Non vorrei contribuire ad accrescere il rumore di infinite discussioni contemporanee che si sovrappongono sulla rete. Ma c’è una cosa che qui, a Berlino dove i clamori italiani giungono attenuati, mi sembra urgente dire. Ogni momento della storia ha le sue “esigenze dell’ora”: è un tema ricorrente del miglior pensiero filosofico tedesco, quello che non riuscì a trovare ascolto nella storia di questa nazione rinata dal fondo della tragedia e dalla cui rinascita – anche da quella più recente dell’Unificazione – tanto avremmo da imparare. Le “esigenze dell’ora” sono però la cosa più difficile da vedere, perché le grandi occasioni della storia si creano a grandi profondità nella coscienza delle persone, ben prima che i pensieri nuovi diventino “opinione pubblica” – e c’è anzi da temere che questi pensieri nuovi non diverranno “opinione pubblica” mai – questo è uno dei sensi della brutta fine che fa il filosofo in politica, sempre. Eppure.
Il voto del venticinque per cento degli italiani non è un semplice “voto di protesta”. Già il concetto di antipolitica è stato usato (colpevolmente) come un’arma di lotta dai partiti. E già questo è un grave errore, chiamare antipolitico un pensiero che mette radicalmente in questione il ruolo dei partiti nelle odierne democrazie, vale a dire, chiede di ripensarlo. Grandi spiriti del Novecento, primo di tutti Simone Weil, ce lo hanno chiesto con assoluta chiarezza: “a causa della necessità, che obbliga a entrare in un partito per prendere parte efficacemente agli affari pubblici”, e a causa del fine dei partiti stessi, che è “la loro propria crescita, e questo senza alcun limite”, e infine del “meccanismo di oppressione spirituale e mentale” che anche i più sgangherati fra loro debbono esercitare per non morire, “i partiti sono un meraviglioso meccanismo in virtù del quale, in tutta l’estensione di un Paese, non uno spirito dedica la sua attenzione allo sforzo di discernere, negli affari pubblici, il bene, la giustizia, la verità. Se si affidasse al diavolo l’organizzazione della vita pubblica, non saprebbe immaginare nulla di più ingegnoso”.
Se a questa analisi aggiungiamo l’elemento ulteriore del collante corruttivo-consortile che ha sostituito quello ideologico, risulta chiaro che dovremmo stare molto attenti a tacciare di fascismo chi si sforza di pensare un modo per uscire attraverso, e non contro, Costituzione e democrazia, dalla situazione che ha bloccato e incanaglito la vita civile e politica italiana per tanti anni. In breve: tacciare di fascismo il movimento a cinque stelle è un grande errore, quali che siano le degenerazioni pericolosissime nella dinamica psichica e verbale del suo leader, che però come Gian Antonio Stella ha validamente ricordato, ha detto e fatto (attraverso i referendum) proposte di riforma giuste, sentite, votate – e ignorate da tutti i partiti.
Soprattutto, mi sembra, dovrebbe fuggire conclusioni affrettate chi si riconosce nella grande tradizione di pensiero civile e politico che diede (breve) vita al Partito d’Azione. Se questo Partito fu sconfitto, forse è proprio perché, come suggerisce Bobbio, non era nella natura di questo “orientamento della coscienza” di diventare un partito. Per le esatte ragioni che Simone Weil chiarisce. Non si può servire Dio e Mammona, la ricerca del vero e la forza del consenso organizzato. Tutt’altra cosa sono i circoli, le spontanee associazioni di libero (e gratuito) impegno per le cause civili: le sole che in Italia, negli ultimi anni, abbiano tenuta viva la speranza del riscatto civile. E non è casuale che una fra di esse abbia quasi ereditato il nome di quella sconfitta (“Giustizia e libertà”), e lo abbia trasformato in una speranza (“Libertà e giustizia”). Perché non facciamo di tutto perché anche nel Movimento a Cinque Stelle, divenuto un forte contingente di parlamentari, prevalga questo “orientamento della coscienza”, che non è antipolitica, ma idea nuova della politica? Un’idea che comporta proprio individui liberi e sovrani capaci di parlare in Parlamento senza altro vincolo di mandato che quello della loro ragione pratica, impegnati dunque soltanto a dire tutta la verità che ciascuno sa concepire, a far risuonare in Parlamento parole di libertà vera e di giustizia piena, senza più tattica, calcolo e politica. Conosco persone che ora sono parlamentari della Repubblica, e questo orientamento della coscienza condividono pienamente. E a loro dunque dovremmo rivolgerci, all’incirca così. Provate davvero a essere voi stessi – e lasciate perdere quelle formulette ambigue e stereotipe che vi sono state messe sulla bocca! Un patto limpido e sia pure di non lunga durata voi potete sostenere e stimolare, se quel che resta del centro sinistra saprà proporlo. Quattro semplici cose che ben sapete: cambiare il Porcellum, fare la legge sul conflitto di interessi, fare una vera legge anticorruzione, ridurre drasticamente dimensioni e costi della casta politica. E se possibile bloccare lo scempio del Paesaggio italiano. Allora crederemo che siete uomini liberi, venuti davvero a rinnovarci, e dimenticheremo le nuotate maoiste dell’uomo che urla, ricorderemo solo le cose vere e nobili che ha detto, e non quelle basse, vili e corrive.
Una parte del movimento a cinque stelle poggia, come tutte le cose degne di rispetto “sulla prima pietra di un’anima” (l’espressione è di Capitini). E non c’è dubbio che su questo tema – l’indipendenza, il “pensare con la propria testa”, la sovranità delle persone e della loro ragione anche nella costruzione dell’agenda politica, attraverso nuove forme di comunicazione e auto-organizzazione – sia originariamente prosperato il movimento di Grillo. È uno spaventoso paradosso che invece possa prevalere in questo movimento la pulsione contraria, questa sì terribilmente oscura, riassunta nell’immagine di un popolo che chiude l’ombrello, sotto la pioggia, solo perché il capo glielo intima. Un capo che da un certo punto in poi non ha mai accettato un contraddittorio, ha irriso insultato e urlato continuamente, raccogliendo la secolare attitudine degli italiani allo sberleffo e allo schiamazzo.
E questo mostra quello che “l’esigenza dell’ora” è sempre: che sulla faccia buia della luna, simbolo della sorte politica, prevalga quella luminosa, quasi miracolosa perché inaudita, che dal fondo di molte coscienze si è fatta strada in questi anni fino ad arrivare nella luce del Parlamento: la santa indignazione e la limpida attenzione, capaci di rendere il Parlamento ciò che dovrebbe essere, il luogo della ragione pratica in formazione, attraverso il libero confronto degli ideali oltre che degli interessi, contro le omertà, i servilismi, le prepotenze che sempre hanno sostanziato in Italia il cosiddetto realismo politico. Questo infine dovremmo dire ai nuovi parlamentari che nessuna segreteria di partito ha selezionato: lasciate che in voi prevalga e si rafforzi l’anima degli inizi. Alcuni di voi certamente somigliano a quei ragazzi che – dice Luigi Meneghello – si sentivano come i primi cristiani… “sapevamo appena ripetere qualche nome… ma la virtù della cosa ci investiva. Eravamo catecumeni, apprendisti italiani”.
leggi l’articolo anche qui
Scrivo a proposito dell’articolo pubblicato oggi sul fatto (6.3.13) da lei scritto. Mi riferisco all’accenno su Grillo che ordina di chiudere gli ombrelli. Ho 60 anni, vivo e lavoro in provincia di viterbo, faccio il medico-dentista e sono stato testimone oculare della scena perchè quella sera c’ero anch’io.
Il fatto: pioveva (piano e piccole gocce). Grillo, mentre era infervorato nel suo parlare a dirotto, si interrompe e dice: «non abbiate paura di un po’ di pioggia. Voglio guardarvi negli occhi. Per favore (si! ha detto per favore) chiudete gli ombrelli».
Le opinioni:
1 – il giorno successivo leggo sul fatto che grillo ha “ordinato” alla gente di chiudere gli ombrelli e che tutti hanno eseguito
2 – la mia opinione è che non si trattava di un gesto “dittatoriale” ma una semplice richiesta come per rassicurare le proprie paure.
Cordiali saluti