“Ciò che chiamiamo “cultura” non è soggetto al criterio di verità, ma nessuna grande cultura può fondarsi su una falsa relazione alla verità”. Questa frase di Musil potrebbe servire da motto all’opera intera di Sir Michael Dummett, uno dei maggiori filosofi del Novecento, spentosi all’età di 86 anni in questo fine d’anno così buio per l’Europa. Un’altra luce si spegne, mentre dura nei molti di noi che ne furono direttamente o indirettamente allievi la memoria del suo impegno illuminato, morale e civile. L’impegno che Dummett ha dispiegato nella cospicua parte della sua opera e della sua vita che eccedono il suo lavoro strettamente filosofico, pur così centrale nel pensiero contemporaneo che ogni ricercatore del pensiero, anche al di là della cerchia di specialisti della disciplina da lui rifondata su nuove basi – la filosofia del linguaggio – ne ha dovuto tenere conto. E non è strana in lui la generosità con cui ha prodigato la sua intelligenza nella lunga battaglia, condotta a fianco della moglie Ann, per la giustizia in materia di immigrazione e il superamento di ogni discriminazione razziale, nel lavoro sulle procedure di voto più efficienti a garantire la rappresentanza democratica, e infine negli amati studi sul gioco dei Tarocchi, attraverso la quale era giunto a padroneggiare la storia iconografica e culturale dell’Europa intera. Non è strana, questa generosità morale e questa inesauribile curiosità intellettuale in un uomo che definiva la filosofia, semplicemente, “un settore della ricerca umana di verità”. Né più, né meno. Accanto alle scienze, accanto alla ricerca personale, morale e anche religiosa, che in lui fu tanto discreta quanto viva. Michael Dummett, la cui opera ha radici nella più nobile tradizione del pensiero europeo, da Hermann Lotze a Gottlob Frege padre della logica moderna, da Ludwig Wittgenstein a Edmund Husserl, a lui familiare come raramente accade sotto le guglie di Oxford, sta a testimoniare con la limpidezza del suo sguardo che la “cultura europea” non ha prodotto solo, in filosofia, apocalittici e postmoderni, retori, sofisti, nichilisti e soprattutto scettici (cioè relativisti, persone che pensano che la verità sia relativa a culture, epoche storiche, contesti, etc.) ma anche buona parte della migliore filosofia analitica. Per non parlare della fenomenologia, quest’altro grande programma di filosofia come ricerca rigorosa di verità (al plurale) intorno ai dati di realtà e di valore del mondo quotidiano, oggi come sempre sommerso dalla chiacchiera dell’opinione infondata, violentato dall’ideologia, occultato dalla banalità . Ma oggi troneggia nella mente il bel volto e la parola lucidissima di questo grande maestro, che in Italia – un paese che amava, di cui parlava la lingua e dove tornava volentieri – tenne nel 2004, nella Lezione magistrale in apertura del Convegno lezione su Il ruolo della filosofia nella cultura europea, che è straordinariamente istruttivo rileggere oggi sul sito della Società Italiana di Filosofia Analitica (http://www.sifa.unige.it/). E’ impossibile riassumere in poche righe la parte definitiva del contributo che il suo pensiero ha dato alla filosofia. Nell’insegnamento di alcuni di noi questo contributo sta nei fondamenti stessi del nostro lavoro quotidiano, nella chiarezza con cui Dummett ha mostrato in che modo gli assunti fondamentali delle metafisiche sono riducibili a certe assunzioni sulla logica e la teoria della verità. Così per il realismo, ad esempio, di cui oggi si è molto tornati a parlare a difesa della realtà dei fatti e dei patti contro l’onnivora pretesa ermeneutica delle interpretazioni; o per l’anti-realismo, che non ammette nessuna realtà al di fuori del verificabile. Che ad esempio la nostra fiducia in una realtà delle cose là fuori si traduce nella definizione della realtà come l’insieme dei fattori di verità, vale a dire delle cose che rendono vere o false le nostre proposizioni, e delle proposizioni come portatrici di verità (o falsità) del tutto a prescindere dalla circostanza che siamo o no in grado di provarle vere, o false. E che l’antirealismo si traduca in tesi opposte a queste. Per tutta la sua vita Dummett ha mostrato le enormi conseguenze –metafisiche e morali, segretamente anche teologiche – che l’uno o l’altro assunto sulla natura del vero comporta. Ma anche chi crede che della metafisica si possa fare a meno dovrebbe oggi familiarizzarsi almeno con l’argomento di Dummett contro lo scetticismo. Esso illumina il nesso necessario fra la possibilità che abbiamo di esprimere pensieri definiti – e quindi di capirci gli uni gli altri: di capirci quando discutiamo in filosofia e nelle scienze, ma anche quando discutiamo dei fatti, dei valori, delle cose che è giusto fare – e la nostra disponibilità a prendere sul serio la pretesa di verità implicita in ogni asserzione. Se ad esempio affermo che non esistono verità, sto affermando che è vero che non esistono verità. Il contributo di Dummett è di mostrare che se non c’è accordo sulle condizioni alle quali riconosceremmo per vero un qualunque asserto, non c’è semplicemente un pensiero definito che quell’asserto esprime. Parliamo, parliamo, e non diciamo nulla. Questa lezione ci insegna che, se parlare o no razionalmente (cioè dando ragioni di quello che si afferma) dipende da noi, non è in nostro potere pensare qualcosa di definito se non indichiamo condizioni di verità per le nostre asserzioni. Se lo scettico, se il relativista culturale inducessero la maggior parte dei parlanti a non prendere sul serio la pretesa di verità delle asserzioni, allora, conclude Dummett, scenderebbe su di noi “una maledizione peggiore di quella che Dio ha imposto ai costruttori di Babele: invece che parlare diversi linguaggi non parlare affatto un vero linguaggio”. Dato che quest’ipotesi non è purtroppo puramente accademica, segnaliamo almeno un libretto che ogni studente dovrebbe leggere, e che esiste al momento solo in italiano (mentre quasi l’intera opera è tradotta nella nostra lingua): La natura e il futuro della filosofia (Il melangolo, Genova 2001). Ancora grazie, caro maestro.
Vedi anche:
1) Michael Dummett al convegno di Genova del 2004 organizzato dal Sifa (Società Italiana di Filosofia Analitica.
2) L’articolo di Michael Dummett The Place of Philosophy in European Culture pubblicato sul Guardian e messo a disposizione dal Sifa, in calce alla pagina dedicata al filosofo.
Gentile e cara Professoressa De Monticelli,
Le scrive ‘un allievo indiretto’ di Michael Dummett, che sta completando il suo dottorato in filosofia del diritto, disciplina apparentemente distante dai temi oggetto delle riflessioni del grande filosofo di Oxford. Un ‘allievo’ che, pur laureato in giurisprudenza, si è appassionato all’opera dummettiana cercando in essa la chiave di comprensione di problemi temibili, che non possono essere aggirati neppure da chi si consuma tra ‘codici polverosi’ e dottrina giuridica (campo del sapere dove gli abusi linguistici hanno spesso ’sfigurato’ la pratica concettuale). Non sarei in grado di dire nulla di più di quanto Lei e la Professoressa Picardi abbiate scritto nei vostri limpidi interventi.
Desidero solo esprimere un senso di perdita difficilmente descrivibile. Perdita di un pensatore ed un uomo che, benchè io non abbia mai avuto occasione di conoscere personalmente, ha avuto una profonda influenza non solo sul mio modo di pensare e (nel mio piccolo) di fare filosofia, ma anche sulla concezione dell’impegno che questo richiede. Non vi è verità al di là di ciò che è passibile di scoperta e giustificazione, sosteneva con vigore e lucidità Michael Dummett. Se così è, i nostri pensieri, pur nella loro oggettività, sono soltanto i ‘nostri’ pensieri, e la prospettiva scorciata che abbiamo sulla realtà ci spinge ad assumere un atteggiamento umile, consapevole della trama di regole comunitarie entro cui agenti cognitivi quali noi siamo praticano il gioco epistemico. Ma se le verità (fisiche, matematiche, logico-semantiche, sociali, psicologiche) sono dischiuse dall’orizzonte delineato dai nostri vincoli cognitivi e dalle nostre pratiche linguistiche e giustificative, allora abbiamo anche il dovere di cercare, di pretendere da noi stessi una ricerca del vero, senza quartiere, immune dalle illusioni appagate da quelle zoppicanti analogie delle quali Dummett ci insegnato a diffidare.
E inoltre. Di ripristinare un’etica della verità, per la quale ogni affermazione deve avere solide ragioni, consapevoli che le lusinghe e le scorciatoie offerte dal dire disimpegnato seducono e rassicurano. Di ridare alla verità, pur concepita nella sua stretta correlazione con conoscenza e giustificazione, il ruolo che essa deve avere, anche e soprattutto nel discorso etico e giuridico, ambito in cui sarebbe vano pensare senza presupporre che vi siano, al di là della chiacchiera e della menzogna, fatti cui le norme (che fatti non esprimono) possano essere applicate. Senza dover aderire necessariamente ad una qualche forma di realismo morale, non è forse giusto affermare che, se una verità deve per sua natura essere accessibile al pensiero, noi abbiamo l’onere di cercarne le basi e di condividerla?
Al di là della nitida eleganza della semantica giustificazionista, della ‘forza gentile’ della logica intuizionistica, del coraggio analitico di fronte alle questioni metafisiche, questo si può ricavare, nell’opinione di chi scrive, dallo studio dell’opera di Michael Dummett. La spinta a non accontentarsi di facili spiegazioni, perchè anche le verità più semplici si trovano a profondità vertiginose, e bene sarebbe non avere la presunzione di cercare di afferrarle ‘a mani nude’. Grazie anche da parte mia, caro maestro lontano.
A Lesson of Truth – proprio così m’è venuto naturale intitolare il pezzetto su Michael Dummett che mi è stato chiesto per il New York Times – per una rubrica di testimonianze di suoi allievi…. E’ lo spirito stesso di questo suo intervento. In questi giorni un po’ ardui, in cui un filosofo che insegna nell’Università di don Verzé non può non chiedersi ci sia stata qualche falla fondamentale nel suo proprio sistema di valutazione assiologica ed etica, dal momento che per lunghi anni ha ignorato di avere per Rettore un uomo che sarebbe stato indagato per fatti penali: la figura di Michael Dummett incita a un pensiero confortante… Dummett non parlava di etica, ma profondamente etica è stata la sua riflessione sulla logica, sul significato, sulle condizioni di verità di ciò che diciamo. Anche se non basta, condividere quest’ansia di chiarezza, di trasparenza, di rigore… è qualcosa.
Da studioso poco esperto di Dummett posso comunque dire che le sue lucide riflessioni circa il valore delle asserzioni di verità, soprattutto riguardo al passato, sono un passaggio fondamentale del percorso filosofico, condotte alla sua maniera o simile.
Tuttavia seguendo schiettamente il filo logico, se “affermo che non esistono verità, sto affermando che è vero che non esistono verità” e portandolo all’estremo, non si esce dal suo antirealismo?
Dopotutto una verità è la testimonianza di una possibilità.
La Verità è la testimonianza di tutte le verità possibili.
Questa pare la Dura Realtà:
L’impossibile si esclude a priori.
Nessun possibile può escludersi a posteriori.
Cosicché
La distinzione tra passato e futuro «è principalmente epistemologica e risiede nel fatto che abbiamo conoscenza del passato in un modo in cui non abbiamo conoscenza del futuro». Come asserisce Dummett Ne “La base logica della metafisica”, riguardo ai filosofi realisti. Nonché qualunque possibiltà alternativa alla presente non può essere esclusa.
EM