L’umiltà del male secondo Franco Cassano. Recensione di Giacomo Costa

mercoledì, 25 Aprile, 2012
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«Ci sono libri che raccolgono le tappe di un lungo percorso ed altri che, pur venendo anch’essi da una lunga incubazione, si condensano più rapidamente, di fronte alla pressione esercitata da un problema, libri che vogliono segnalare un’urgenza e sperano di essere stati scritti per tempo» scrive Franco Cassano nel prologo de L’umiltà del male, uscito nella collana Anticorpi di Laterza nel 2011 e appena ripubblicato anche in economica. E qual è il problema che ha dettato l’urgenza? Alcuni cenni e altri indizi lasciano pensare che sia il perdurante successo popolare del cav. Berlusconi, i cui governi hanno occupato, con due interruzioni, l’ultimo ventennio. La possibile residua tempestività del libro starebbe nel proporre linee di etica della politica l’applicazione delle quali consenta di limitare la continuazione del successo popolare di Berlusconi, e quindi interrompere la durata dei suoi governi, che avevano effetti, agli occhi di molti, assunto una strana aria di eternità…

Il libro si compone di tre saggi di media dimensione e un quarto di sintesi, un po’ più breve, chiamato Epilogo. I tre saggi vertono il primo sull’interpretazione della Leggenda del Grande Inquisitore, il secondo sulle riflessioni sugli atteggiamenti di sopravvivenza dei prigionieri nei lager di Primo Levi, il terzo sulle concezioni della liberazione della Scuola di Francoforte. L’attinenza di tutto ciò con il problema politico che presumibilmente è all’origine del libro è molto indiretta. Qualche maggiore indicazione al riguardo viene data dall’Autore nell’Epilogo, che ogni lettore, credo, avrebbe desiderato fosse stato sviluppato di più.

L’aspetto più sorprendente del libro è il suo approccio squisitamente morale a un problema che è principalmente politico. O forse, se vogliamo, il problema politico contingente, del resto mai esplicitamente enunciato, viene affrontato attraverso delle riflessioni che vertono sulle radici etiche, o forse antropologhe, o etico-antropologiche, del principale problema di filosofia politica, la natura del potere. Anche se vi fosse qualche progresso nell’esame di quest’ultimo, resterebbe ancora da vedere quale illuminazione sul primo se ne potrebbe trarre. Credo che il seguente passo del saggio sulla Leggenda del Grande Inquisitore (p. 18) sia tra i più perspicui:

«[Il Grande Inquisitore] rivendica il merito di scavalcare in coerenza una predicazione rivolta agli umili e agli ultimi, facendo perversamente osservare che essa, lungi dal dedicarsi ai più deboli, ha di fatto proposto una nuova gerarchia al cui vertice sono gli eletti, i più puri e i più forti. L’attenzione per i miseri, per i deboli, per coloro che non hanno la forza morale per essere all’altezza dei principi più esigenti formulati da Cristo, permette di scavalcare i rischi di aristocratismo impliciti in quella predicazione proprio in nome di quegli stessi principi. Chi sta con gli ultimi deve essere capace di confrontarsi anche con le loro debolezze, con il loro bisogno di certezze e di sottomissione, con un’idea del divino molto terrestre, immediata e profana».

Ora Cassano non nota che lo “scavalcamento” del Grande Inquisitore avviene sulla base di un’antropologia e di una teologia ben diversa da quella di Gesù, il quale non dubita che il suo messaggio di pentimento e conversione sia aperto a tutti ed efficace per tutti. La differente forza morale degli individui non esiste per Gesù, i cui “umili” sono coloro che aspettano con fede l’avvento del Regno, e i cui “ultimi” sono peccatori, ossia ebrei che hanno abbandonato la pratica della Legge, ma per alcuni aspetti migliori degli osservanti, in quanto meno convinti che la sola pratica della Legge li possa salvare, e con già il seme del pentimento in cuore (ecco perché “gli ultimi saranno i primi nel Regno di Dio”).

Non vi sono dunque “rischi di aristocratismo” nella predicazione di Gesù.

Tuttavia, questa diversa capacità morale è un dato assiomatico per l’antropologia pessimistica e probabilmente atea del Grande Inquisitore, e lo è anche per Cassano. Ci si potrebbe aspettare che sia tematizzata nel secondo saggio (e capitolo), quello dedicato a un’analisi di I sommersi e i salvati di Primo Levi. Ma qui oltre al riconoscimento che (p. 37) “in una situazione fortemente squilibrata, la maggior parte degli uomini non è capace di una resistenza eroica e, invece di ribellarsi, decide di sopravvivere e si arrende,” acquista rilievo (pp. 46-7) la circostanza dell’imprevedibilità della risposta di ognuno in situazione estreme.

A ben guardare, proporre una spiegazione dei comportamenti umani in termini di diversa “forza morale” non è ovvio: presuppone ad esempio che gli individui sappiano cosa dovrebbero fare in ogni determinata situazione, ma poi non abbiano il coraggio, o la fermezza, o l’abnegazione necessari per farlo. Vi sono notoriamente delle spiegazioni alternative, di cui la principale è la maggiore o minore capacità di orientamento cognitivo in una data situazione, la capacità di determinare quale sia l’azione appropriata. Inoltre, questa capacità cognitiva dipende dall’educazione morale e dalle capacità critiche delle persone. Quanta gente, ad esempio, riesce a seguire la politica senza lasciarsi catturare dagli slogan ripetuti ossessivamente, nel caso migliore dagli stereotipi, dalle semplificazioni, cui ricorre il giornalismo anche quando non infeudato? Quanta gente ha i mezzi per sottrarsi alla presa di appelli demagogici? Forse costoro sono “deboli”, ma non necessariamente moralmente deboli. Da questo seguirebbe, naturalmente, l’estrema importanza di media non occupati politicamente, non gestiti addirittura da uno dei protagonisti del gioco politico. Oppure, si potrebbe negare radicalmente la premessa che la gente sia divisa tra il bene, che conosce, e la pratica, che non avrebbe l’energia morale di adeguare a tale indiscusso ideale. La gente potrebbe essere fatta di tanti piccoli Previti, o Dell’Utri, soggetti che perseguono con grande lucidità e tenacia, senza alcuna esitazione o debolezza, il loro bene, per quanto socialmente dannoso sia.

Ora queste alternative non sono prese in considerazione da Cassano. Egli accetta pienamente la suddivisione dell’umanità asserita dal Grande Inquisitore: i pochi coraggiosi e forti, e i molti deboli e inetti, e la cala senza molte mediazioni nella realtà italiana odierna. (Perché produca dei terribili guasti in Italia e non, ad esempio, in Spagna, o in Francia, resta inspiegato). Certo, i mezzi, gli strumenti di governo del Grande Inquisitore sono cambiati (pp. 87-8): «Se nella leggenda il Grande Inquisitore esalta il miracolo, il mistero e l’autorità, oggi offrirebbe anche e soprattutto i consumi, il piccolo divismo dei mediocri, il narcisismo amorale dei reality, ecc. E se nel passato il mezzo poteva essere quello della sottomissione esplicita al potere, del genuflettersi del suddito, della rinunzia ai diritti, oggi esso consiste invece nella rinunzia ai doveri, in una sorta di superomismo dei peggiori, in un dilagare della volgarità».

Ma non c’è solo il versante mediatico del Grande Inquisitore. C’è anche quello governativo. E qui l’esimio personaggio ha usato a piene mani una risorsa di governo tipicamente sua, la pratica del Condono. Non solo restare impuniti, ma anche essere condonati: questa è davvero un’aspirazione diffusa. Strano che Cassano non la ricordi. Ad ogni modo, secondo Cassano con poche varianti lo schema è lo stesso. Ciò che egli aggiunge al dettato della Leggenda è un rimprovero ai pochi seri (p. 85):

«L’obiettivo critico del nostro ragionamento è il narcisismo etico, quell’atteggiamento che, affetto da un sentimento di superiorità morale, finisce per lasciare la debolezza degli uomini nelle mani del nemico.»

Non è chiaro se Cassano attribuisca il formarsi del supposto “narcisismo etico” alla situazione generale della presenza di una minoranza di dissenzienti, o alla sua concreta realizzazione nell’Italia berlusconizzata. Nel primo caso, la tesi sarebbe fortemente dubbia. I due che non si piegarono all’entrata nel lager, un professore della Sorbona e uno scaricatore di porto livornese, ricordati da Cassano riassumendo il resoconto di Primo Levi, furono immediatamente sterminati. La loro resistenza non ebbe alcuna efficacia, ma sarebbe molto strano attribuirgli del “narcismo etico”. Lo stesso vale, naturalmente, per i temerari ragazzi della “Rosa Bianca”: pensiamo siano stati degli eroi. In alcune storie dell’Antico Testamento, i pochi che non si lasciano corrompere dai più diventano addirittura il “resto salvifico”. Nel secondo caso, ci imbattiamo nella difficoltà che Cassano non compie la contestualizzazione della Leggenda necessaria a individuare il gruppo che corrisponderebbe ai pochi giusti. Di chi si tratta? Credo che di tutto si possa accusare il Pd, tranne che di “aristocratismo etico”! Del “popolo viola”? Di tutti quelli che non sopportano la demagogia del Berlusconi? Forse si potrebbe rimproverare una qualsiasi di queste minoranze di incapacità politica, ma anche questo richiederebbe un’analisi circostanziata che purtroppo manca. E il discorso si potrebbe anche rovesciare. Di “aristocratismo etico” ce n’è in Italia troppo poco. Una vera classe dirigente in Italia non c’è, perché sparita quella notevole aristocrazia di campagna che aveva alimentato la Destra Storica, non è mai subentrata una solida borghesia. E perché in Italia mancano le istituzioni che ne favoriscano la formazione. Se vi fosse, la sua caratteristica sarebbe, naturalmente, di riconoscere e osservare dei doveri in più, non certo di dedicarsi all’auto-ammirazione.

In ogni caso, secondo Cassano questo supposto sentimento di superiorità morale ha delle conseguenze politiche disastrose, perché così (pp. 88-9) «i deboli sono lasciati nelle mani dell’Inquisitore. Bisogna sapersi confrontare con lui proprio sul terreno della debolezza dell’uomo». Ma qui c’è un inatteso punto di svolta dell’argomentazione (p. 89): «Nella società la forza morale è più difficile da individuare e forse diversamente distribuita di quanto non si creda», ossia, l’Autore ammette che lo schema che ha importato dalla Leggenda del Grande Inquisitore non funziona! Con una stupefacente piroetta Cassano (pp. 90-1) attribuisce all’ignoto gruppo destinatario del suo rimprovero, non a lui in questo libro, l’incapacità di «decostruire l’unica categoria della debolezza, figlia dell’assolutismo etico, e riconoscere che essa è composta di diverse dimensioni», sicché esso, non lui, «dovrebbe smettere di etichettare come debole ciò che non riesce a capire». Ma certo!

Chiediamo tutti di poter capire. Vediamo i pochi cenni di “decostruzione” proposti nelle ultime pagine dall’Autore.

1) Le tasse, sostiene Cassano, vanno pagate, ma «bisogna capire che diversa è la posizione di chi ricava il suo salario dal bilancio statale e in una posizione protetta rispetto al mercato internazionale, e quella di chi vive invece su un mercato in cui non esiste protezione», un’affermazione di impressionante vaghezza. Vuol dire, (a) che gli stessi redditi guadagnati in diversi settori di attività hanno una diversa meritorietà, che va riconosciuta con un regime fiscale differenziato? Vuol dire, (b) dando per scontato che i redditi guadagnati sul mercato internazionale sono in media molto più alti di quelli dei dipendenti pubblici, che la progressività dell’Irpef va ridotta per consentire a quelli che rischiano un congruo premio di rischio? Vuol dire (c) che l’evasione fiscale attuata dal secondo gruppo può essere vista come un sostituto di (a) o di (b), quando manchino, e dunque, si può condonare?

2) Non bisogna «guardare con disprezzo la molla dell’interesse». Non mi consta che qualcuno lo faccia. Forse nella Costituzione italiana c’è del sospetto nei confronti dell’interesse privato. Esso può volgersi a imprese meravigliosamente produttive. Ma ve ne sono forme spaventosamente predatorie e distruttive, quelle oggetto dei tanto desiderati e popolari condoni urbanistici e ambientali dei governi Berlusconi. Si ricordi in particolare il disegno di legge di “alleggerimento” della normativa antisismica tacitamente abbandonato solo perché in via di approvazione nei giorni immediatamente successivi al terremoto dell’Aquila!

La “decostruzione” auspicata, certo non realizzata, da Cassano rimane un compito per ogni coscienzioso cittadino.

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3 commenti a L’umiltà del male secondo Franco Cassano. Recensione di Giacomo Costa

  1. giovedì, 26 Aprile, 2012 at 16:45

    In attesa di più impegnativi commenti: ero ancora tutta presa dalla riflessione di Carla Poncina sul 25 aprile, e leggo questa recensione al libro di Cassano. Umiltà o banalità del male? Non solo ne condivido la (garbata) severità parola per parola, ma mi sembra che la miglior lettura che si possa farne, sia appunto leggerla sullo sfondo del post precedente. Viva il Resto di Israele, viva questa “aristocrazia”, che sempre perde e sempre dà da vivere. Viva la nobiltà del bene.

  2. Guido Cusinato
    giovedì, 26 Aprile, 2012 at 23:08

    Condivido questa bella riflessione filosofica. La strategia del Grande Inquisitore purtroppo è molto pericolosa e seducente, ma è quella che riporta la dimensione della sacralizzazione della persona (pentimento e rinascita) al feticcio. Fare i conti con la debolezza umana non significa necessariamente assecondarla, fino a costruire il vitello d’oro. Se con debole s’intende colui che ha bisogno di certezze, allora il sacro in molti casi, più che al debole, è accessibile all’umile. Forse sarebbe interessante precisare meglio che cosa s’intende con “debole” in questo contesto.

  3. Corrada Cardini
    venerdì, 25 Maggio, 2012 at 14:16

    Leggo la recensione ma, lo ammetto, non ho letto il libro. Poco male. In realtà le argomentazioni del prof. Costa di per sé sono convincenti. Mi astengo solo sull’analisi che riguarda la figura e il messaggio di Gesù. Sono così stanca di sentire ogni volta che un argomento interessante, coinvolgente, drammaticamente attuale, debba essere affrontato a partire da un testo che risale a tempi lontani e che resta, comunque la si metta, uno dei tanti determinanti testi che la storia del pensiero umano ha saputo produrre sul tema del Bene della Giustizia, e del valore della Persona… Non so che cosa intendesse Gesù per “umili e reietti” ma mi consola sapere che possiamo sempre decidere noi come si vuole definire, spiegare e giudicare quella vasta parte della popolazione che antepone il proprio piccolo o grande interesse privato al bene pubblico, il proprio presente al futuro delle generazioni e del pianeta, la propria libertà di agire senza regola, alle regole stesse…

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