senza caricarne il lavoro sugli altri, con le varie interlocuzioni e modifiche necessarie per un piano tutto da sperimentare, rischiando il proprio tempo e il proprio impegno in laboratorio perché non si può pensare che questa classe politica concederà alla comunità scientifica un’autonomia decisionale, sulla base di regole trasparenti sul fronte del finanziamento sella ricerca. É una battaglia da fare assolutamente, ma con strategie intelligenti e non pensando ingenuamente che se lo chiede tutta la comunità scientifica allora si avrà successo.
Da anni buona parte della comunità scientifica in Italia si è ritirata e i più giovani e anche bravi stranamente vogliono “stare tranquilli”, non occuparsi “di cose politiche” che sono poi quelle che decidono del loro lavoro e della loro vita professionale. Ho avuto prova su diversi fronti di questo distacco degli scienziati più giovani e bravi. Mi auguro che cambino idea. Se si vuole che si ricominci ad avere un ruolo nella organizzazione politica della scienza bisogna cominciare col sostenere le proprie posizioni pubbliche argomentando con forti dati, e poi fare quel che si dice, avendo come guida i principi sia epistemologici sia etici della scienza. Ebbene, il mio primo e irrinunciabile è che la scienza è “libera”, cioè non è di proprietà di nessuno. Nemmeno degli scienziati. A noi (a me) spetta come obbligo morale difendere prima di tutto questa libertà e dopo, eventualmente, cercare di fare le cose che mi interessano anche per le loro ricadute. Per quanto mi riguarda questa sarà la mia posizione. Nel frattempo collaborerò, con chi tra voi da sempre ne è convinto e attivo proponente, per arrivare almeno ad immaginare la costruzione di una Agenzia per la ricerca, che sia indipendente dalla politica e dalla comunità scientifica, che sia competente e terza, che sia attrezzata di procedure, regole, e controlli e che magari sia solo l’inizio di un piano più ampio che possa diventare, un giorno, un momento costituente della ricerca.”
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