Questo è quello che succede in un Paese quando viene distrutto ogni credibile spazio delle buone emozioni e delle buone ragioni: la confusione emotiva e concettuale prende piede e come un’epidemia arriva ovunque, anche dove meno te lo aspetti. Qualcuno inventa una formula a effetto, uno slogan, semplice da ricordare: “utero in affitto”. Oppure una formula che si pretende giuridica, ma che di giuridico ha solamente la veste terminologica un po’ astrusa: “maternità surrogata”. Nulla di tutto ciò è contenuto nel disegno di legge Cirinnà discusso in Parlamento. Ma tant’è.
Qualcun altro poi scrive e fa girare un Appello, raccogliendo qualche sottoscrittore famoso. E a quel punto inizia l’effetto valanga, moltiplicato dai social, insuperabile terreno di coltura dell’opinionismo compulsivo. Leggendolo mi chiedevo se questi firmatari di fronte a una madre o a un padre adottivo come me se la sentirebbero di dire che sono genitori “per surroga”. Credo che non se la sentirebbero. Anzi, credo che ci attesterebbero con trasporto il loro apprezzamento per la nostra “generosa scelta”, così “difficile” e che probabilmente loro “non sarebbero riusciti a compiere”. E aggiungerebbero che anche per questo, perché se una coppia non può o non riesce ad avere figli, ma non è in grado di estinguere il suo desiderio, può comunque adottarne (“con tutti i bambini abbandonati che ci sono”), bisogna impedire ogni “maternità surrogata”, che come un ladro s’insinua nella sacra intimità della donna riducendo un dono a merce di scambio. Ecco, questo è esattamente il tipo di discorso che farebbero, molto probabilmente. Lo dico perché è anche il discorso che ordinariamente ci viene rivolto dalla gente, e che dimostra quanto poco l’istituto dell’adozione sia conosciuto, capito, accolto per quello che, grazie alla legge che lo disciplina, esso è: non una genitorialità di seconda istanza o accessoria (“di serie B”), non un atto umanitario. Ma semplicemente un patto tra adulti, in circostanze precisamente determinate dalla legge, che li vincoli di fronte alla pubblica autorità ad accogliere, allevare e crescere nel migliore dei modi un figlio, ognuno per la parte che può e dunque deve sostenere. Il patto, laddove vige la Convenzione dell’Aja per i diritti del fanciullo, e dunque per esempio non in Nord America, dove l’adozione è una mero contratto tra privati, prevede anzitutto filtri d’accesso; quindi la sottoscrizione d’impegni, non tra privati, bensì con le autorità pubbliche; un percorso umano trasformativo tutt’altro che semplice e scontato; un monitoraggio ex post, che potrebbe molto migliorare ma che tuttavia c’è. E naturalmente anche scambi in denaro. Non prezzi per una merce. Ma costi per l’espletamento di un servizio pubblico che in parte rilevante, tuttavia, ricadono sui genitori intenzionali e alleviano le condizioni materiali di vita dei genitori biologici, che in larghissima parte rinunciano o perdono la potestà genitoriale sui loro figli per ragioni economiche, oltre che spirituali.
Non so se i sottoscrittori di questo appello se la sentirebbero di dire a una coppia di genitori adottivi del mondo benestante che hanno adottato nel Terzo mondo, che per tutto questo hanno “comprato” i loro figli. O che colpevolmente non sono riusciti “egoisticamente” a “contenere il loro desiderio”, magari ricorrendo, anziché all’istituto internazionale, a quello nazionale dell’adozione, più aleatorio ma più egualitario, o addirittura all’istituto dell’affido, che avrebbe permesso di non recidere il legame originario del bambino con la famiglia biologica, quella “avventura umana straordinaria” che, secondo i firmatari dell’Appello, è la maternità. Credo di no, anche se lo penserebbero. Come lo pensano quanti ritardano od ostacolano in Italia e nel mondo il distacco dei bambini dalle loro difficili famiglie d’origine, procurando loro danni spesso irreversibili.
È d’altronde qui inconsapevolmente all’opera un retaggio patriarcale antico, non privo di sponde ideologiche e religiose. Può sembrare strano che sopravviva anche tra coloro che si sono a suo tempo battuti per l’emancipazione della donna dal suo ruolo destinale di partoriente a uso e consumo della collettività. Ma non deve sorprendere. I processi culturali sono lenti e sempre reversibili se non adeguatamente illuminati dal discorso pubblico, oggi purtroppo poco informato, scarno e confuso.
Vorrei allora rassicurare i firmatari dell’Appello, invece.
Il legame con quella “avventura umana straordinaria” non viene mai reciso. Esso anzi resta sempre ben presente e vivo. Non viene reciso nell’adozione. Non lo sarebbe nel caso di una “gravidanza surrogata” ben disciplinata dalla legge. Esso resta ben presente e vivo nella storia della famiglia che quel bambino ha desiderato, voluto, accolto. Nel racconto della sua venuta al mondo, che ha sempre un prima, un durante, un dopo. Nella consapevolezza condivisa, talvolta dolorosamente, talvolta no, delle circostanze avverse e dei limiti in cui sempre si svolge la nostra esistenza, ma anche delle opportunità che in essa sempre si celano. Quella “avventura umana straordinaria” non fa che entrare semplicemente a far parte di una nuova e più grande “avventura umana straordinaria”, rendendola ancora più straordinaria. La straordinarietà spaventa. Nessuno lo sa meglio di un genitore “per surroga”. Ma non sarà la paura dei sottoscrittori di questo Appello che vuole impedire una legge che disciplini la gravidanza surrogata, e non la maternità, in quanto tale evidentemente insurrogabile, ad arginare il desiderio di chi vorrebbe ma non riesce biologicamente ad avere un figlio.
Ha ragione Michela Murgia: “Prima delle legge sul divorzio gli uomini sparivano, abbandonavano le donne e i figli e nessuno poteva obbligarli al mantenimento. Prima della legge sull’aborto le donne abortivano lo stesso, ma morivano nel tentativo clandestino e nessuno ne aveva responsabilità. Le leggi che consentono sono le sole che possono mettere dei limiti all’azione che stanno legittimando, per il fatto stesso di riconoscerla. L’assenza di leggi permette invece qualunque eccesso, perché nessuno degli abusi perpetrati sulla parte debole è definibile come tale: semplicemente, senza leggi non esiste”. Su una sola cosa è invece imprecisa. Non esiste reale filiazione che nasca semplicemente dalla volontà, neppure quella adottiva. Tutto prende vita e solamente può prenderla dal “desiderio”, che è cosa diversa: si può volere quel che non si desidera, infatti; e desiderare quel che non si vuole. La volontà inclina all’impossessamento severo e guardingo. Il desiderio all’abbandono sorridente e fiducioso. Ed è proprio questo legame tra generazione e desiderio che fa paura a molti e che a molti pare scandaloso. Il desiderio non istituisce diritti, si dice infatti. No, in effetti. Ma neppure la biologia. Né tantomeno la nostra volontà. Eppure ci fanno meno paura. Forse dovremmo chiederci perché. Il desiderio, infatti, non è una pulsione che, insorgendo, s’impone, ma un’aspirazione che, affiorando, si coltiva. Esso non tollera alcun governo, richiedendo semmai ascolto, ascolto profondo. È da quest’ultimo, e soltanto da questo, infatti, che il desiderio può trovare il suo “giusto” limite, spegnendosi da se stesso come un fiume nel mare, un raggio nel sole. Altrimenti abbatterà ogni argine, riprendendo mille volte la sua corsa. Il senso di colpa dettato dalla paura è, e si crede, l’argine. Ma dove s’annida la paura e il senso di colpa, non c’è mai realmente esercizio della responsabilità. E dunque non sorgono né diritti né doveri.
«Casi analoghi di eccessiva unilaterale tensione del punto di vista conscio, e di conseguente reazione dell’inconscio (dello yin), interessano molto spesso la pratica neurologica in questi tempi di sopravvalutazione della volontà cosciente (“dove c’è volontà, c’è anche una via!”). Sia chiaro che non intendo affatto sminuire l’alto valore morale della volontà cosciente. Possano coscienza e volontà continuare a essere considerate le più alte conquiste culturali dell’umanità! Ma a cosa serve una morale che distrugge l’uomo? L’armonizzare volere e potere, mi sembra più importante che non la semplice morale. ‘Morale à tout prix’ non è forse un segno di barbarie? Spesso mi sembra meglio la saggezza. […] Comunque sia, sta di fatto che una coscienza potenziata a spese di un’inevitabile unilateralità, in tutti i casi si allontana talmente dalle immagini archetipiche da provocare un crollo. E già molto prima della catastrofe si annunciano i segni dell’errore, come assenza di istintualità, nervosismo e disorientamento, invischiamento in situazioni e problemi impossibili e così via. L’analisi del medico rivela subito un inconscio che, trovandosi in stato di completa ribellione contro i valori consci, non può dunque in nessun modo essere assimilato dalla coscienza; e il contrario è ancora più impossibile. […] A questo punto ha inizio dunque quella via che fu percorsa dall’Oriente fin da tempi immemorabili. È chiaro che il cinese potè percorrerla proprio perché non era mai stato in grado di separare gli opposti della natura umana in modo tale che andasse perduto ogni loro reciproco collegamento cosciente.» (C.G.Jung, Commento all’antico testo cinese “Il segreto del Fiore d’Oro”, Bollati Boringhieri, p.36)
Nel link che segue, un articolo di giornale finalmente informato e serio. Antidoto provvidenziale contro le opinioni automatiche e le diversioni, come quelle di chi perde tempo a chiedersi se Bagnasco abbia o meno titolo per fare Bagnasco, ovvero il vescovo cattolico che richiama il gregge ai compiti che la sua Chiesa ritiene cristiani. Ce l’ha. Ma ha torto. Perché la cattiva teologia non è mai all’altezza della complessità dell’esistenza. Ed è la ragione per cui anche Agostino, cui peraltro Bagnasco deve i rigori immorali della sua morale sessuale, in ultima istanza si affidava alla imperscrutabilità delle grazia e al sentimento della misericordia, che china lo sguardo, consapevole di quanto misteriosi possano essere i sentieri del Bene. Che significa saper tacere. E ascoltare.
La grave responsabilità dello sciagurato, disinformato, ideologico, Appello “femminista” contro la gravidanza surrogata. In questo equilibrato e acuto bilancio sull’esito del dibattito pubblico e parlamentare sul Ddl Cirinnà.
https://femministerie.wordpress.com/2016/02/27/unioni-civili-perche-non-siam-contente/