Europa, stato sociale e mercati
La terza parte del manifesto di Ventotene descrive i compiti del dopoguerra ed in particolare la riforma della società affermando che […] le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma […] essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime. Le gigantesche forze di progresso, che scaturiscono dall’interesse individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica “routinière” […] vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore possibilità di sviluppo ed impiego, e contemporaneamente vanno perfezionati e consolidati gli argini che le convogliano verso gli obiettivi di maggiore utilità per tutta la collettività. Queste affermazioni seguite da una elencazione di punti programmatici trovano rispondenza nella proposta di Welfare State che William Beveridge mise a punto nel 1942 su richiesta di Churcill. Il manifesto di Spinelli e lo Stato sociale di Beveridge contribuiscono in modo significativo a definire i diritti sociali e ad integrarli attraverso le costituzioni in un contesto in cui essi si presentano come portatori di eguaglianza sostanziale e come elementi fondativi di una complessiva cittadinanza sociale.
Il processo di costruzione dell’Europa vede all’inizio confrontarsi due visioni contrapposte: quella federalista di Spinelli che ha tra i suoi sostenitori anche Beveridge e quella funzionalista di Monnet che pensava che una progressiva integrazione economica fra gli stati europei avrebbe messo in moto un ingranaggio lento ma inarrestabile, il cui funzionamento avrebbe automaticamente prodotto, in un futuro indefinito ma certo, la loro integrazione politica. E’ questa visione che prevale e che prende il via con la proposta di creazione di una comunità economica europea del carbone e dell’acciaio (CECA) contenuta nella dichiarazione di Schuman (1) del 1950 certi che L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto.
E con ciò si avviano due percorsi paralleli: quello dello sviluppo dello Stato sociale che viene condotto a livello nazionale dai singoli stati e quello di costruzione di un modello organizzativo della UE inizialmente basato soprattutto sui trattati e sul perseguimento di comuni interessi economici.
Per quanto riguarda lo Stato sociale […] la redistribuzione moderna non consiste in un trasferimento di ricchezze dai più ricchi ai più poveri […] Consiste nel finanziamento di servizi pubblici e di redditi sostitutivi […], in particolare nel campo dell’istruzione, della salute e delle pensioni. […] Per quanto riguarda l’istruzione e la salute, si tratta di un’uguaglianza assoluta: ciascuno accede ai servizi scolastici e sanitari a prescindere dal reddito personale o da quello dei genitori, perlomeno in linea di principio. La redistribuzione moderna è costruita attorno a una logica di diritti e a un principio di parità di accesso a un certo numero di beni ritenuti fondamentali. (2) […] In tutti i paesi sviluppati, nell’arco di 50 anni [dal 1930 al 1980] la quota d’imposta sul reddito nazionale viene moltiplicata per un fattore pari almeno a tre o quattro (a volte cinque, come nei paesi nordici) (3) […] In altri termini, lo sviluppo dello Stato fiscale avvenuto nel secolo scorso corrisponde sostanzialmente alla nascita di uno Stato sociale. (4) […] Quando i redditi aumentano del 5% annuo, non è tanto difficile accettare che una parte della crescita sia destinata ogni anno all’aumento del tasso di prelievo fiscale e di spesa pubblica […] soprattutto in un contesto in cui i bisogni in termini di istruzione salute e pensioni appaiono evidenti, tanto è vero che si parte da livelli molto bassi sia nel 1930 sia nel 1950. Mentre, a partire dagli ottanta e novanta, […] con una crescita del reddito medio per abitante adulto di poco più dell’1% annuo, non c’è nessuno che si auguri una crescita massiccia del prelievo fiscale […]. (5)
Per quanto riguarda l’architettura della Unione Europea il percorso funzionalista finalizzato a «promuovere l’interesse generale dell’Unione» (art. 17, Tue) identificato nella realizzazione di una «… economia di mercato aperta ed in libera concorrenza» (art. 119 del Tfue) arriva nel 1992 alla tappa cruciale del Trattato di Maastricht nel quale si decide la creazione dell’euro. [889] L’unione monetaria – dice Piketty nel suo libro “Il capitale nel XXI secolo” – comporta naturalmente un’unione politica, fiscale, di bilancio, vale a dire un legame sempre più stretto. […] Ho però l’impressione che, a forza di non voler tracciare con precisione il cammino da intraprendere, […] si rischi talvolta di uscire di strada. Se l’Europa, nel 1992, è arrivata a creare una moneta senza Stato […] lo ha fatto anche perché un tale disegno istituzionale è stato concepito tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, in un momento in cui si pensava che l’unica funzione delle banche centrali fosse quella […] di assicurarsi che l’inflazione si mantenesse su livelli relativamente bassi. […] Così si è arrivati a creare una moneta senza Stato e una banca centrale senza governo. Un’idea, quella della sostanziale passività delle banche centrali, che è andata in pezzi dopo la crisi del 2008, in seguito alla quale tutti hanno riscoperto il ruolo cruciale svolto dalle banche stesse in caso di grave crisi economica, e, con esso, il carattere del tutto inadeguato dell’architettura istituzionale europea. (6)
Per uno Stato esistono soprattutto due modi per finanziare le proprie spese: l’imposta e il debito pubblico. Finanziarsi è una questione di credibilità: per l’imposta nei confronti dei cittadini, per il debito pubblico nei confronti degli investitori. Ad una perdita di credibilità corrisponde una perdita di sovranità, condizione effettiva nella quale paradossalmente si vengono a trovare gli Stati membri della UE quando, rifiutando di cedere sovranità alla UE, la cedono di fatto ai mercati.
[891] Dopo l’introduzione dell’euro nel 2002, fino al biennio 2007-8 i tassi di interesse sono stati rigorosamente gli stessi per i vari paesi. Nessuno pensava a una possibile uscita dall’euro e tutto sembrava funzionare bene. Tuttavia, quando è esplosa la crisi finanziaria mondiale, i tassi hanno cominciato a differenziarsi in misura notevole. […] Quando un debito pubblico sfiora una annualità di PIL, basta una variazione di pochi punti sul tasso d’interesse per provocare gravi conseguenze. Inoltre di fronte a queste incertezze, diventa pressoché impossibile organizzare un serio dibattito democratico sugli sforzi necessari e le norme indispensabili per riformare lo Stato sociale. [892] Secondo logica, la contropartita alla perdita di sovranità monetaria, dovrebbe essere l’accesso a un debito pubblico garantito, e a un tasso basso e prevedibile. [894] Quel che è certo è che l’eurozona non può fare a meno, per decidere pubblicamente, democraticamente e sovranamente la propria strategia di bilancio, e più in generale il modo in cui intende uscire dalla crisi bancaria e finanziaria nella quale si sta dibattendo, di una vera rappresentanza parlamentare. I consigli dei capi di Stato o i consigli dei ministri delle finanze non possono in alcun modo prenderne il posto. (7)
Faccio osservare – dice Scalfari in fondo al suo editoriale su La Repubblica del 25 Gennaio 2015 – un aspetto che non viene mai ricordato e che invece dovrebbe avere un notevole peso: un articolo del trattato di Lisbona stabilisce esplicitamente che l’Unione europea deve avere una sua realizzazione politica, ottenuta con le necessarie cessioni di sovranità dei governi nazionali. Perché quell’articolo non viene mai tenuto presente? Esso implicherebbe un bilancio comune, un fisco comune, una politica estera comune, una presenza permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu e un debito sovrano comune, un Parlamento votato in comune dagli elettori europei. Spetta soprattutto alla Germania assumere l’iniziativa di questo sogno e il rispetto del trattato di Lisbona ma spetta ai governi di tutti i membri dell’Ue di obbligare la Germania a prendere l’iniziativa o a prenderla senza di lei. Il vero guaio è che i capi dei governi non amano affatto cedere una parte rilevante della loro sovranità. Questo fa paventare il peggio per un futuro molto e molto prossimo: in una società globale sono i continenti a confrontarsi e non gli staterelli, ciascuno padrone in casa propria ma irrilevante fuori essa. I coraggiosi, caro Renzi, debbono mostrare su questo tema il loro coraggio ma finora nulla si è visto e semmai si è visto il contrario. Alla fine voi personalmente conterete di più ma i Paesi che governate non conteranno niente, Germania compresa. È questo che volete? La via europea è estremamente importante e bisogna percorrerla. Noi non siamo gufi, ma contro i mercanti che rivendicano i loro interessi perfino Gesù prese il bastone. [La repubblica 2571/15] (8)
E forse ancora una volta la speranza di rinnovamento parte dalla Grecia con la vittoria di Syriza.
“La Grecia è il Paese di Sofocle, che con l’Antigone ci ha insegnato che esistono momenti in cui la legge suprema è la giustizia”, le prime parole dei dirigenti di Syriza. Così è stato. Adesso si aprirà una nuova fase: “La Troika è il passato”. Per la Grecia, per l’Europa e forse per l’Italia. Infine Tsipras, nel primo discorso post voto, ha anche teso la mano alla Ue: “Troveremo con l’Europa una nuova soluzione per far uscire la Grecia dal circolo vizioso dell’austerità e per far tornare a crescere l’Europa. La Grecia presenterà ora nuove proposte, un nuovo piano radicale per i prossimi 4 anni”. La sfida dell’esecutivo, la vera sfida. Forse la più temuta. Far rispettare quel programma di speranza e cambiamento, molto ambizioso. Se Syriza, da opposizione, non ha sbagliato un colpo, ora ha il compito dal governo di non deludere le aspettative. Intanto, nel dubbio, benarrivato Tsipras. [micromega 26/1/15] (9)
1 http://europa.eu/about-eu/basic-information/symbols/europe-day/schuman-declaration/index_it.htm
2 Thomas Piketty “Il capitale nel XXI secolo” pagg. 743-744
3 Thomas Piketty “Il capitale nel XXI secolo” pag.736
4 Thomas Piketty “Il capitale nel XXI secolo” pag. 743
5 Thomas Piketty “Il capitale nel XXI secolo” pag. 749
6 Thomas Piketty “Il capitale nel XXI secolo” pag. 889
7 Thomas Piketty “Il capitale nel XXI secolo” pagg. 891-2-4
8 http://www.repubblica.it/politica/2015/01/25/news/si_apre_il_ballo_e_berlusconi_monta_a_cavallo-105710156/
9 http://temi.repubblica.it/micromega-online/syriza-le-ragioni-della-vittoria/
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