Questo è il testo della mia parte della lezione congiunta che abbiamo tenuto ieri, 7 maggio 2012, all’Università Vita-Salute San Raffaele di fronte a un pubblico di giovani liceali Roberto Mordacci e io. Dato il tema e gli argomenti, dedico la mia parte, che qui riproduco, al Preside della Facoltà di Medicina di questa stessa Università, che non ha mai risposto alla domanda di alcuni docenti di apportare al verbale del Consiglio delle Facoltà congiunte le integrazioni da loro richieste, in modo che si desse conto dei loro interventi. So che ama la filosofia: e in fondo è degno dei filosofi sollevare sempre le piccole, insignificanti questioni contingenti all’universalità delle grandi questioni. Tanto più che sappiamo da una recente sua lettera ai docenti quanto gli stiano a cuore “il vero e il giusto”.
Saremo felici se vorrà intervenire nella discussione!
1. La questione delimitata di partenza
Data la vastità del nostro tema, vorrei proporvi di cominciare da una domanda molto più piccola – almeno in apparenza. In ogni caso più definita e più facile da capire: se in politica sia lecito nascondere o deformare la verità.
Possiamo pensare agli arcana imperii, al Principe di Machiavelli, ai segreti di Stato; oppure, molto semplicemente, alla politica nel senso molto più lato della governance di qualunque istituzione. Ad esempio a quell’occultamento della verità che sta nel fotoshop della storia – far scomparire Trotsky adai libri di storia – o in modo infinitamente più modesto e quotidiano alle omissioni e alle inesattezze dei verbali, dove non a caso il diritto di veder accolte le proprie correzioni viene tutelato dal codice penale, abbastanza severamente. Per il nostro ordinamento dunque la mancanza di veridicità a certe condizioni non è soltanto un’infrazione morale, ma addirittura un’infrazione penale
Alcuni chiarimenti ulteriori su questa domanda, anzitutto. Il Nietzsche di cui vogliamo parlare è quello del famoso adagio : Tutto è permesso, tutto è lecito.
Un primo punto: si può ridurre Nietzsche a questo? Non mi occuperò di questa questione: se anche la risposta fosse negativa, il nostro filosofo sarà semplicemente il rappresentante della tesi del nichilismo morale, chiamiamolo Fritz, indipendentemente dalla questione se corrisponda o no al vero N.
Ma non c’è dubbio che questo Fritz afferma che tutto è lecito, e quindi in particolare risponderebbe di sì anche alla nostra questione.
Un secondo punto: è per ora una questione limitata quella che stiamo ponendo. Non ci stiamo chiedendo in generale se la menzogna o il nascondere la verità possano, in alcuni casi, essere leciti. A questa domanda, ad esempio, Kant risponderebbe : NO, MAI; Fritz risponderebbe SI’ e aggiungerebbe DOVUNQUE CONVENGA; ma uno potrebbe rispondere invece: SI’ – MA DIPENDE DAI CASI. In altre parole non c’è bisogno di essere – almeno esplicitamente – nichilisti morali per ammettere la liceità della menzogna in certi casi: ad esempio, in un celebre passo in cui si riferisce a Kant, il philosophe Benjamin Constant rivolge a Kant la critica che gli rivolgerebbe un filosofo consequenzialista, che cioè l’applicazione incondizionata del principio di dire la verità potrebbe avere conseguenze nefaste, ad esempio l’omicidio del mio amico.
“Il principio morale secondo il quale dire la verità è un dovere, se assunto in modo incondizionato e isolato, renderebbe impossibile ogni forma di società. La prova a riguardo ci è fornita dalle immediate conseguenze che un filosofo tedesco ha tratto da questo principio, arrivando al punto di sostenere che la menzogna, detta a un assassino che ci chiedesse se un nostro amico, che egli sta inseguendo, non si sia rifugiato in casa nostra, sarebbe un crimine” .
Che cosa risponde Kant a Benjamin Constant? Lo vedremo dopo; ora dobbiamo chiarire un terzo punto. La questione se sia lecito mentire in politica è indubbiamente un caso speciale della questione se sia lecito mentire a fin di bene, o per lo meno è una questione interessante solo se la intendiamo come un caso speciale di questa questione. (continua)
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Vorrei declinare le conseguenze su un Berlusconi e un Formigoni smaccatamente nichilisti. Aggiungo che non stupisce il giornalista Sansonetti in risposta alla lettera di Carron (pubblicata da Ilsussidiario.net). Per la morale (non il moralismo) occorre amore per il prossimo, vigore spirituale e trasparenza.
L’analisi del rapporto tra menzogna e potere è sicuramente una questione sempre attuale e uno dei modi più avvincenti per introdurre alle molteplici e multiformi questioni della morale. Il professor Tagliapietra, nel suo testo Filosofia della bugia mostra come le diverse descrizioni che molti filosofi hanno compiuto del fenomeno menzogna, ne individuino il tratto caratteristico nel cercare di ritagliarsi una vantaggio sugli altri da parte del mentitore. La menzogna sarebbe dunque il tentativo di variare un rapporto di potere, o meglio di avere un certo potere su un individuo, rispetto al quale prima si era in una condizione perlomeno di parità. Ma anche la politica, se la prendiamo nel primo dei due significati qui illustrati è un esercizio del potere, di conseguenza la questione riguarda il rapporto tra queste due tipologie di vantaggio (l’essere in una posizione di potere perchè si mente o perchè si riveste una carica politica). È possibile una sovrapposizione? appartengono alla stessa tipologia? oppure chi detiene il potere politico, proprio perchè già dotato di un vantaggio sugli altri, deve astenersi dal procurarsi ulteriori vantaggi e quindi anche dal mentire? credo che quest’ultima domanda descriva la situazione nel modo più corretto.
Entrando più nel merito di quanto discusso nell’intervento e in particolare nel dibattito tra Kant e Costant, qui così efficacemente presentato, vorrei sottolineare che Kant ha gioco facile nello sbarazzarsi del suo avversario polemico, mostrando l’universalità del dovere alla verità e quindi anche del diritto alla verità. La verità fonda la convenzione sociale più fondamentale quella del linguaggio, tutti hanno diritto a questa convenzione e di conseguenza tutti hanno il dovere di mantenerla. Tuttavia, quello che Costant vuole fare restringendo il dovere alla verità ai soli che ne hanno diritto non è tanto ricordare l’esistenza di un diritto, ma mostrare che anche la verità è sottomessa ad un differente valore, in base al quale si giudica, si discrimina chi ne ha diritto e chi no.
L’esempio di Costant è il caso classico della menzogna a fin di bene o menzogna necessaria, in cui il volere a cui la verità è sottomessa è la salvezza della vita altrui, ma perchè non estendere il discorso ad altri valori come la libertà o la realizzazione personale? Poniamoci la domanda, per che cosa saremmo disposti a rinunciare alla verità? Quante e quali risposte riterremmo eticamente accettabili? Io credo che almeno a qualcuna saremmo disposti a concedere il nostro assenso morale, d’altra parte gli ordini di valore che hanno al primo posto la giustizia non sono gli unici ad essere accettati all’interno di una società…Ammetto però che dimostrare tutto questo sarebbe possibile solo dopo aver trovato una risposta adeguata alla critica kantiana dell’autocontraddittorietà logica della menzogna.
Per ragionare sensatamente sul rapporto tra potere politico e menzogna non credo che Kant ci sia davvero utile, ed in verità neppure Nietzsche. Il primo punto da intendere nella relazione tra menzogna e politica è che dire la verità non è la stessa cosa che essere sinceri. Senza scomodare Machiavelli, chiunque abbia parlato in un consesso pubblico (non parlo di alta politica) sa che la comunicazione, per poter trasmettere ciò che si desidera trasmettere (con le migliori intenzioni) deve essere sorvegliata, mediata, dunque attenta all’effetto che la scelta delle parole e dei toni può produrre. In un contesto politico si deve inoltre tener conto della natura aspecifica del pubblico, della varietà dei presupposti culturali, religiosi, ecc. Questo significa che il discorso pubblico rientra sempre necessariamente, per dirla con le distinzioni aristoteliche, nella sfera della retorica e non dell’apofantica. In poche parole, nessuno che faccia un discorso pubblico può permettersi schiettezza spontaneista e sincerità impregiudicata, se vuole far passare una (sua) verità. Questo fa sì che tutti, ma proprio tutti coloro i quali abbiano bisogno di rivolgersi ad un pubblico non semplicemente per il gusto di dibattere, ma con l’intento di convincere devono mediare la propria sincerità; ergo, i politici in senso ampio si muovono necessariamente nello spazio dalla (scusate il neologismo) ASINCERITA’. Il politico recita, sempre e necessariamente. Un grave passo ulteriore avviene però quando i politici, abituati a relazionarsi sempre più prevalentemente con altri politici, cominciano ad interpretare la propria (ed altrui) recita come implicita legittimazione di un uso di menzogne a fini strumentali. Questo passo avviene quando ciò che inizialmente era MEZZO (convincere l’uditorio, ovvero convincerlo di una verità meglio di quanto faccia il nostro avversario politico, portatore a nostro avviso di un messaggio falso) si autonomizza divenendo FINE.
La trasparenza è una verità che non ha timore di se stessa; ogni trasparenza non teme lo scacco, perciò ha un fine molto più alto. Oggi c’è un acceso desiderio di verità. Per coglierlo è sufficiente occuparsi delle cause sulla mancata integrazione politica e fiscale dei Paesi Europei, o delle trattative serrate della diplomazia per l’uso dell’energia atomica iraniana che farà il punto tra non molto. Ma lo si può osservare non solo negli avvenimenti macroscopici; lo si può ben vedere da una nuova coscienza giovanile, stufa dell’ozio mentale e delle solite sicumere che si vanno svolgendo nel mondo vecchio. C’è un mondo nuovo che avanza e ha desiderio di trasparenza e verità: http://solferino28.corriere.it/2012/05/19/ecco-come-smascheriamo-i-politici-grazie-al-web/
La coscienza giovanile è sempre stufa di qualcosa ed insofferente al mondo vecchio. Purtroppo la storia insegna che questo non garantisce proprio nulla circa le virtù del nuovo mondo coraggioso che si profila all’orizzonte…
Il mondo nuovo è sicuramente oltre i giovani. Quel fenomeno descritto e citato dal Corriere è un esempio tra alcuni altri che però non dovremmo sottovalutare; la sua peculiarità è che in questo mondo giovanile non c’è rivoluzione e forte contestazione ideologica: c’è invece il vaglio accurato e critico sulle ‘balle’ che gli adulti da sempre ci propongono nel loro stile bugiardo, ipocrita, mercanteggiante e assolutistico delle loro idee. Anche questo esito elettorale delle consultazioni comunali di chi ha votato le faccie meno in-credibili azzerando totalmente i successi leghisti e limitando fortemente quelli del PDL, dimostrerebbe che gli elettori- adulatori dei satrapi buffoni, dei capi-popolo cialtroni, oggi non trovano più per essi una efficace rappresentazione che viene rigettata dalla delusione delle conseguenze evidenti di una prassi politica che ha devastato molte risorse economiche e morali. La verità e la trasparenza non sono solo concetti, come ben sappiamo sono comportamenti che marcano il destino sociale nella giustizia e nella buona amministrazione. Sono i buoni risultati che segnano le scelte ed i giudizi delle persone e molto spesso non sono mai conseguenti alle frottole o dal mero non dover dire all’assassino che il nostro congiunto che egli vuole uccidere è in casa (ma che coraggio ed eroicità! Tipo Falcone e Borsellino!?). B. Constant forse è il filosofo che ha suggerito a Bush junior di raccontare a tutto il mondo un’altra ‘balla’, ovvero che l’Irak stesse per fabbricare la bomba atomica per poterlo attaccare senza grosse opposizioni, ed il pensiero di Nietzsche lo avrà corroborato a fare nichilisticamente le spallucce sulle conseguenze. Che paghiamo ancora ora. Ecco il valore della trasparenza insieme alla verità: la trasparenza modera la nostra verità rendendoci nudi e criticabili. Quindi migliorabili quanto migliorabile quello che diciamo, decidiamo, facciamo.
Vi consiglio la lettura dell’articolo di Guido Rossi Perché la divisione dei poteri va mantenuta sul Sole24 del 03/06/2012: vi renderete conto che non abbiamo bisogno né di Kant né di Nietzsche (figuriamoci poi di Scheler), ma – e disperatamente – di Montesquieu. Dove non c’è Montesquieu, c’è la barbarie, ovvero il totalitarismo: è questo il ‘nostro’ problema, oggi (come lo era ieri e come lo sarà domani e sempre).