Europa inerme – ovvero viaggio di palo in frasca è il saggio musiliano del 1922 che Francesco Valagussa ha reso disponibile anche in italiano, con un prezioso testo a fronte, per le edizioni Moretti e Vidali 2015, il libretto è appena uscito. Ed è corredato anche da tre saggi italiani che da questo prendono le mosse: di Vincenzo Vitiello, dello stesso Valagussa e di Adone Brandalise.
Questi appunti di lettura riguardano esclusivamente il saggio musiliano, non sono quindi una vera recensione di questo libro, ma offrono solo un primo spunto ad altri interventi, magari proprio degli altri autori – o su di loro.
E’ bellissima e molto appropriata la traduzione del sottotitolo, che rende in pieno lo spirito della “ritrattazione ironica” fatta seguire da Musil a un titolo tanto imponente. La traduzione del quale è certo efficace: suscita subito l’incongrua associazione con il problema contemporaneo della lamentevole assenza di una politica estera europea, e prima che la sentinella critica dentro abbia sbuffato “ma che c’entra, è un saggio del ’22!” – l’attenzione è già catturata, e appena lo ricevi in regalo (grazie!), se appena hai un’ora ti sprofondi in una lettura piacevolissima. Poi alla fine ritorni sul titolo e lo consideri con più stupore di prima. Perché “inerme”? Perché è una traduzione di hilflos, certo: Das hilflose Europa era il titolo.
“Inerme” è la prima accezione di hilflos, quella che vale schutzlos, “privo di protezione”. Ma la seconda è ratlos, “privo di consiglio”. Uno che non sa che pesci prendere, da che parte andare. Uno che non sa risolversi – in tutta la profondità dei sensi del termine: decidersi, ma anche sciogliere i suoi nodi, sciogliere gli ormeggi. Uno che è irresoluto perché è perplesso. La perplessità è un interrogativo senza meraviglia, anche se non senza angoscia. Può nascere da un embarras de richesse – uno è “senza consiglio” perché ha troppi consigli, troppe consulenze, e soprattutto troppi dati. La perplessità è lo stato mentale caratteristico – avrebbe forse detto l’ingegner Musil – di uno che deve mettere i dati in un’equazione e si trova davanti a troppe incognite. La perplessità è un non sapere senza meraviglia perché stanco di troppe pseudo-soluzioni, o piuttosto di troppe consulenze a vanvera. E’ come la fine di un congresso che ti ha deluso, la mattina sembrava propizia all’avventura di conoscenza, la sera hai solo mal di testa. E’ uno stato d’animo che assomiglia alla “stupefatta inquietudine” che troviamo descritta nella prima pagina del saggio. Appunto: non più stupore nel senso di sorpresa, ma stupefazione. Inquieta, tuttavia. L’inquietudine che morde quando non riusciamo a capire che cosa ci succede, anzi, cosa stiamo facendo – oltre a non sapere cosa dovremmo fare. Morde quando il sapere di non sapere riguarda quello che ci sta a cuore, le cose più care, e infine anche noi stessi. Sì, avrei preferito “Europa perplessa”. (continua a leggere qui)
Commenti recenti