Cari Relatori al Seminario di fenomenologia dell’11 aprile 2011 appena trascorso, mentre vi ringrazio per la bella mattinata di ieri, scusandomi molto per i tempi un po’ compressi che non ci hanno consentito di lasciarvi il tempo che tutti i vostri interventi avrebbero meritato, e soprattutto per la repressione che è stata necessaria del dibattito, vi propongo di rovesciare in un’opportunità questo limite, seguendo il suggerimento della cosa stessa: la crudele compressione vi ha costretti a sintetizzare ed esprimere con grande concisione e chiarezza le tesi fondamentali che ciascuno di voi ha presentato. Personalmente ne ho ricavato l’impressione di un vero nucleo vivo o di un’avaguardia ben sperimentata della ricerca nella nostra piccola comunità, e più in dettaglio una serie di considerazioni consolanti.
1. Ciascun intervento ha espresso tesi molto chiare, in conflitto soltanto parziale le une con le altre, e questo confronto ha intanto permesso di mettere a fuoco lo stato dell’arte e l’agenda di una discussione oggi sull’intersoggettività, mostrando quanto di assolutamente interessante al dibattito attuale nei campi della filosofia della mente, dell’ontologia sociale, della filosofia del normativo, e naturalmente degli specifici problemi della cognizione sociale e dell’intenzionalità collettiva la prospettiva e la tematica fenomenologica possano apportare;
2. Abbiamo osservato un ammirevole equilibrio far sicura padronanza di fonti e di testi editi e inediti di classici che oggi è quanto mai opportuno rendere per la prima volta o nuovamente disponibili alla ricerca; e una forte capacità di proposta e argomentazione teorica, in prima persona. È un altro dei nostri punti di forza. Da un lato siamo eredi di una tradizione oggi quanto mai preziosa e fontale per le casse inaridite della filosofia accademica nazionale e in parte anche internazionale, e di un lascito che è nostro compito rendere sempre meglio e più ampiamente accessibile agli studenti e ai più giovani ricercatori. Dall’altro lato la proposta e la discussione non si sono mai soffermati su punti esegetici se non in funzione di vivissimi problemi teorici, e anche questo è un modo di filosofare che la nostra comunità dovrebbe diffondere e rendere abituale, anche con un grande sforzo di traduzione della terminologia tecnica in altri linguaggi, o nella lingua standard del dibattito internazionale – cosa necessaria e difficile se non vogliamo perdere la ricchezza insieme analitica e intuitiva della nostra tradizione.
3. Abbiamo potuto constatare finalmente esaurito il tempo degli equivoci radicali e delle contrapposizioni in fondo ideologiche fra due anime del movimento e del metodo fenomenologico come sono in definitiva quella (grosso modo) husserliana (con annessi e connessi) e quella (grosso modo) scheleriana, con annessi e connessi. Mi è avvenuto altra volta di affermare che se fossi costretta a scegliere una parola chiave per ciascuna delle sue anime, sceglierei le due parole Rechtfertigung (giustificazione) e Wert (valore). Non riesco a concepire uno stile di pensiero fenomenologico senza coscienza del nesso essenziale fra queste due idee e la profonda rifondazione di una teoria della ragione, teorica assiologica e pratica, che questo nesso comporta. Ma anche a presindere dalle mie tesi in proposito mi sembra fondamentale dissipare l’equivoco di fondo – due visioni del mondo differenti invece che un metodo e uno stile che si applica a problemi diversi – in modo da mettere a fuoco alcuni equivoci minori ma interessantissimi, come quelli che abbiamo identificato e chiarito ieri a proposito delle nozioni di Einfuehlung, Analogia, Simulazione, Imitazione ed Espressione.
4. Abbiamo veduto quanto vivace è l’interesse che le impostazioni fenomenologiche dei problemi noti agli studenti spesso a partire da altre tradizioni siano stimolanti – purtroppo il dibattito compresso non ci ha permesso di dare adito a tutte le numerose domande che si stavano preparando nelle menti degli astanti.
Forte di queste considerazioni – e sapendo che è comunque miracoloso se riusciremo a strappare tempo ai lavori quotidiani anche per dare un po’ di seguito a questo incontro, vi propongo che apriamo un dibattito sul tema del nostro Seminario dell’11 aprile, con i seguenti suggerimenti, che potete liberamente accogliere o no:
1) pubblicazione sul Lab, per chi ce l’ha, della versione ufficiale e completa della vostra relazione (a questo proposito possiamo recuperare a maggior vicinanza anche il testo già pubblicato sul Lab di Guido Cusinato, e il dibattito che lo ha seguito)
ma
2) indipendentemente o in più rispetto a questo testo, che potrebbe anche mancare, ciascuno di voi potrebbe riassumere in una sorta di breve scaletta o handout esattamente i punti che è (limpidamente, vi assicuro) riuscito a chiarire nel corso della sua esposizione, o addirittura soltanto una scelta di essi, magari una sola tesi argomentata. A questo punto potremmo veramene aprire e tenere aperta una discussione che preveda commenti di chiunque fra coloro che erano presenti al seminario, o di altri interessati.
Roberta De Monticelli
Le sintesi delle relazioni della Giornata sull’intersoggettività
Stefano Cardini (Phenomenology Lab)
Die erste Einfühlung. La monade infantile
Vincenzo Costa (Università del Molise)
L’intersoggettività: dai meccanismi innati all’interazione
Guido Cusinato (Università di Verona)
Alterità, espressività, esemplarità
Di Guido Cusinato leggi anche Espressività, empatia, intersoggettività.
Alcune riflessioni a partire dal Sympatiebuch di Max Scheler
Andrea Zhok (Università di Milano)
Sono molto grato per l’impegno profuso su un tema come il rapporto con l’altro e la possibilità di entrarvi in relazione di conoscerlo e comprenderlo. Sono papà di un bimbo di tre anni e mezzo. Ogni giorno vivere insieme a lui mi riempie di meraviglia nel senso di stupore ma anche di spiazzamento e di turbamento, perchè mette in questione tante cose che credevo ormai scontate: il modo di relazionarsi al mondo, alle altre persone, alle scoperte che si fanno, all’esperire i propri gusti e inclinazioni, i rapporti di dialogo-negoziazione-forza che implica l’educazione. Speravo di trovare alimento per il mio vissuto nell’intervento di Cardini. Potrebbe chiarirmi in che senso va inteso il titolo La monade infantile? Come desiderava lei dar seguito alla domanda “cosa si prova a essere un bambino”? e infine, le ultime righe del suo intervento cosa mostrano sul vissuto del bambino come altro? Grazie per la possibilità di proseguire i fili di questi pensieri.
Caro Carmelo, cercherò di offrirle qualche elemento di chiarezza in più rispetto alla traccia succinta del mio intervento. Con l’espressione di monade, che Husserl riprende da Leibniz, s’intende anzitutto porre l’accento sul fatto che ogni soggetto è costituito in sè da una pluralità di “soggetti” stanti fra loro in rapporti di fondazione esplicitabili con i loro correlativi mondi: l’io percettivo, per esempio, fonda l’io affettivo, perché ogni relazione emotiva al mondo implica una pur germinale relazione percettiva a esso; allo stesso tempo, però, solamente l’affettività è capace di selezionare nel campo passivamente costituito della percezione quegli aspetti salienti della realtà (inclusi i tratti salienti della realtà dell’Altro) che ne soddisfano i bisogni vitali. Il mondo del bambino, quindi, viene da noi pre-compreso non come un mero caos sensoriale sensistico, che per stimoli e rinforzi verrebbe poi accidentalmente srutturandosi in un mondo comparabile al nostro grazie all’esperienza e all’educazione; e neppure come un primordiale intero olistico, nel quale ogni differenza è tolta, tra madre e bambino, io e cosa, percezione e affettività, nome e cosa ecc. sino a quando la competenza linguistica, o d’altro genere, non irrompa con la sua funzione oggettivante. Esso è piuttosto un mondo in cui quelle differenze essenziali sono seppur germinalmente sempre già assunte come presenti in quanto possibilità che l’esperienza può indebolire o rafforzare, strutturare o de-strutturare, attraverso il già sempre implicito ruolo dell’accudimento e dell’educazione. Per un altro verso, la ripresa del tema leibniziano consente di mettere in luce come implicito in qualunque esperienza quanto si voglia elementare del mondo, v’è sempre l’orrizzonte di mondo dell’Altro, dal suo punto di vista. Non soltanto, quindi, la monade che noi stessi individuiamo include una pluralità di accessi possibili al mondo in prima persona, di cui possiamo mettere in luce rapporti e intrecci, ma include anche i mondi possibili degli Altri, seppure nella forma di orizzonti interpretabili, ovvero, mai direttamente accessibili in un’esperienza originaria: avere fame non è la stessa cosa che interpretare la fame del nostro bimbo a partire dalle modalità del suo pianto; eppure lo sappiamo fare e affiniamo via via questo sapere anche senza essere esperti puericultori. Il “mistero” dell’Altro (“che cosa prova…”), quindi, una volta resa esplicito in che modo la struttura del suo comportamento e del suo mondo sia vincolata secondo regole a priori a quella del nostro comportamento e del nostro mondo, prima di ogni scienza psicologica e pedagogica, si mostra come un compito della ragione avente un fondamento. E non una mera ipotesi empirica. Quanto alle ultime righe, in esse si trova un fugacissimo accenno a un possibile germinale accesso alla sfera personale e relazionale dell’io (o meglio di un pre-io, perché solo in procinto di divenire gradualmente tematico): la prima Einfuehlung appunto. Sembrerà un paradosso, ma nel pianto simulatore del bambino, in cui si utilizza il grido come segno propriocettivo e percettivo per richiamare l’Altro nell’aspetto “desiderato”, troviamo una prima forma di manifestazione personale. Caratteristico dell’essere persona, come anche l’etimologia classica della parola suggerisce, è infatti questa capacità di rivelare mascherando, che include anche il celare, con un’espressività correlata essenzialmente a un vissuto, un altro vissuto per richiamare l’Altro a prestarci attenzione, affermando o frustrando il potere dell’io sul mondo e sugli Altri. Per questo, e lo sappiamo bene noi genitori, è così importante saper modulare in un continuo fine tuning quel primo interagire nel pianto. Esso comincia infatti a strutturare la personalità del bambino (e la nostra!) in una modalità fondamentale, quella che lo relaziona con i propri bisogni e le possibilità e i limiti attraverso cui troveranno nell’Altro soddisfazione.
P.S. Spero di essere riuscito nell’intento. Non esiti a fare altre domande, se così non fosse.