Ieri in 951 città di 82 Paesi del mondo sono scesi in piazza cittadini di ogni età, ma soprattutto giovani, per protestare contro un sistema economico che si preoccupa di salvare le banche prima dei cittadini. Sono i cosiddetti «Indignati», che hanno preso il nome dai manifestanti spagnoli che in primavera hanno occupato la Puerta del Sol a Madrid per denunciare la disoccupazione crescente, la precarietà dilagante e i privilegi della casta economica e di quella finanziaria.
La protesta ha fatto proseliti e in queste settimane i riflettori si sono concentrati a New York sugli «occupanti» di Zuccotti Park, una piazza poco lontana da Wall Street, dove è stato costruito un piccolo accampamento che intende contrapporre l’uomo della strada, che soffre la crisi, ai broker della Borsa che sono tornati a prendere bonus milionari. La mobilitazione americana non è mai sfuggita di mano e, di fronte alle accuse del sindaco di sporcare e deturpare, gli occupanti si sono messi al lavoro per lavare e pulire. (continua la lettura sul sito de La Stampa)
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F. è un “nero”. Ha 30 anni all’anagrafe, una laurea, un lavoro precario e tutta la rabbia del mondo in corpo. Sabato le sue mani hanno devastato Roma. E lui, ora, ne sorride compiaciuto. “Poteva esserci il morto in piazza? Perché, quanti morti fa ogni giorno questo Sistema? Chi sono gli assassini delle operaie di Barletta?”. Non i poliziotti o i carabinieri a 1.300 euro al mese su cui vi siete avventati, magari. Non quelli che pagano a rate le macchine che avete bruciato. Non il Movimento in cui vi siete nascosti.
“Noi non ci siamo nascosti. Il Movimento finge di non conoscerci. Ma sa benissimo chi siamo. E sapeva quello che intendevamo fare. Come lo sapevano gli sbirri. Lo abbiamo annunciato pubblicamente cosa sarebbe stato il nostro 15 ottobre. Ora i “capetti” del Movimento fanno le anime belle. Ma è una favola. Mettiamola così: forse ora saranno costretti finalmente a dire da che parte stanno. Ripeto: tutti sapevano cosa volevamo fare. E sapevano che lo sappiamo fare. Perché ci prepariamo da un anno”. (continua la lettura sul sito di Repubblica)
Da quando sono entrato nell’età della ragione, ogni volta che si verificano questi episodi mi chiedo sconsolato se non siano anch’essi il riflesso di uno dei principali problemi della mentalità italiana: la difficoltà a immaginarsi un bene comune. Vi racconto un aneddoto che si è impresso indelebilmente nella mia memoria. Durante il movimento della Pantera, quand’ero uno studente della Statale di Milano, mi lamentai con una ragazza per quelli che a me sembravano inutili atti vandalici. La risposta fu: ma di che ti preoccupi? Tanto sono assicurati! No comment…
Questa pagina di Mario Calabresi è una testimonianza esemplare di quanto una persona intelligente possa produrre in buona fede giudizi intellettualmente miopi. Ovviamente, vista la triste vicenda famigliare di cui Calabresi è stato vittima, non è poi tanto strano che le categorie utilizzate per analizzare l’Italia del 2011 siano le stesse di quella del 1977. E tuttavia, concesse le attenuanti psicologiche del caso, si tratta comunque di un editoriale su uno dei maggiori quotidiani italiani, e ne porta le relative responsabilità.
Che cosa ci dice Calabresi? Ci dice che due sono i colpevoli di quanto accaduto. Da un lato tutti quelli che non prendono “le distanze in modo netto e definitivo dalle pratiche violente,” lasciandosi andare all’ambiguità “del «Ma» e del «Però».” Dall’altro “la nostra malattia è la mancanza di un pensiero costruttivo”, che intossica i giovani di cinismo e catastrofismo.
Notiamo innanzitutto che si tratta di due “peccati d’opinione”, ascrivibili in forme diverse ai soliti “cattivi maestri” che, immagino, agiscono nell’ombra, visto che di maitre-a-penser rivoluzionari non se ne vedono molti in giro di questi tempi.
Ora, dopo aver avvertito Calabresi che Sofri è in galera da un bel po’, è necessario chiedersi COME E’ POSSIBILE che per dar ragione di ciò che è successo sabato a Roma ci si appelli a fantomatici (ma apparentemente influentissimi) opinion-makers e non si DEDICHI NEPPURE UN CENNO alla realtà italiana di questi anni. Com’è possibile che non si veda il nesso tra quanto è successo ed il cartello che veniva brandito in testa al corteo di sabato: “Siamo il 99% e non ci rappresenta nessuno”. E ancora, com’è possibile che nelle stesse righe in cui si esige pensiero costruttivo si denunci con toni da Politburo l’ambigua fioritura dei distinguo (i Ma e i Però), laddove la terapia della presente malattia sarebbe schierarsi in modo netto (o con noi o contro di noi).
Al contrario, e contro l’intero crescendo di parolette d’ordine e serrate i ranghi che viene dal mondo politico, una volta di più incapace di rappresentare alcunché, bisogna avere il coraggio di vedere sia le continuità che le discontinuità tra la protesta pacifica e quella violenta, e non per riverginare la prima o demonizzare la seconda. E chi non è intellettualmente o moralmente capace di reggere la differenza tra COMPRENDERE e GIUSTIFICARE dovrebbe tacere sulla scena pubblica.
Che quanto fatto dai black blok, incappucciati o come vogliamo chiamarli sia stato grave e sbagliato è fuor di dubbio. È sbagliato perché controproducente e perché colpisce obiettivi che non c’entrano, dunque si tratta di atti sbagliati sul piano tattico, strategico e morale.
Detto questo, e detto dunque che questi energumeni non sono né gli eroi né i rappresentanti di nessuna delle idee portate avanti nella manifestazione, non si può far finta di non vedere che i loro atti sono SEGNI, ESPRESSIONI, SINTOMI PATOLOGICI di una situazione patologica. Questo non toglie ai violenti niente della loro responsabilità, ma non finge che la responsabilità di quanto successo si esaurisca all’interno delle anime perdute di quelli che Alemanno ha plasticamente etichettato come “animali”. (Se fossero stati di meno si sarebbe potuta utilizzare l’altra categoria celebre per spegnere ogni lume della ragione: si poteva dire che erano “pazzi”.)
NOTA FILOSOFICA: la responsabilità non va concepita come energia che si trasferisce da cause ad effetti e per cui vale la legge di conservazione. Fuor di metafora: una persona può avere piena e totale responsabilità di un atto, e tale responsabilità può essere anche attribuita ad un altro. Non è che la responsabilità sia una quantità che se attribuita anche a B debba essere sottratta in proporzione all’ipotetico primo responsabile A. Ad esempio: posso pensare che il mafioso X sia da condannare al 100% per i reati che ha commesso, ma questo non dispensa affatto dalle responsabilità storiche tutti coloro i quali nella storia italiana hanno permesso che la cultura mafiosa, in cui X è cresciuto e senza di cui non sarebbe diventato un mafioso, proliferasse e si consolidasse.
Ora, fingere che quanto successo sia successo da noi per colpa dei cattivi maestri e non spendere neppure una parola sul contesto storico di questi anni è segno o di ottusità o di falsa coscienza. Dimenticare che il pomeriggio precedente il capo del governo ha pagato le sue cambiali politiche nominando quattro tra sottosegretari e viceministri, dimenticare che abbiamo un governo che dopo aver saccheggiato e lasciato saccheggiare ciò che c’era da saccheggiare nel paese si barrica da mesi in parlamento, difeso da quelle leggi, quei magistrati, quelle istituzioni per cui ogni giorno manifesta pubblicamente il più assoluto disprezzo; dimenticare che i CicchittiGasparriQuagliarelliCapezzoni che fanno lezione su come si deve manifestare civilmente sono gli stessi che quando a Roma c’erano manifestazioni pacifiche di tre milioni di persone dicevano che quella era gente che aveva tempo da perdere e che c’era molta più gente a casa di quella in piazza; dimenticare che poliziotti e carabinieri cui non si danno i mezzi per far il loro lavoro sono chiamati a fare da scorta armata al ministro Romano, in odore di mafia; dimenticare che in uno Stato in cui Castelli dice di essere povero con 150.000 euro l’anno, in cui Mr. B. omaggia le sue bagasce con 5.000 euro a botta, in cui Tarantini è ritenuto fare una vita da leone perché fa il pappone, in cui i gioiellieri dichiarano 14.000 euro l’anno, si fa la morale ad una generazione di trentenni dicendo di non fare gli schifiltosi con i lavoretti che rimediano (si lamentano forse i cinesi?).
La verità è che se alla maggioranza degli italiani si desse magicamente la concreta possibilità di indirizzare atti di violenza in modo da ottenere come effetto unico, senza danni collaterali, il defenestramento di questa classe dirigente, tale violenza si sarebbe già scatenata da tempo e vi avrebbero partecipato non trecento black blok, ma milioni di persone. Se per magia fosse possibile colpire nella persona e negli averi in modo selettivo i membri di questa classe dirigente senza subire ripercussioni in prima persona e senza coinvolgere cose e persone estranee, l’appartamento vista Colosseo di Scajola, il mausoleo di Mr. B., lo studio di tributarista di Tremonti, la villa di Dell’Utri, ecc. ecc. sarebbero da tempo cumuli di macerie. Con buona pace di tutte quelle prediche pelose sulla non-violenza che fioriscono in bocca a chi ha già posizioni di forza e la esercita con quotidiana spudorata arroganza.
Grazie al cielo non tutti hanno il cervello all’ammasso. Vedi l’articolo di Gianni Barbacetto alla pagina:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/18/buoni-o-cattivi-non-e-cosi-semplice/164593/
Sarà, ma io non sono mica tanto convinto (devo avere anch’io il cervello all’ammasso). Secondo me il punto dell’articolo di Calabresi è un altro: come si può sperare di dare vita a una democrazia mediamente normale se il sentimento dominante in Italia è che il più pulito ha la rogna e che l’unica cosa sensata da fare è una specie di derattizzazione?
Nell’articolo di Barbacetto una delle testimonianze riportate è la seguente: “Domando: che cosa abbiamo ottenuto con le manifestazioni pacifiche dal 2008 a oggi? Tutti i politici solidarizzano con i manifestanti pacifici e poi nel concreto non cambia nulla”.
Mi piacerebbe sapere quanti in Italia condividono l’unica risposta a questa lamentela ricorrente che è a mio parere compatibile con una politica democratica moderna. Quella, cioè, che ricorda al nostro impaziente che la vita politica democratica è frustrante; la rilevanza causale delle azioni individuali è nella stragrande maggioranza dei casi indiretta; e che se uno vuol vedere cambiare immediatamente le cose deve impegnarsi in ambiti più circoscritti e meno epocali della propria esistenza (e ce ne sono molti: dall’attività politica di quartiere al volontariato). Qual è la differenza tra la sfera pubblica moderna e lo spazio pubblico antico? È che noi dobbiamo fare uno sforzo immaginativo molto più grande per credere che esista una cosa come la sovranità popolare. C’è bisogno davvero di un atto di fede (anche se tutt’altro che irragionevole). Se in una comunità politica la maggioranza dei cittadini è così cinica, disillusa o “illuminata” da ritenere sprovveduti tutti coloro che sanno accontentarsi della rilevanza simbolica della quasi totalità dell’attività politica democratica, il futuro di quella democrazia è irrimediabilmente segnato.
Per questo mi colpiscono più le somiglianze che le diversità tra i black bloc e i Lavitola di turno. Entrambi si credono più furbi di tutti e pensano di avere la chiave per aprire ogni porta. Per loro le idee di bene comune, sfera pubblica deliberativa, volontà popolare, governo della legge, sono favole per tenere buoni i polli. Gli altri sono sempre una massa di sempliciotti. Mai che venisse loro il dubbio che senza gli ingenui saremmo ancora alla socialità dei cacciatori-raccoglitori, dove molto probabilmente l’efficacia causale delle azioni individuali era più alta, ma forse nemmeno lì così alta da appagare l’infantile desiderio di vedere materializzati di fronte agli occhi tutti i propri sogni più sfrenati.
Per riassumere la mia opinione con le parole di Calabresi: “la nostra malattia è la mancanza di un pensiero costruttivo. Se ripetiamo continuamente ai giovani che non c’è futuro ma solo declino e precarietà, se li intossichiamo di cinismo, scenari catastrofici e neghiamo spazio alla speranza, allora cancelliamo ogni occasione per una spinta al cambiamento. Ai giovani allora restano solo due possibilità: un atteggiamento di rassegnazione e di apatia che trova riscatto momentaneo solo nello sballo degli Happy Hour (le ore del lungo aperitivo che dal tramonto si trascina fino a notte fonda) o un atteggiamento di rottura. Perché se si dice che nulla si può costruire, allora non resta che la pulsione a sfasciare e distruggere”.
Mi rendo conto che, formulato così, non sembra un argomento molto raffinato. Per chi è interessato a leggere la versione più “accademica” di questo ragionamento la può trovare qui: http://fbk.academia.edu/PaoloCosta/Talks/48177/Diversi_ma_solidali_la_vulnerabilita_della_sfera_pubblica_nelle_democrazie_moderne .
Temo che Paolo sia troppo generoso con Calabresi o troppo poco generoso con se stesso, perché a leggere le sue belle pagine sulla “Vulnerabilità della sfera pubblica nelle democrazie moderne” ho trovato di comune con i peana di Calabresi solo il fatto di essere entrambe scritte in italiano.
Il problema però mi sembra che il giudizio di Calabresi (così come quello di Paolo nel commento qui sopra, ma non nel suo articolo) sia un giudizio MORALE (ed in ciò niente di male), ma un giudizio morale che vuole collocarsi come chiave di lettura complessiva dell’evento (il che invece mi pare un grave errore). Sul piano del giudizio morale, lo ribadisco perché non mi si accusi di connivenza con il Nemico, credo di condividere a grandi linee la valutazione di condanna di Calabresi, così come quella di Barbacetto e di Paolo Costa. Certo, se proprio vogliamo dirla tutta, sul piano delle inclinazioni personali più idiosincratiche e senza pretesa di universalizzazione, ai violenti di sabato non riservo proprio l’ultimo girone infernale, e pur non provando per essi simpatia, provo meno antipatia per loro che per la massa di italiani ignavi ipocriti ed opportunisti che moralizzano sulla nostra ‘gioventù bruciata’ mentre sono intenti a frodare il fisco (pacificamente, per amor di dio!).
Ma ciò non giustifica chi sfascia roba a casaccio e mette a repentaglio la sicurezza di gente innocente.
Detto questo, però, la condanna morale nel contesto di un articolo che, ricordiamolo, parte dalla domanda “Perché succede solo qui?”, per dirla in dipietrese, non c’azzecca: le prediche morali qui stanno a zero. Pensare che il problema di quella violenza sia dato dall’incontinenza pulsionale di giovinastri che vogliono tutto e subito e non sono adusi al paziente esercizio della democrazia mi pare completamente fuorviante. Sì, è vero, credo anch’io che i violenti di sabato siano, letteralmente, maleducati: la loro educazione non li mette in grado di veder quanto le loro azioni siano sterili, controproducenti e lesive di persone ed interessi che, a parole, vogliono difendere. In effetti, la gran parte delle rivolte spontanee nella storia ha questo carattere maleducato: le cicliche rivolte contadine nel mondo germanico, che, si noti, Marx stigmatizzava, avevano proprio questo carattere sterile e feroce. Dopo aver subito il subibile, ad un certo punto qualche Landsknecht puzzolente ed analfabeta adottava un uso improprio del forcone e gli altri gli venivano dietro. Il tutto si concludeva di solito dopo qualche giorno, in cui famiglia ed averi di un nobilotto locale erano stati massacrati, con l’invio di armati coalizzati dai Länder vicini, che mazziavano tutti i contadini, eseguivano un po’ di cruenti ed esemplari condanne a morte, e ripristinavano la PACE. Fino alla prossima volta in cui saltava il tappo.
Si dirà: il parallelo non regge, perché quelle non erano democrazie. Beh, come ben dice Paolo, democrazia oggi è “the only game in town”, il che ne fa una parola d’ordine buona anche per La Russa, Gelli o Berlusconi. Ma la democrazia fa differenza solo se consente un, almeno passabile, sistema di trasmissione tra le istanze che provengono dal basso (demos) e l’esercizio del potere (kratein). Il problema vero, quello di cui gli opinionisti nella fattispecie dovrebbero occuparsi, non è se er pelliccia è di buona famiglia e va all’Happy Hour, ma cosa si può e deve fare quando, come accade oggi in Italia, una democrazia formalmente sussistente manca nel modo più sfacciato di dare rappresentanza. Bisogna spiegare a chiare lettere che andare qualche volta a votare semplicemente NON è ancora democrazia: la democrazia non è la dittatura legale di una minoranza eletta. (Sì, è meglio di niente…, figuratevi se c’era la Stasi…, qui c’è libertà di parola…, e bla bla bla…).
cit. Zhok “dimenticare che abbiamo un governo che dopo aver saccheggiato e lasciato saccheggiare ciò che c’era da saccheggiare nel paese si barrica da mesi in parlamento, difeso da quelle leggi, quei magistrati..”
E non è ancora finita,adesso si preparano a stravolgere persino l’articolo 41 della Costituzione.