Dalla quarta di copertina Il titolo di questo libro riecheggia un album e spettacolo teatrale di Giorgio Gaber (Dialogo tra un impegnato e un non so), che nel 1972 ironizzava sull’ideologia che, allora non meno di oggi, intorbidiva le acque del nostro pensiero e della nostra vita. Il suo tema è la coscienza. Esiste o è una finzione utile alla sopravvivenza? È la condizione della nostra libertà o un mito prescientifico da rigettare? Ha senso riferirci a essa come al cuore della nostra vita razionale o dobbiamo invece constatarne il carattere illusorio? A queste questioni, nel dibattito corrente su giornali e tv, si cerca solitamente di rispondere attingendo ai più recenti risultati delle neuroscienze, spesso egualmente branditi da laici e ordinati, atei e devoti, giacobini e sanfedisti. L’esito è un lento divorzio tra razionalità e senso comune, immagine scientifica del mondo ed esperienza ordinaria, con il corollario di una risorgente tendenza a rifugiarsi nei rassicuranti dogmi delle fede, magari scientificamente “spiegati”. Un’alternativa, però, c’è. Si chiama filosofia, o meglio, un certo stile nel suo esercizio, che porta il bel nome, a lungo abusato, di fenomenologia. Questo dialogo, secondo di una serie che, dopo il tema della coscienza e della vita, tratterà dell’etica e della storia, è stato scritto nel tentativo di ristabilirne il senso e il valore; e consegna alle maschere di due personaggi fittizi – un filosofo che si sforza di essere à la page e un uomo della strada – una requisitoria contro una cultura dominata da due opposti dogmatismi, scientifico e religioso, che troppo spesso, nei confronti della filosofia più pura, assumono la pietosa condiscendenza concessa a un anziano ospite: illustre ma impotente.
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Dialogo tra un filosofo e un non so.
Parte seconda: sulla vita di Stefano Cardini
Ho letto la prima parte di questo Dialogo e sono convinta che un prof di filosofia, al liceo, dovrebbe adottarlo e metterlo in scena in classe – o per lo meno dedicargli una intera giornata, divertendocisi coi ragazzi. Ma anche per molti colleghi sarebbe una lettura istruttiva, oltre che piacevolissima. Condivido in pieno la presentazione – è proprio così, fra i due di cui parla Stefano sta una specie di Vecchia Signora fintamente rispettata e di fatto ignorata. E se sapessero quanto le resta ancora da scoprire e da stupire, a questa vecchia signora, e insieme quanto indispensabile sia al nostro risveglio – anche morale. Buona fortuna a questa seconda parte!
Nell’augurare buona fortuna al lavoro di Stefano, mi permetto di aggiungere un aneddoto personale. Quando Stefano ha cominciato a ragionare su questi temi, avrei tanto voluto recitare io la parte dell’alter ego. Per chi non lo sapesse, Stefano è uno straordinario conversatore e, quando si parla con lui, si ha sempre l’impressione di poter dire cose più intelligenti di quelle che normalmente si riescono a pensare e, a maggior ragione, a scrivere.
Come spesso capita nelle nostre incasinatissime esistenze, il progetto non è andato (ancora!) in porto. Ma rileggendo ora il Dialogo nella sua forma definitiva, mi rendo conto che la mia presenza sarebbe stata superflua. Sia lui che il suo Doppelgänger ne sanno più di me su tutto e dicono spesso cose che non mi sarebbero mai venute in mente.
Complimenti allora a Stefano e lasciatemi esprimere anche pubblicamente la mia ammirazione per le sue virtù intellettuali e umane. Ci vuole passione, ostinazione e anche un pizzico di incoscienza per realizzare oggi un’operazione editoriale del genere. Ha qualcosa di donchisciottesco. E, in effetti, quando ripenso all’occasione mancata, ho il rimpianto – un po’ infantile l’ammetto – di non aver potuto recitare la parte di Sancho Panza.
Mi consolo pensando che di mulini a vento da prendere d’assalto con le nostre spuntate lance filosofiche, ringraziando il cielo, ne abbiamo ancora in abbondanza. Lo spazio per le avventure intellettuali non manca. È una delle cose che Stefano continua a insegnarmi e che chiunque adesso può imparare direttamente dal suo libro. Buona lettura!