Segnaliamo volentieri il volume:
Quanto siamo responsabili?
Filosofia, neuroscienze e società
a cura di Mario De Caro, Andrea Lavazza, Giuseppe Sartori
Codice Edizioni
Tutti pensano di sapere, in prima istanza, che cosa sia la responsabilità: l’assumersi la paternità e l’onere delle proprie azioni. Ma sono molti i sensi di responsabilità. La responsabilità può essere intesa come integrità; come dovere di ruolo; come presa in carico delle conseguenze; come causa; come capacità; come punibilità. E su ognuna di queste accezioni si potrebbe molto ragionare. Non, però, senza avere prima considerato la domanda più classica: la responsabilità ha per precondizione assoluta la libertà di chi agisce? Ovvero, se non siamo liberi, non possiamo nemmeno essere responsabili di ciò che facciamo o di ciò che siamo? continua a leggere
«Sono in particolare le neuroscienze ad avere portato, per così dire, il determinismo direttamente dentro il cervello». Questa frase compare nella presentazione del volume collettaneo di cui sopra. Sarebbe interessante approfondire esattamente in che senso s’intende qui la parola determinismo. E perché si parli di determinismo e non di indeterminismo, visto che nella scienza contemporanea i due concetti stanno generalmente l’uno nell’ombra dell’altro. Ma anche se e come e in che misura, infine, esso possa riconnettere secondo una qualche legge scientifica identificabile i “fenomeni” microfisici a quelli neurobiologici, questi ultimi a quelli antropologici o psicologici e infine personali (e dunque etici) che si manifestano nel nostro modo di taglia media, in relazione al quale valgono gli usi linguistici di parole come “io”, “tu”, “noi”, “carattere”, “causa”, “scopo”, “colpa”, “fortuna, “caso”, “destino”, “responsabilità” ecc.
In che senso, infatti, un presunto determinismo o anche indeterminismo dei fenomeni naturali metterebbe in questione la validità di tali usi? Non è più probabile, semmai, che ne metta in gioco di nuovi? E che questi ultimi, tuttavia, non possano istituirsi altrimenti che misurando la loro tenuta teorica e pratica in relazione a e sulla base di un senso, una regola d’uso, di quelli? E che tale senso, tale regola d’uso, debbano essere assunti necessariamente come validi, pena un controsenso a causa del quale ci si venga a trovare continuamente a dover ammettere per un verso quel che si ritiene di dover negare per un altro?
Come esempio non nuovo di discussione attorno all’esistenza o meno del libero arbitrio alla “luce” delle nostre “attuali conoscenze scientifiche”, ecco un articolo recentemente tradotto e pubblicato su Le Scienze.
Dieci errori concettuali in materia di libero arbitrio
Per fare una domanda assurda ma neppure troppo, dato il livello di genericità e astrattezza delle questioni per come qui sono poste. Quale descrizione ragionevole potremmo dare, per esempio, nei termini, che so, della fisica delle particelle, del seguente stato di cose: “Stefano Cardini siede sul divano della sua casa milanese, incerto se commentare o no le opinioni sul libero arbitrio della sig.na Hossenfelder, in base all’assunto, per la sig.na Hossenfelder infondato, che essa le abbia scritte in scienza e coscienza, ovvero, del tutto liberamente”?
Deterministi e indeterministi di tutto il mondo unitevi.
Grazie Stefano, eccellente, è una domanda non troppo dissimile da quella che tanto spesso e senza risposta io posi al magnifico, adorabile Dado Boncinelli (recente autore di un Poema cosmogonico) – quando diceva (e lo ripeteva piuttosto spesso): IO sono le mie sinapsi. E io gli chiedevo: scusa, le sinapsi di chi? (A voler procedere con rigore per sostituzione, la risposta sarebbe: “delle mie sinapsi”). È vero, la logica della domanda non è la stessa. La tua è piuttosto simile a quella del determinista al ristorante, che al cameriere che gli chiede l’ordinazione risponde “io sono determinista-. Faccia un altro giro, intanto vediamo se vien fuori cosa ha in programma il mio cervello per oggi”. Dopodiché, se al giro seguente la determinazione ancora non è nota, il cliente determinista se ne dovrà andare, proprio come se avesse deciso di non rispondere. Questi argomenti però hanno il torto di essere basati sugli usi, linguistici o no. Se le convenzioni vigenti ci condannano a parere liberi (autori delle nostre azioni, e dotati del potere di fare altrimenti) questo non necessariamente vorrebbe dire che il determinismo (o se qualcuno preferisce, l’indeterminismo) è falso, ma solo che la verità metafisica, qualunque essa sia, non ha alcun impatto sui costumi. Questo è un po’ troppo wittgensteiniano, o un po’ troppo comportamentista, per i miei gusti.
Però c’è una interpretazione della tua domanda che va – mi pare – all’essenziale – e forse era quella che tu intendevi. “In scienza e coscienza” dice tutto quel che conta. È possibile giustificare deterministicamente un’asserzione? Più in generale, è possibile agire correttamente (qualunque sia la norma di correttezza) in modo deterministico? E come, se – dato che si risponda sì – non era allora possibile agire scorrettamente, o sbagliare? Dunque la scienza della signorina Hossenfelder o non è prodotta deterministicamente, oppure è infondata e infondabile.
Inviterei tutti i partecipanti al seminario “Allora io non esisto”? (Identità e persona, San Raffaele) – e chiunque altro voglia associarsi – a leggere le tesi della signorina Hossenfelder e a commentare …
Sì, Roberta, la mia domanda conteneva due obiezioni in una. In merito al primo senso al quale ti riferisci, però, mi permetto di spezzare una lancia in favore di Wittgenstein, la cui nozione di gioco linguistico a mio parere si fonda sempre su quella che Husserl avrebbe definito legge essenziale. Anche se, per la verità, non sono esperto di cose wittgensteiniane, che anzi mi hanno sempre messo in soggezione. Comunque, sulla questione un po’ spicciamente e pretenziosamente affrontata dalla sig.na Hossenfelder, oltretutto con quel tono di divertita sfida che non di rado gli scienziati “duri” – chissà perché – assumono, consiglio la lettura di Emergentismo di Andrea Zhok, che passa ottimamente in rassegna tutte le più recenti e valide posizioni in campo. D’altronde il tema dei nessi essenziali e dei rapporti di fondazione tra cause e motivi, ovvero il tema generale della condizionalità in cui è immerso il nostro agire, è un tema rilevante per la fenomenologia e che va ben oltre l’antiquata benché popolare discussione attorno all’esistenza o meno del libero arbitrio, che di per sé, se presa alla lettera, è poco più che un gioco di società. Che abbia senso parlare di libero arbitrio è chiarissimo e solamente uno sfaccendato polemico può seriamente preoccuparsene. La cosa interessante, invece, è analizzare quello che sta o può stare tra l’agire in scienza e coscienza del tutto liberamente, o addirittura in stato di grazia, e l’agire sotto costrizione esteriore o interiore. Si tratta di una vasta gamma di atti complessi, che ci costringono a sondare la linea d’ombra che separa l’io attivo dai processi più passivi costitutivi del suo mondo e del corpo proprio, in cui un posto non di seconda fila spetta a una fenomenologia dell’inconscio depurata da ogni naturalismo, psicoanalitico non meno che neurobiologico. Invece si sta qui a discutere dell’esistenza del libero arbitrio, manco avessero appena affisso 95 tesi sul portone di una cattedrale sassone 😉