Volentieri pubblichiamo l’interessante contributo di Antonio Longo, direttore de L’Unità Europea, che offre schematiche considerazioni in merito alla risposta bellica europea all’Isis:
- Il Medio-oriente è come l’Europa prima che si avviasse il processo di unificazione: stati in lotta per l’egemonia dell’area, alleanze che si creano tra ex-nemici per contrastare nuovi nemici, potenze esterne che intervengono a sostegno delle fazioni in lotta per conservare o estendere la propria area di influenza.
- In mezzo a stati falliti, come la Siria e l’Irak, c’è una forza politica che cerca di farsi stato: ha un territorio, un esercito, una struttura amministrativa, giudiziaria e finanziaria. L’Isis usa la religione come forza ideologica per acquisire potere; utilizza il terrore che determina paura perché sa che, anche la paura, è uno strumento per esercitare ed accrescere il potere; l’Isis è uno stato ‘in fieri’.
- La comunità internazionale, per il concetto che ne abbiamo noi occidentali, non può evidentemente accettare un potere-stato che si esprime con il terrore. Se questa comunità internazionale fosse la res publica universalis kantiana (o la federazione mondiale), di fronte a una ‘provincia ribelle’ che utilizza il terrore per esercitare potere su un certo territorio, interverrebbe per riaffermare che il monopolio della forza sta solo in capo a essa. La sua azione repressiva si configurerebbe come legittima azione di polizia internazionale.
- Ma la federazione mondiale ancora non c’è. Ciononostante un ordine internazionale viene, prima o poi, ristabilito. Ma ciò non avviene con l’imperio della legge (internazionale), che non c’è, bensì sulla base del potere più forte esistente nel momento dato. Nella seconda metà del secolo scorso l’ordine mondiale è stato assicurato, in gran parte, dagli USA, in condominio-competizione con l’URSS. Oggi il potere mondiale è più articolato, per l’affermazione di nuove potenze (Cina, India) e per l’emergere di un attore (come l’Europa) che potrebbe esercitare un ruolo nella composizione del conflitto mediorientale.
- Ma l’Europa non esiste nel campo della politica estera e della difesa, perché gli stati nazionali non intendono ancora rinunciare al feticcio della sovranità nazionale su questo terreno, dove si esprimono ancora gli Stati, che fingono-si illudono di esercitare ancora un ruolo (la Francia, il Regno Unito), mentre altri sono attendisti e recalcitranti (Germania, Italia). Ancora una volta la divisione dell’Europa rischia di non dare alcun apporto alla soluzione del problema: quindi, di perpetuare l’instabilità politica, di alimentare il conflitto di potere in Medioriente che, mescolato con il fanatismo religioso e la crisi economico-sociale, crea la miscela esplosiva del terrorismo.
- Gli Europei possono intervenire in Medioriente se hanno una strategia, per colpire il terrorismo come premessa per dare stabilità, pace e sviluppo a quell’area. L’interventismo francese non esprime alcuna strategia: agisce come forza per conto altrui (sono gli americani che gestiscono le informazioni ed indicano gli obiettivi da colpire: i mirages eseguono). Per avere una strategia politico-militare occorre disporre di un centro politico decisionale autonomo: per questo la cosa più saggia sarebbe quella di creare subito una “cooperazione strutturata permanente” nel campo della difesa e della sicurezza, anche tra un gruppo di Stati (almeno 8), come prevede il Trattato di Lisbona: uno stato maggiore unificato che sovraintende corpi militari d’eccellenza.
- Un fatto del genere mostrerebbe che l’Europa è capace di agire anche sul tema della sicurezza, con una propria struttura federale, così come è avvenuto sul terreno monetario, con l’euro e la BCE. L’Europa dovrebbe poi dichiarare (scelta politico-strategica) che questa propria forza politico-militare sarebbe a disposizione dell’ONU per intervenire nelle aree di crisi del mondo: avremmo in nuce la nascita delle prime forme di polizia internazionale, come braccio armato di un ‘governo mondiale parziale’ (come lo definiva Einstein), rappresentato da un Consiglio di sicurezza dell’ONU riformato (eliminazione del potere di veto) e composto dalle grandi aree continentali (USA, Russia, Cina, Europa, India, Brasile).
Se vogliamo essere concreti e propositivi dobbiamo allora spingere perché un gruppo di Paesi europei si muova subito per creare una cooperazione strutturata permanente sul terreno della difesa e della sicurezza: sarebbe questa la migliore risposta al terrorismo che, non a caso, sceglie l’Europa come bersaglio perché sa che qui c’è un vuoto di potere.
Dobbiamo colmarlo subito.
Antonio Longo
Direttore de L’Unità Europea
Giornale del Movimento Federalista Europeo
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