Si può partire da una sia pur piccola notizia di cronaca, apparsa pochi giorni fa su Repubblica (p. 22): “Studenti neofascisti contro il partigiano”. Si tratta di Mario Bottazzi, 84 anni, pesantemente contestato in un liceo di Roma. È solo l’ultima testimonianza del disastroso rapporto tra storia e memoria nel nostro Paese, che ha raggiunto un livello incredibilmente basso, lontano da ogni onesta ricerca di verità, e tuttavia dominante grazie al controllo e/o alla noncuranza dei media soprattutto in questi ultimi vent’anni, che per nostra vergogna verranno ricordati con i nomi di Berlusconi e Bossi.
E ancora non abbiamo superato la sofferenza per l’ennesima sentenza assolutoria sulla strage di Brescia, uscita il 14 aprile a suggello di una lunga stagione di vergognosi insabbiamenti.
Nelle scuole, dopo l’istituzione della giornata della memoria, si è fatto e si fa molto per far conoscere la tragedia della Shoah. Ma se si va a parlare ai ragazzi dei licei, e a maggior ragione a quelli degli Istituti tecnici e professionali, di quanto accaduto in Italia tra l’8 settembre del ’43, e il 25 Aprile del 1945, aggiungendo inevitabilmente qualcosa sul prima e sul dopo, si trova il vuoto nella stragrande maggioranza dei casi, o un pieno mal riempito dalle menzogne neo-fasciste o neo-naziste largamente diffuse, anche attraverso i penetranti mezzi della rete, dai molti e dominanti gruppi della destra estrema. La quale non ha – forse – il seguito che negli anni settanta avevano i movimenti di estrema sinistra, ma ne ha preso il posto quanto a vivacità e presenza nelle scuole. Parole come “Resistenza” o “partigiano” risultano sconosciute (nella maggior parte dei casi) se non irrise e insultate. Dai più “sapienti” ed “equilibrati” il partigiano è tutt’al più equiparato al “repubblichino”. Non combattevano in fondo entrambi per amor di Patria?
Ecco, il nostro è un paese che va ricostruito dal basso, come accadde nel periodo più buio della nostra storia, dopo l’8 settembre del ’43.
Chi se ne assumerà il compito, se la politica non c’è o si è ridotta nel migliore dei casi al lavoro contabile di riordinare i conti dello Stato? Lavoro preziosissimo oggi, ma del tutto inutile se non accompagnato da un progetto di ricostruzione che guardi al futuro.
L’esempio dei “minori”.
In questi giorni gli spunti di maggior chiarezza mi sono venuti dal libro del maestro Giordano Merlin: Memorie di un partigiano del Basso Vicentino. In esso proprio la narrazione di episodi minimi ha prodotto squarci illuminanti, come pure le valutazioni politico-morali proposte con semplicità e chiarezza veramente “magistrali”.
Tralasciando la narrazione delle vicende partigiane vere e proprie, colpisce il racconto di quanto accaduto a partire dal 28 aprile del ’45, data della liberazione di Noventa e dei paesi limitrofi. Merlin è il responsabile politico della zona, in quanto comandante del distaccamento locale della brigata Martiri di Grancona. Per quasi due settimane dormirà nel Municipio di Lonigo, onde evitare disordini tra la popolazione. Ma è un comunista in terra a larghissima predominanza cattolica. Finché si trattava di combattere tedeschi e fascisti la collaborazione con i cattolici -in alcuni casi preti e suore- è leale e fattiva.
Dopo la Liberazione il vento cambia rapidamente! Ecco allora l’ironico racconto dei reduci dalla prigionia che al loro ritorno, prima di varcare la soglia della loro casa, venivano invitati in canonica (molto vicina alla stazione tramviaria) e qui indottrinati sulla necessità di combattere il comunismo e «i partigiani, che a Pojana lo rappresentavano». O il rispettoso (malizioso?) ricordo dei cittadini di Pojana che, col parroco in testa, si recano in pellegrinaggio, a piedi, fino a Monte Berico per ringraziare la Madonna per la fine della guerra.
Continua il maestro Merlin:
«Eravamo già nel clima politico tipico dell’anticomunismo che raggiungerà l’apogeo verso il 1948. Così, tolta qualche eccezione tra i cattolici, il partigianesimo e il comunismo erano diventati la stessa cosa, perciò essere anticomunisti significava essere antipartigiani».
E incominciarono le provocazioni contro di lui, che seppe combatterle con la serietà del suo impegno scolastico e – ancor più grave – contro lo stesso ideale antifascista che la Resistenza propugnava.
Come si vede l’anti-antifascismo non è scoperta recente del più incolto centrodestra europeo. Ha radici assai profonde e lontane.
Ma ciò che più fa indignare il maestro-partigiano è il reiterato tentativo di mettere sullo stesso piano partigiani e camicie nere. Ciò non è possibile, quasi lo grida il maestro:
«La storia mette queste due categorie su due piani diversi […] qual era il compito dei repubblichini? Era paragonabile a quello di un servo, a quello di essere d’aiuto all’occupante straniero negli atti di terrorismo, d’aiuto nei rastrellamenti, utile a raccattare “nemici italiani” (partigiani) da mandare a morte o in prigionia, o a fare spionaggio, a dare la caccia a ex amici e compatrioti e spesso mandarli a morte, ricevendo così il plauso del vero nemico tedesco […] Il repubblichino era politicamente e giuridicamente “collaborazionista”. Il padrone (la Germania di Hitler) l’aveva vestito, gli aveva dato le armi, gli aveva messo a disposizione una caserma con lavatoi, latrine e saloni che lo difendevano dalle intemperie. Gli procurava il rancio bello caldo. E per la notte brande e protezione, spesso di soldati tedeschi».
Questa la vita di un “servo repubblichino”. Assai diversa quella del partigiano:
«Costretto ad abbandonare casa e famiglia, a darsi alla macchia, a cercarsi rifugi e fuggire spesso sui monti. […] Se sui monti fortunatamente trovava amici e compagni, non era detto che trovasse il rancio quotidiano, un tetto per ripararsi, spesso dormiva all’adiaccio».
Chissà se il maestro Merlin, morto lo scorso anno, raccontava queste cose ai suoi ragazzi! Probabilmente no, per pudore più che per paura delle critiche. E invece ci sarebbero voluti molti buoni maestri a raccontare ai ragazzi la nostra storia. È infatti l’ignoranza l’humus di cui si sono nutriti i nostri confusi e volgari ultimi anni. Anni in cui un presunto, vecchio, leader politico vanta – lui si spudoratamente – la sua “gioiosità” nutrita di burlesque!
Purtroppo non c’è stato in Italia il profondo dibattito storiografico che ha caratterizzato la Germania a partire dagli anni ’60 e culminato negli anni ’80 nell’Historikerstreit (cfr. G.E Rusconi, Il passato che non passa, Torino 1988). Le conseguenze di tutto ciò, calate nelle scuole, hanno prodotto in Germania un profondo mutamento culturale, hanno generato consapevolezza, di sé e della propria storia. I frequentatissimi musei storici tedeschi ne sono solo l’aspetto più visibile.
Niente di tutto questo da noi, dove la pur ampia produzione storiografica non ha raggiunto la scuola, volutamente o per superficiale incuria, è difficile dire.
Se a questo aggiungiamo il controllo dei media da parte di un centrodestra dove hanno trovato comodo asilo molti nostalgici del fascismo, si comprende, almeno in parte, il disastro culturale degli ultimi decenni.
Molto si potrebbe e dovrebbe dire ancora, in altre sedi e con voci più autorevoli e intense.
Mi limito ad un augurio e ad un invito: ciascuno di noi, a suo modo, renda onore alla Resistenza.
Buon 25 aprile!
Brava Carla! Bravissimo Merlin!
Su Il Gazzettino di Venezia è apparso questo avviso a pagamento: Il 25 aprile di Vera Brandes Pellegrini.
Sono d’accordo con quanto scritto da Carla, voglio aggiungere alcune considerazioni che naturalmente riassumo brevemente e che potrebbero essere molto ampliate. Sono Gianfranco Draghi, nato nel1924 a Bologna, ho fatto gli studi a Milano al Parini e già dai 13, 14 anni avevamo un piccolo nucleo di studenti chiaramente libertari e antifascisti. Verso il 1942 sono riuscito ad entrare in contatto con Adolfo Tino e fra il luglio e il settembre del 1943 ho partecipato alle riunioni del Comitato di Liberazione in casa di Tommaso Gallarati Scotti. Il 23 settembre del 1943 Adolfo Tino mi ordinò di rifugiarmi in Svizzera come feci e lì rimasi fino all’aprile del 1945. Sono stato da allora nel movimento Federalista europeo e ho avuto come maestro Altiero Spinelli. Il discorso sulla scuola è un discorso che va impostato anche pedagogicamente, cioè se vogliamo ampliare il tema della libertà, mettiamoci dentro la Montessori, Dewey e tutti i tentativi di pedagogia anti-autoritaria. Non sono sicuro che basti introdurre l’insegnamento storico della Resistenza etc., vanno introdotte le leve per un interesse vero dei giovani, dei ragazzi. in questo senso c’è stato il tentativo di Codignola con Scuola-città a Firenze e ci saranno certo altre cose che non conosco, io stesso ho oragnizzaato negli anni Settanta una scuola libertaria a Bagno a Ripoli, diretta da una giovane americana Penny Ritscher. Quindi mi piacerebbe che si facesse una discusisone seria sul rapporto insegnamento pedagogia e spirito libertario. Un’ultima aggiunta alle considerazioni di Carla Poncina: non solo politicamente, non c’è nessuna equiparazione fra Repubblichini e Resistenza, ma il concetto primario è che noi non vogliamo essere governati da pazzi, da dittatori, da Hitler, Mussolini e Stalin, il concetto primario è che l’uomo deve essere considerato un essere libero che si autodetermina, se no questi scalmanati vadano in un manicomio e inneggino a un loro dio furente e folle.
Gianfranco Draghi
Mi dispiace molto dirlo, ma si può dire dell’anti-antifascismo quello che si può dire del razzismo antisemita, dell’anticomunismo becero, dello spirito di crociata che ha animato e anima da sempre frange consistenti del paese, fra le componenti più esposte a valutare senza conoscere (donne e giovani temo) e cioè che una responsabilità importante è legata (in Italia specialmente) alla funzione svolta storicamente dal pensiero cattolico, cultore dell’anti-politica (solo per i credenti, non certo per le gerarchie cinicamente super politicizzate), distributore di facili verità per tutti gli usi, manipolatore in quanto consolatorio e rassicurante come un leggero anestetico… So bene che molti chiedono religione, so bene che il pensiero religioso in quanto parafilosofico, è parte integrante e insostituibile della storia spirituale e materiale dei popoli. Ciò non toglie che senza certe consapevolezze non possiamo neppure pensare una pedagogia sanamente laica e capace di coniugare libertà e rispetto della persona.