Riflessioni intorno al documento “Un partito nuovo per un buon governo”
Se assumiamo che attualmente i partiti agiscono secondo schemi di azione che si rifanno a una struttura preventiva, quella che nella Teoria dell’Enazione di Francisco Varela nega le possibilità creative della struttura enattiva, la risposta è ipso facto affermativa, in ordine al contributo che il documento di Barca può dare a una tale scienza. Nel senso che l’imperante modalità di azione che vincola i partiti a una “perversa fratellanza allo Stato”, di cui ne sfrutta le immense risorse deprivandole o sottraendole ai cittadini, è usualmente una modalità preventiva. Vale a dire che non vengono valutati nelle pratiche politiche correnti i dati di novità insorti, ma questi sono del tutto trascurati perché ne è prevenuta la soluzione dei problemi emergenti. Spesso tale struttura preventiva, che orienta le decisioni, non fa vedere quello che le nuove generazioni vedono perché quel nuovo appare fortemente connaturato ad esse. Usualmente, non v’è nemmeno la ricerca di elaborare soluzioni mediante una “mobilitazione di conoscenze e di confronto pubblico, informato, acceso, ragionevole e aperto di idee e soluzioni con cui incalzare lo Stato”; ma vi è la conversione su modalità che assicurano replicanza e conservanza, pure coperte dalla denominazione liberiste, di fatto, tecnocratiche. Quando si ha un’apertura alle novità questo evento si manifesta come “spontaneismo della Rete”. La “mobilitazione cognitiva” del partito palestra di Barca somiglia molto alla struttura enattiva di Varela che ha come spinta propulsiva la cognizione, la mente, la coscienza e l’etica dell’impegno. Insomma, si ha bisogno di una epistemologia, cioè di una teoria della conoscenza di come si fa la conoscenza, che sia basata sul cervello, sulle sue straordinarie possibilità creative quando si specifichino le forme della mobilitazione cognitiva di Fabrizio Barca. Può un Paese come il nostro fare a meno di un Partito Democratico orientato a sinistra? Quello che è certo è che i partiti che si avvalgono della denominazione democratico non possono fare a meno del metodo democratico; che ha bisogno però di una ridefinizione. La crisi della politica è dovuta proprio a un lungo processo di graduale involuzione dello spirito democratico: quello del confronto condotto in termini culturali e di approfondimento, sostituito da strategie furbesche, producenti immense coltri di fumo che non fanno vedere il vedere. Come avvertiva Bateson i poli dell’opposizione che divide le persone sono necessità dialettiche del mondo vivente. Evitare di fare esercizio corretto di quelle polarità comporta processi involutivi che mettono in pericolo la democrazia. Ripristinare dunque il rapporto di forma e funzione è costitutivo di un partito che voglia definirsi, ed essere, democratico. Una riforma della politica, quanto mai urgente a fronte del suo attuale degrado, deve prevedere e definire le forme di quella “mobilitazione cognitiva” delle relazioni interne come precondizione di minima per lo svolgimento delle relazioni esterne, interpartitiche, che hanno una sede istituzionale primaria che è il Parlamento. Ma deve anche contenere un potenziale di autocorrezione che sorga da una dialettica di rigore, coerenza nell’accettazione e valorizzazione delle emergenti istanze allopoietiche della divergenza. E questo è obiettivo a lungo termine, perché, in prevalenza, il ceto politico, partitico, si è andato componendo di un esercito di furbetti del quartiere, peraltro prodotti da istituzioni formative che vanno sempre più sfornando non cittadini colti della convivenza civile, ma in gran misura con le caratteristiche della plebe. Ci salva, per ora, una minoranza –peraltro percettivamente in via di estinzione- che pure il sistema di istruzione ha prodotto e che produce per puro fatto statistico della logica della curva di Gauss. Questa intellettualità vivida è però chiusa nelle sicure nicchie delle Università, delle Accademie e dei Centri di ricerca. E certo non intende sporcarsi –fatte rare eccezioni- con l’attuale cultura della politica politicante. Ma, a ben riflettere, lo schema d’azione insito nella proposta di Barca dello “sperimentalismo democratico” apre a tutti nuovi sentieri di ricerca e di azione pubblica. Se nominalmente tutti abbiamo a cuore le sorti della nostra società e il recupero della salvaguardia dei livelli accettabili di convivenza, è questa l’ora di abbandonare quei sicuri rifugi e dare una mano per la rinascita dei partiti, di tutti i partiti. Perché all’uno serve una onestà intellettuale di minima per essere compreso, come all’altro serve quella stessa onestà intellettuale per poter esporre con completezza le proprie ragioni. La lontana prospettiva del superamento destra-sinistra Tale precondizione è tanto più vera quanto più si va affermando che è da superare la partizione destra-sinistra. Se una simile utopia sarà realizzata dovrà essere vieppiù vincolante intendersi su valori condivisi: quelli –per esempio- delineati nella prima parte della Costituzione. Ma vi è una modalità empirica, facilmente verificabile, nella lettura –per esempio- delle Indicazioni per il curricolo delle istituzioni formative di base. Da quei documenti si può ricavare una scala di valori orientanti. E se si vuole proseguire nella evidenza intuitiva, si provi a chiedere a un genitore in che cosa vorrebbe che suo figlio riuscisse nella vita. Si scoprirebbe che il potenziale etico del Paese è più alto di quanto si sia portati a credere, date le risposte, pure espresse in termini variegati, assimilabili alle seguenti piste: -Capacità di sapersi orientare. -Sapere cosa farsene di sé. -Saper cooperare. -Saper riuscire, nel rispetto delle regole. Questo abbozzo di modello eticamente connotato cozza con la giungla dei modelli imperanti che si possono riassumere nel : riuscire a qualsiasi costo! Tale modello formativo della giungla produce plebe o eserciti di furbetti istruiti ma non colti. L’altro modello, quello implicato nell’elenco di cui sopra, produce il cittadino della convivenza democratica. Una riforma della qualità formativa come condizione della futura “mobilitazione cognitiva” Senza una svolta formativa in questo senso anche le generose proposte di Barca dello “sperimentalismo democratico” non potranno levare le ancore. O meglio: le ancore vanno levate, ma si tratta di navigare lungo linee di demarcazione che evitino l’ideologia e che gradualmente tentino non l’ennesima riforma della Scuola ma provino la riforma della qualità formativa; che è cosa del tutto nuova e che la nascente neurodidattica e le didattiche enattive vanno elaborando. E’ proprio dalla prospettiva delle didattiche enattive che può vedersi nella proposta di Fabrizio Barca un possibile argine al degrado del politicismo; allo stesso modo con cui la didattica enattiva pone argine al nozionismo replicante che non crea cultura vivida e progettante, ma sicure competenze a costruire marchingegni sempre più raffinati per depredare lo State delle sue risorse collettive. Dunque, una rinascita dei partiti non può che sortire, nel tempo, da una rinascita del sistema di istruzione. L’attuale omologazione delle politiche scolastiche della destra e della sinistra si sono circoscritte ad una sorta di tira e molla: l’una tagliando risorse finanziare, l’altra reclamandone la restituzione e l’allargamento della spesa. A nessuno dei due orientamenti è ancora interessato –se non nominalmente- la dimensione della qualità formativa. Quella che può rendere –per dirla nei termini di Edgar Morin- viabile la pratica della “mobilitazione cognitiva” di Fabrizio Barca. Una mobilitazione cognitiva ha senso se ciascuno vi partecipa con contributi originali, perché solo così è possibile pervenire a soluzioni originali, culturalmente fondate e tecnicamente possibili. Diversamente, è il regno del già visto in cui si contorcono eserciti di furbetti che recitano il copione dell’impegno. L’alternativa è l’impegno di servizio mediante la ricerca. Senza ripristino del metodo della ricerca, la politica come polis lentamente si estingue divenendo –come sta divenendo- pratica di plebe. Se tali notazioni hanno un qualche valore di verità è forse bene approfondire le forme possibili dello sperimentalismo democratico nella possibile assunzione di una di esse da parte dei partiti che intendono concorrere al bene comune. Per restare nella domanda del titolo, la risposta è affermativa per le minime ragioni accennate e per altre da approfondire alla luce della neurofenomenologia di Varela in particolare e, in generale, della neurobiologia di Humberto Maturana e di Francisco Varela di cui si forniscono in sintesi due capisaldi del loro pensiero: -I cambiamenti sociali si hanno solo attraverso i cambiamenti personali. Ed è di evidenza intuitiva che i processi formativi hanno qui un ruolo strategico da giocare. -La messa in rilievo della funzione allopoietica come competenza critica da utilizzare nei rischi di addormentamento delle coscienze. Anche qui è intuibile che la capacità di autonomia e indipendenza di giudizio è acquisibile nella pratica dei confronti interpretativi dei modi in cui ciascuno costruisce la conoscenza personale nelle istituzioni scolastiche. Da qui il nesso della mobilitazione cognitiva le cui competenze di base sono assicurate da processi formativi enattivi, con lo sperimentalismo democratico della società civile e della Politica.
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