Sono uomini e donne come noi, ha detto il Papa. Come noi cercano la felicità. Non meno di questo! Anche quando fuggono disperatamente la guerra, la fame, la persecuzione. Non meno di questo: perché su ogni uomo e ogni donna cade la responsabilità di fare della propria vita qualcosa che abbia un senso e un valore. O ce ne renderemo conto, o non potremo rinnovarci come è necessario oggi, per riscoprire il senso della nostra umanità, la sua comune origine. Questa origine è oggi – è il cuore vivo della modernità, dell’Europa, del riconoscimento reciproco della nostra pari dignità sul quale abbiamo fondato le nostre Repubbliche. La frase del Papa, in questi nostri giorni, fa eco a quella che apre il Manifesto di Ventotene: “La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale, che non lo rispettassero”. Tutti coloro che nel mare della nostra indifferenza muoiono, inseguivano il sogno che noi abbiamo scritto sulle nostre Costituzioni, e poi dimenticato. Scrive Amin Maalouf nel suo libro Origini:
«Qualcun altro avrebbe parlato di “radici” … Non fa parte del mio vocabolario. La parola “radici” non mi piace, e ancor meno l’immagine che evoca. Le radici affondano nel suolo, si contorcono nel fango e si sviluppano nelle tenebre. Trattengono l’albero prigioniero da quando nasce e lo nutrono in virtù di un ricatto: “Se ti liberi, muori”. Gli alberi si devono rassegnare, hanno bisogno delle radici: gli uomini, no. Noi respiriamo la luce, aspiriamo al cielo e, quando veniamo ficcati sotto terra, è per marcire. La linfa del suolo natale non risale dai piedi alla testa; i piedi servono solo per camminare. A noi importa solamente delle strade: sono le strade che ci guidano – dalla povertà alla ricchezza oppure a un’altra povertà; dalla schiavitù alla libertà o alla morte violenta […] le strade non spuntano dal suolo a caso, dove germoglia un seme. Come noi hanno un’origine”.
Non di radici, ma di questa origine ha parlato il Papa, di lei parla il Manifesto di Ventotene. Da questa origine nasce l’Europa, il sogno dei migranti. Che la loro tragedia ci risvegli. Nella nostra indifferenza non affogano loro soltanto. Affonda il senso, il valore, la felicità dell’Idea d’Europa.
SOS – Sterminio in mare
di Barbara Spinelli
700 morti nel Mediterraneo nella notte tra sabato 18 aprile e domenica, a 60 miglia dalle coste libiche. È il più grande sterminio in mare dal dopoguerra, dopo i 366 morti del 3 ottobre 2013 a Lampedusa. Inutile snocciolare i numeri delle scorse settimane, le percentuali in costante aumento: sempre giunge l’ora in cui il numero acceca la vista lunga, la storia che sta alle spalle, le persone che la cifra indica e al tempo stesso cancella. Enumerare non serve più, se non chiamiamo a rispondere gli attori politici del dramma: la Commissione europea, gli Stati dell’Unione, l’Alto Commissariato dell’Onu. A tutti va ricordato che le normative sul soccorso dei naufraghi e sul non respingimento sono divenute cogenti in contemporanea con l’unificazione europea, in memoria del mancato soccorso alle vittime dei genocidi nazisti. Sono la nostra comune legge europea.
A questi attori politici bisogna rivolgersi oggi con una preliminare e solenne domanda: smettete l’uso di parole altisonanti; passate finalmente all’azione; non reagite con blocchi navali che tengano lontani i fuggitivi dalle nostre case, come si tentò di tener lontani gli ebrei in fuga dal nazismo. Questo è un giorno di svolta. A partire da oggi non è più possibile evocare imprevisti incidenti, e al posto di emergenza occorre mettere la parola urgenza. Bisogna guardare in faccia la realtà, e chiamarla col nome che merita: siamo di fronte a crimini di guerra e sterminio in tempo di pace, commessi dall’Unione europea, dai suoi 28 Stati, dai Parlamentari europei e anche dalle Nazioni Unite e dall’Alto Commissariato dell’Onu. Il crimine non è episodico ma ormai sistemico, e va messo sullo stesso piano delle guerre e delle carestie acute e prolungate. Il Mar Mediterraneo non smette di riempirsi di morti dal 28 marzo 1997, quando, nel naufragio della Katër i Radës, 81 profughi albanesi perirono nel canale di Otranto; di altri 25 il mare non restituì mai i corpi. Lo sterminio dura da almeno 18 anni: più delle due guerre mondiali messe insieme, più della guerra in Vietnam. È indecenza parlare di “cimitero Mediterraneo”. Parliamo piuttosto di fossa comune: non c’è lapide che riporti i nomi dei fuggitivi che abbiamo lasciato annegare. (continua la lettura dell’articolo pubblicato sul sito di Libertà e Giustizia qui)
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