[I brani dall’intervista rilasciata dal Prof. Valerio Onida, ex presidente della Corte Costituzionale, al giornale online Il Sussidiario di domenica 2 dicembre sono in stampatello. I miei commenti in corsivo]
V.O. I magistrati hanno ordinato il sequestro per impedire la commissione di reati. Non mi pare che il decreto del governo autorizzi a commettere reati, in quanto stabilisce piuttosto le prescrizioni ambientali da seguire. Si tratta quindi di due cose che si muovono su piani abbastanza diversi. Il decreto precisa le condizioni legali alle quali lo stabilimento deve essere sottoposto.
G.C. Il decreto autorizza ed anzi impone la continuazione dell’attività produttiva, che secondo i magistrati di Taranto è criminogena. Dunque il decreto autorizza ed anzi impone all’Ilva di commettere dei reati. Parrebbe dunque esservi totale conflitto tra decreto e sentenze.
V.O. Se il decreto-legge conferma o integra delle prescrizioni di tipo ambientale che devono essere seguite dall’industria, è lo stesso obiettivo che voleva raggiungere la magistratura, e cioè che non si realizzino attività che danneggiano la salute e l’ambiente.
G.C. Ma il decreto legge consente ad anzi impone la continuazione dell’attività produttiva, che secondo la magistratura comporta la commissione di reati ambientali. Il Prof. Onida avrebbe chiaramente ragione se il decreto legge confermasse o integrasse, con prescrizioni aggiuntive, e maggiormente restrittive, le leggi in vigore. Ma non fa questo. D’altra parte, se ci fosse questa meravigliosa conformità, perché varare il decreto legge?
V.O. Ci sono le emissioni in atmosfera e in acqua e per entrambe ci sono dei limiti legali, delle soglie tollerabili e delle prescrizioni normative. In questo caso sono addirittura individuate attraverso una legge e quindi non vedo quale sarebbe il profilo di incostituzionalità. E’ difficile tra l’altro capire quale sarebbe l’articolo della Costituzione violato dal decreto.
G.C. Se con “una legge” intende il decreto legge, non ce n’era affatto bisogno. IL decreto legge consente all’Ilva di continuare a violare le leggi esistenti. In quanto il decreto legge crea attorno all’Ilva una sfera di impunità, e la assoggetta a un macchinoso, dubbio regime amministrativo, esso è contro il principio di legalità, per il quale nessuno è sottratto alla legge. Viene sottratta alla legge l’Ilva, e anche l‘autorità amministrativa che vorrebbe (in modo probabilmente del tutto illusorio) assoggettare al suo volere l’Ilva. Ritorniamo a Luigi XIV! È vero però che è talmente incostituzionale, che è difficile indicare uno specifico articolo. L’uguaglianza di fronte alla legge, direi.
V.O. L’incostituzionalità dovrebbe discendere dal fatto che questo decreto legge viola prescrizioni o standard internazionali, al punto da essere una sorta di licenza a inquinare.
G.C. Non li viola, ma autorizza o addirittura impone all’Ilva di violarli…Ma io non credo che stia qui l’incostituzionalità. Essa a mio avviso sta nel regime extra legem al quale assoggetta l’Ilva.
V.O. Il conflitto d’attribuzione nasce invece sul presupposto che l’intervento legislativo del governo tende a menomare l’esercizio della funzione giurisdizionale. Non vedo però come, in quanto la funzione dei giudici è impedire che siano commessi reati e reprimere le violazioni eventualmente commesse in passato. Quello del governo invece è un provvedimento che si muove sul piano delle prescrizioni legali da proporre all’industria affinché la sua produzione e attività di bonifica avvengano secondo gli standard prescritti.
G.C. Il solito refrain: l’autorità giudiziaria ha disposto la cessazione dell’attività produttiva, il decreto ne dispone la continuazione. Come si fa a negare che c’è un conflitto?
Integro le considerazioni sopra esposte con il seguente articolo dell’ex pretore proto-ambientalista Gianfranco Amendola intervistato su il Fatto Quotidiano il 2/12/2012 da Salvatore Cannavò.
«È un decreto criminogeno». Gianfranco Amendola, procuratore della Repubblica a Civitavecchia e storico “pretore d’assalto”, figura eminente dell’ambientalismo italiano è sconcertato. «È una brutta pagina della nostra storia legislativa» spiega in un colloquio telefonico, il giorno dopo il varo del decreto sull’Ilva e la presa di posizione radicale da parte della magistratura tarantina. Perché considera incostituzionale il decreto? Perché è chiaramente in contrasto con la nostra Costituzione come qualsiasi persona di media intelligenza può desumere. È un provvedimento legislativo che, semplicemente, assoggetta l’ambiente alla produzione e premia il profitto rispetto alla salute. In realtà, è un decreto criminogeno. Un giudizio forte. Perché criminogeno? Perché avalla una situazione in cui può causare dei morti. E nessun governo può arrogarsi questa prerogativa. Nel provvedimento di sequestro da parte dei giudici, dello scorso luglio, c’è scritto chiaramente che “non un altro bambino, non un altro abitante di questa sfortunata città, non un altro lavoratore dell’Ilva, abbia ancora ad ammalarsi o a morire o ad essere comunque esposto a tali pericoli, a causa delle emissioni tossiche del siderurgico”. Il governo, però, sostiene che con l’adozione dell’Aia (l’autorizzazione integrata ambientale) i problemi saranno risolti. Che con l’Aia in futuro si possa arrivare a sanare le situazioni attuali io me lo auguro. Ma prima si deve eliminare questa situazione in modo immediato e permanente. E qui viene fuori un altro elemento: nessuno ha mai detto che la magistratura ha sbagliato. Quindi, delle due l’una: o la magistratura ha sbagliato op- pure se ha detto il giusto deve veder rispettate le sue determinazioni. Non può essere fatto passare nessun giorno in più senza mettere in sicurezza gli impianti. Nessuno può permettere di consentire che qualcuno muoia. È la sentenza 5172 del 1979 della Corte di Cassazione a Sezioni unite – quindi il massimo grado di giudizio – a stabilire che “l’Amministrazione non ha il potere di rendere l’ambiente insalubre neppure in vista di motivi di interesse pubblico di particolare rilevanza”. Cosa avrebbe dovuto fare, allora, il governo? Una sola cosa, ristabilire la verità dei fatti: chi ha inquinato paghi, i veri responsabili dei danni vanno messi in primo piano. E poi procedere alla confisca immediata di tutti i beni di questa azienda, in Italia e all’estero e proseguire con l’espropriazione dello stabilimento ponendolo sotto la proprietà dello Stato. Ma nel decreto si affida al Garante la possibilità di proporre questa soluzione. Ma è già tardi. L’Ilva non deve rimanere attiva nemmeno un giorno di più. Sta parlando di nazionalizzazione? Certo. Lo Stato deve prendere in carico i provvedimenti te, decidendo a chi affidare nuovamente l’azienda. In questo modo, gli operai non rischierebbero nulla, sarebbero pienamente tutelati anche perché è assurdo che siano loro a pagare i guasti di un’impresa come l’Ilva. E che pensa dell’attività del Garante in questo senso? Che per controllare l’Ilva servirebbero 300 garanti e che, quindi, anche il più bravo e competente non potrebbe fare nulla. La storia dell’Ilva, del resto, è una storia di imbrogli per eludere le leggi. L’unica garanzia sarebbe l’immediato e diretto intervento dello Stato. Perché il governo agisce in questo modo? Onestamente non lo so. Mi sembra così tutto assurdo. Però abbiamo già visto tanti provvedimenti che hanno collocato l’ambiente e la salute dopo la produzione e la crescita. La crescita quantitativa, intendo. Si pensi alle prospezioni petrolifere, al Tav, alle normative si controlli. Cosa pensa della somma di 200 mila euro annui per retribuire il Garante? Che sarebbe meglio darli agli operai.
Sì, lo Stato dovrebbe nazionalizzare l’Ilva, ma anche dopo rimarrebbe il problema della bonifica e della riconversione delle attività produttive. Bisogna tener presente, ma certamente sia Giacomo Costa che Gianfranco Amendola lo sanno, che un impianto siderurgico non può essere spento, mentre la bonifica avviene: lo spegnimento degli altiforni ne comporta la messa fuori uso, il che, se non fatto per passi graduali, equivarrebbe ad una chiusura integrale della produzione per un periodo piuttosto lungo, per abbattere e ricostruire le aree a caldo.
Breve risposta ad Andrea: il mio argomento non è la soluzione economicamente e tecnologicamente migliore per il problema sociale, urbanistico, ambientale dell’Ilva, né, a stretto rigore, la risposta a alla domanda se il decreto Monti sia costituzionale: solo se le argomentazioni prodotte dal prof. V. Onida, valentissimo costituzionalista, ex Presidente della Corte Costituzionale, a sostegno della tesi della costituzionalità siano valide o no.(Sostengo di no.)
È vero che ho allegato un articolo di ben più ampia portata di Gianfranco Amendola, ma principalmente perché anche lui si pronuncia, con argomenti alquanto diversi dai miei, contro la costituzionalità del decreto.
Per venire alla tua questione, credo che all’Ilva si debbano ricostruire ex novo alcuni altiforni, e che i custodi giudiziari, che a quanto so (dalla lettura de Il Fatto…) hanno fatto un ottimo lavoro, avessero disposto lo spegnimento di 3.
@ Giacomo.
Non ho la pretesa di difendere sul piano della legittimità costituzionale Onida, sarebbe ridicolo, vista la mia totale incompetenza relativamente alla giurisprudenza costituzionalista.
Sul piano della sostanza, credo che il caso Ilva sia un caso in cui sia inevitabile mediare: gli altiforni da ristrutturare vanno spenti con gradualità se si vuole mantenere un livello di produzione capace di preservare la posizione dell’Ilva sul piano industriale. L’alternativa è una catastrofe industriale di tale portata (locale e nazionale) che, anche quanto a ripercussioni sulla salute pubblica le conseguenze minacciano di essere peggiori di un mantenimento della produzione inquinante per un paio di anni ulteriori (l’impoverimento è, notoriamente, una delle condizioni che, attraverso una pluralità di canali, maggiormente incidono sulla salute).
Una informazione integrativa: oggi su Il Sole 24 ore, almeno stando a Radio Radicale, si faceva notare che il decreto del Governo sull’Ilva non si limita all’Ilva, ma vale in generale per qualsiasi cosiddetta area industriale d’interesse strategico. La questione è quindi ancor più rilevante e meriterebbe più attenzione di quella che i media e i politici le stanno dando. L’impressione è che intervenire con questa modalità, al di là del contrasto istituzionale tra i poteri e della discussione sul merito costituzionale del provvedimento, non solo non interrompa ma alimenti la spirale storica nel meridione (e non solo) d’Italia tra lesione della salute e dell’ambiente / corruzione / sottosviluppo. Quello che non si capisce, infatti, è se questo decreto accolga o meno la necessità di bonificare e riconvertire l’area come l’unico vero fattore di sviluppo della stessa che non sia il mantenimento in vita assistito e procrastinato (quindi nellla più classica delle dinamiche di sottosviluppo) di impianti malsani e obsoleti per evitare la catastrofe sociale; inoltre, se tenga ferma la premessa di sanzionare adeguatamente il violatore delle leggi evitando che si scarichi interamente sulla collettività l’onere dell’intervento. Troppo è lasciato in mano all’Ilva, troppo credito è ancora concesso a una proprietà irresponsabile e lucrosa. È da questa revoca del credito che dovrebbe passare, secondo me, la mediazione con l’inevitabile intervento della Magistratura. La soluzione tecnica (nazionalizzazione, fallimento, altro) si trova, se è chiaro questo. Ma è chiaro?
Lo staff di Napolitano ha alquanto cambiato il decreto del governo Monti sull’Ilva, troppo simile a un ukaze. Con buona pace del Prof V. Onida. Credo però che il cambiamento consista nel passaggio dal creare un’enclave amministrativa attorno all’Ilva, all’amministrativizzazione di un’intera classe di fabbriche. Una vittoria retrospettiva di Tremonti! Non ho ancora studiato a fondo la versione andata in vigore ieri sera del decreto. Ma credo che le preoccupazioni di Stefano siano pienamente giustificate e fondate.
Ricevo da Ugo Macchia e pubblico il seguente testo dell’Ufficio stampa del WWF Italia, che mi pare assi pertinente a questa discussione.
Decreto ‘Salva-Ilva’
WWF: “OMESSE GARANZIE SU SALUTE E AMBIENTE”
Citati, nelle premesse del provvedimento, solo gli articoli della Costituzione
che garantiscono il diritto all’iniziativa economico privata
6 domande del WWF al Governo su: classificazione impianto; futuro di centrali a carbone, inceneritori e discariche;
responsabilità su morti e danni; liceità decreto; prescrizioni AIA; conflitto tra poteri dello Stato
“Il WWF Italia esprime forti preoccupazioni riguardo gli esiti del caso ILVA. Non solo perché si è generato un conflitto tra poteri dello Stato, che indebolisce la forza delle istituzioni e favorisce quella degli inquinatori, ma soprattutto perché sulla base di questo precedente si sta consolidando una normativa che scardina tutte le norme di garanzia sulla salute e sull’ambiente conquistate negli ultimi anni”. Così Stefano Leoni, presidente del WWF Italia, commenta i contenuti del cosiddetto “Decreto Salva-Ilva’ (Decreto Legge 207/2012) pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale.
“E’ intollerabile – sottolinea il WWF Italia – che nelle premesse al decreto si citino solo gli articoli della Costituzione che garantiscono il diritto all’iniziativa economico privata, mentre si omette di citare l’art. 32 che riconosce la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e non si citi nemmeno l’art. 9 che tutela l’ambiente. Prevedere che le industrie dichiarate strategiche, anche quando colpiscono valori primari come la salute, la vita e la tutela dell’ambiente, possano continuare per anni a generare malattie e morte sovverte non solo i principi costituzionali, ma anche quelli che regolano le regole della convivenza solidale”.
“Sono molti gli interrogativi secondo il WWF, che questo intervento normativo pone, a cui il Governo deve rispondere:
1. Innanzitutto, può la classificazione di uno stabilimento di interesse strategico nazionale (quando tra l’altro l’interesse non viene definito) da solo consentire di autorizzare l’attività produttiva di impianti inquinanti e nocivi per la salute in deroga alle norme in vigore?
2. Cosa succederà d’ora in poi per le centrali a carbone, gli inceneritori o le discariche?
3. Per i morti e i danni generati dalla conduzione degli impianti durante i 3 anni successivi all’emanazione dell’AIA non risponde nessuno?
4. Può un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri costituire una licenza di nuocere alla salute e all’ambiente, mettendo in conto altre vittime?
5. Non si corre il rischio che gli inquinatori possano considerare questa norma come un salvacondotto di 3 anni rispetto alle prescrizioni AIA?
6. L’intervento del Governo per decreto non costituisce un gravissimo precedente che rompe l’equilibrio dei poteri dello Stato, diventando nella sostanza un altro grado di ‘appello’ dopo i pronunciamenti della magistratura?”
“Il WWF Italia ritiene che siano concreti i rischi appena elencati e chiede delle risposte al Governo. Perché, a causa della crisi che stiamo attraversando e per poter sostenere le sfide ambientali, l’intero nostro comparto produttivo dovrà essere ristrutturato e molti dei grandi insediamenti industriali dovranno essere rivoluzionati. Con una simile prospettiva riteniamo che le istituzioni abbiamo il compito di guidare e anticipare questi cambiamenti, intervenendo come garante di tutti i cittadini, fornendo l’assistenza tecnica e finanziaria per eliminare fin da subito i pericoli per l’ambiente e la salute pubblica e non lasciando scappatoie a coloro che si sono macchiati di comportamenti gravemente scorretti ingannando lo Stato e le comunità locali”.
“Sul caso ILVA il Governo non ha avuto un comportamento lineare ma piuttosto dilatorio. Non si comprende come mai non abbia cambiato la composizione del gruppo di valutazione AIA, che aveva rilasciato il parere nel 2011 né il senso degli accordi del luglio scorso – che di fatto non hanno detto nulla di nuovo – né tantomeno come mai non abbiano minacciato sin da subito l’intervento sostitutivo, dal momento che fino ad oggi l’azienda non ha fornito alcuna garanzia sulla realizzazione degli interventi necessari”.
“Per affrontare situazioni così complesse occorre ristrutturare il nostro modello sociale e assegnare nuovi compiti alle istituzioni, in linea con i principi di eguaglianza e solidarietà sociale, garantiti, tra l’altro, dalla nostra Costituzione. Inoltre, proprio nel rispetto di questi principi, non si possono escludere innovazioni normative che consentano allo Stato di entrare, per un periodo determinato, nel capitale sociale dell’Ilva per garantire che gli interventi necessari siano assicurati, ammortizzare momenti di acuta crisi occupazionale, al fine di garantire al contempo la salvaguardia della salute, anche degli stessi lavoratori, e dell’ambiente. Tutto ciò prevedendo al termine delle operazioni di rientrare dei costi sostenuti. Questo oggi risulta possibile dal momento che l’Ilva risulta essere una società in attivo”.
“Chiediamo al Governo di tenere in considerazione simili strumenti, non dimenticando che vi ha ricorso addirittura lo Stato più liberista della Terra, gli Stati Uniti, per salvare società sull’orlo del fallimento, ossia in pieno dissesto finanziario”.
Per sostenere l’attività del WWF Italia contro l’inquinamento industriale in favore di uno sviluppo sostenibile, un’economia sana e per difendere, anche nei tribunali, l’ambiente e la salute dei cittadini dai danni provocati dall’inquinamento industriale, visita il sito http://www.wwf.it/stopinquinamento
Roma, 4 dicembre 2012
Ufficio Stampa WWF Italia, 06 84497213/265 – 349 0514472, 02 83133233 – 329 8315718
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Il decreto così come è uscito dalla firma del Presidente della Repubblica allarga l’enclave di illegalità che la versione Monti creava attorno all’Ilva a un numero imprecisato di imprese. Infatti molti potrebbero sostenere: “Se l’Ilva ha la facoltà di inquinare, perché la mia impresa no”? E tutti gli inquinatori pretenderanno di essere dichiarati “strategici”!
Assistiamo al passaggio da uno Stato di diritto a un regime amministrativo assoluto. Il sogno irrealizzato di Tremonti!I problemi industriali affrontati con un sistema di prescrizioni singolari, specifiche, la cui esecuzione è affidata al controllo di organi amministrativi (il “garante”) di nuova costituzione. Il potenziale corruttivo di questo sistema è evidentemente gigantesco. Una inedita forma di socialismo, in cui però per fortuna lo Stato non può mettere soldi. Sabbia sugli occhi, per assicurare lo status quo inquinante.
Tutto vero. Mi permetto però di eccepire sul ricorso, qui, al termine “socialismo”. Nulla, infatti, se non la centralizzazione burocratico-amministrativa propria di ogni regime sospensivo della divisione dei poteri costituzionali e dell’autonomia nel loro esercizio, si trova in un dispositivo di legge che a tutto pare orientarsi tranne che alla tutela massima del bene collettivo versus interessi privati, tutela al centro se non altro delle attese storiche di ogni idealità socialista.
P.S. Circolare di rettifica a cura del Comitato Centrale del Partito 😉
Va bene, “socialismo” nel senso del ritorno a un’economia di comando, di una burocratizzazione dei rapporti di produzione.
Sull’Ilva e il buon uso dell’indignazione. Affari Italiani ha intervistato Roberta De Monticelli sull’impegno filosofico e sulla Giustizia relativa al “caso Taranto”. Prof.ssa De Monticelli, nei suoi testi parla della “Filosofia pratica” , cosa intende? Il pensiero pratico lo pratichiamo già tutti, ogni volta che ci chiediamo che fare, in questa o quella circostanza. È fatto delle credenze, dei desideri, degli altri motivi che abbiamo per prendere una decisione, fare una scelta, continuare a comportarci in un certo modo. In ultima analisi questo pensiero è fatto di giudizi di valore: questa decisione è giusta, oppure è opportuna, questa azione sarebbe vile, questa situazione è iniqua, eccetera. Ora una maggioranza di filosofi nel Novecento, e la mentalità comune soprattutto da noi, ritengono i giudizi di valore simili a quelli di gusto, sui quali “non si discute”: a me piace quello, a te questo, punto e basta. Questo è scetticismo pratico: ed è una posizione filosofica, anche se è frequentemente espressa al bar. Del resto la posizione opposta, per cui i “valori” li vede solo chi crede in Dio o in una qualche chiesa, è un’altra specie di filosofia, o forse di anti-filosofia – un dogmatismo, un fondamentalismo. Io penso che ognuno dovrebbe risvegliare il Socrate che è in lui – se è una persona libera e responsabile, Socrate faceva domande, anche su cosa sia la giustizia, e come possa essere giusta una città: e insegnava a non rispondere ripetendo cose sentite dire, slogan o dogmi della tradizione, e a non disperare, solo perché ci sono molte risposte, che una verità da cercare ci sia, anche nel campo dei giudizi di valore. Insegnava a discutere cercando e mostrando l’evidenza necessaria a sostenere le proprie tesi, usando i propri occhi, la propria sensibilità, la propria esperienza. È quella che ho chiamato una rifondazione in ragione del pensiero pratico, purché “ragione” includa sensibilità, attenzione, disponibilità a giustificare quello che si afferma e a far toccare con mano queste ragioni a tutti. (continua)