Tanti auguri alla “buona scuola”: com’è, come dovrebbe essere, come vorremmo che fosse
(Il “nuovo” a volte è solo il volto presentabile del vecchio)
di
Antonella Astolfi, Wilma Plevano
docenti di Filosofia e Scienze umane
Liceo Statale “G. Marconi” – Pescara
Nata con l’intenzione di dare una risposta a questioni ormai annose del sistema d’istruzione e formazione italiano, la “buona scuola” intercetta problematiche effettive ma finisce per creare nuove criticità. Propone a volte soluzioni inefficaci e per più di un aspetto decisamente inappropriate alle finalità dell’Istituzione scolastica.
Nello specifico, non solo non sottopone ad alcun vaglio critico e ad alcuna discussione pubblica l’opportunità o meno d’importare nella scuola 2.0 il modello aziendalistico imposto già da un paio di riforme a questa parte; anzi, nonostante il parere contrario della stragrande maggioranza degli addetti ai lavori, lo accentua.
Così, questioni effettivamente aperte come l’aggiornamento dei metodi didattici e dei programmi scolastici, lo scollamento con il mondo del lavoro e la valutazione degli insegnanti sembrano prendere una piega decisamente paternalistica e, al tempo stesso, audacemente sbrigativa: nonostante il battage pubblicitario in tal senso, la “buona scuola” non ha invertito la rotta né posto rimedio al decurtamento del monte ore introdotto dalla precedente riforma Gelmini. In compenso, ha però istituito forme e modi di rapporto con il territorio e prassi didattiche che, nella situazione reale in cui tante scuole si dibattono, rischiano di rimanere, nella migliore delle ipotesi, del tutto teoriche e andrebbero dunque sottoposti ad un’attenta riflessione (per la quale si rinvia al testo che segue). Un discorso analogo riguarda la valutazione degli insegnanti, esigenza avvertita urgentemente anche all’interno del corpo docente, contrariamente a quanto certa vulgata vorrebbe: se quella della definizione del merito è una questione importante e che andava sollevata da tempo, le modalità attraverso cui si vorrebbe perseguirla suscitano non poche perplessità, funzionali come sono più alla ricerca di un consenso conformista che ad un effettivo miglioramento del livello medio della professionalità docente.
Per qualche proposta circostanziata in merito alle forme e ai modi della didattica, del fare scuola che da modello teorico, peraltro discutibile, possa trasformarsi in pratica concreta e della valutazione dei docenti si rinvia al testo che segue; si sottolinea intanto che il valore della professionalità docente passa per fare l’insegnante e cioè, maieuticamente e fino in fondo, senza compromessi, educare al gusto d’interpretare la realtà che ci circonda criticamente e autonomamente. Solo così si potrà davvero immaginarla diversa, migliorarla e ampliarla passando dall’Italia, all’Europa, al mondo.
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