Perché tutti noi docenti ascoltiamo, almeno, le parole di un collega che è anche Cavaliere della Repubblica per aver salvato una biblioteca preziosa dal saccheggio, e che conosce a fondo i problemi del patrimonio artistico e paesaggistico italiano, e ci dice quanto disastrosa sarebbe l’applicazione pura e semplice del cosiddetto decreto Sblocca-Italia.
Con estromissione delle sovrintendenze dal giudizio di edificabilità, con svendite sistematiche dei demani, con principio del silenzio assenso per i permessi di ogni tipo, con il riavvio delle trivellazioni di fronte alle coste e ai fondali marini più fragili, con il taglio di ogni impedimento alle autostrade Spaccamaremma, Orte Mestre, etc., con la svendita del patrimonio immobiliare pubblico senza il parere del ministero dei beni culturali… Perché lo ascoltiamo, e poi se possibile con la nostra voce chiediamo da tutte le scuole d’Italia di togliere dal decreto tutti questi dispositivi che ci riportano al solo, eterno, omicida modello di sviluppo: continuare con 8 mq al minuto di consumo di suolo. Mangiare se stessi, per dimenticare la fame.
“Lascia interdetti lo scaricabarile tra il Presidente del Consiglio e il Presidente della Liguria sulle responsabilità del dissesto del territorio italiano. E non solo perché è indecoroso mettersi a discutere mentre i cittadini e la Protezione civile lottano contro il fango: ma anche perché la questione è troppo maledettamente seria per liquidarla a colpi di dichiarazioni e controdichiarazioni tagliate con l’accetta.
Andrà scritta, prima o poi, la vera storia della cementificazione dell’Italia. Quella storia che oggi ci presenta un conto terribile. Andranno identificati, esaminati, valutati i giorni, le circostanze, i nomi, le leggi nazionali e regionali, i piani casa, i piani regolatori, i condoni, i grumi di interesse che — tra il 1950 e il 2000 — hanno mangiato 5 milioni di ettari di suolo agricolo. E che solo tra il 1995 e il 2006 hanno sigillato un territorio grande poco meno dell’Umbria, in un inarrestabile processo che oggi trasforma in cemento 8 metri quadrati di Italia al secondo: come ci ricorda un prezioso libretto di Domenico Finiguerra.
Per dare un titolo a questa brutta storia, negli anni Settanta Giorgio Bocca, Indro Montanelli e Antonio Cederna parlarono di “rapallizzazione”: perché Rapallo e tutta la Liguria erano il luogo simbolo della distruzione del paesaggio e della deformazione delle città. Per sapere che quella regione non ha cambiato verso, non importa leggersi le statistiche che ci dicono che, tra il 1990 ed il 2005, in Liguria si è massacrato il territorio più che in Calabria e in Campania: basta accendere la televisione.” (continua a leggere qui l’articolo di Tomaso Montanari, apparso su La Repubblica e ripreso da MicroMega)
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