Segnaliamo l’uscita di Metafisica di Peter van Inwagen (traduzione italiana a cura di Francesco Calemi, Cantagalli, Siena, 2011, pp. 518) – un testo originariamente pubblicato nel 1993 e poi in edizioni rivedute nel 2002 e nel 2008. Un’opera di grande profondità che si presenta non solo come una delle migliori introduzioni critiche non storiche – per un upper-level undergraduate student – alle tematiche logico-ontologiche della filosofia, ma anche come il compendio sistematico del percorso filosofico estremamente originale di questo autore. Il testo si struttura intorno a otto domande fondamentali: 1. che cos’è la metafisica?; 2. esiste una pluralità di entità oppure esiste solo un tipo di cose (monismo)?; 3. esiste un mondo esterno di cose che esistono indipendentemente dai sensi e dal pensiero umano?; 4. esiste qualcosa come la verità oggettiva (realismo e antirealismo)?; 5. perché esiste qualcosa piuttosto che il nulla (esistenza necessaria e contingente)?; 6. perché esistono esseri razionali nella natura (finalismo e cosmologie fisiche)?; 7. noi siamo esseri fisici o non fisici (dualismo e fisicalismo)?; 8. possediamo effettivamente il libero arbitrio (determinismo e indeterminismo)? La disamina delle posizioni e le risposte ai quesiti, alle domande che continuamente si susseguono, sono incentrate e attraversate da alcune delle principali tesi e proposte ontologiche che van Inwagen ha sviluppato nei suoi testi precedenti, ricerche che sono valse al suo approccio l’appellativo di nichilismo mereologico organicista. Organicista perché assegna lo status ontologico di esistente solo alle varie gerarchie delle forme viventi. Nichilista mereologico perché non ammette né l’esistenza di cose materiali né delle loro presunte parti. Da questa particolare prospettiva “esistono” solo gli esseri viventi e solo essi hanno parti reali. Tutti gli altri oggetti che noi crediamo esistere, sedie, pianeti ecc., non esistono se non sotto forma di composizioni di entità semplici. Ma esisterebbero anche degli atomi viventi o semplici, non decomponibili, che secondo van Inwagen sono gli autentici atomi o basic building blocks della vita. Questa visione della struttura ontologica degli oggetti e degli esseri viventi di van Inwagen, professore alla University of Notre Dame, è sostanzialmente condivisa anche da Trenton Merricks della University of Virginia.
Peter van Inwagen fra analitici e continentali
Nella sua analisi dell’ontologia moderna e analitica contemporanea Peter van Inwagen ha inizialmente distinto due fondamentali atteggiamenti o due tipi di ontologie che ha denominato rispettivamente A-ontologie e B-ontologie. Gli A-ontologi cercano di capire che cosa c’è nel mondo, di fornire una lista delle cose che costituiscono il corredo del mondo. Questa lista comprende termini astratti generali come artefatto o cosa materiale (statue, tavoli, case, montagne), essere materiale (esseri viventi ed entità semplici senza parti e indecomponibili) e insiemi (sets) intesi come composizioni astratte delle entità elencate sopra. Il più eminente A-ontologo è W.V.O. Quine principalmente impegnato in una sorta di cartografia dell’estensione dell’essere. I B-ontologi invece cercano di rispondere alle domande: come sono costituite le entità del mondo?, qual è la struttura delle entità concrete del mondo? Van Inwagen afferma di non comprendere realmente le tesi, le nozioni e le entità che popolano il mondo dei B-ontologi. I loro termini-chiave favoriti sono ad esempio i tropi (tropes), K. Campbell li denominava abstract particulars, i particolari semplici (bare particulars), gli universali immanenti, e le entità del mondo possono essere da loro concepite come fasci tridimensionali di tropi. Oggi non è ancora chiaro che cosa sia un trope. Ad esempio, non c’è una risposta alla domanda: quanti tropi di bianco ci sono nella mia maglietta? Un sostenitore della teoria dei tropi è P. Simons, ma anche Leibniz, secondo van Inwagen, è stato un amico dei tropi ante-litteram. Ma van Inwagen afferma anche di non capire che cosa possa essere effettivamente un particolare semplice (bare particular) o un universale immanente. In ontologia analitica con il termine bare particular di un artefatto si intende quell’elemento senza il quale l’artefatto non potrebbe esistere (la sua forma o sostanza? la forma sostanziale?) che esiste indipendentemente dalle sue proprietà. E’ semplice perché è considerato senza proprietà e particolare perché non è astratto. E’ stato anche definito un’istanziazione di una composizione di proprietà universali e serve come portatore delle proprietà co-presenti in esso. Mentre per Simons una sedia è composta da un bare particular e da un conglomerato innumerabile, variopinto e assortito di tropi, D. M. Armstrong realista in rapporto agli universali, contesta questa caratterizzazione sostenendo che una sedia è piuttosto un fascio di universali immanenti. In altri termini, mentre il loro disaccordo verte su come il mondo è costituito e non su che cosa ci sia nel mondo, il disaccordo di van Inwagen è su entrambi i fronti. Ma il disaccordo di van Inwagen con le A-ontologie non è meno profondo. E’ ben noto come la sua teoria degli artefatti materiali sia apparsa a molti filosofi sorprendente, come conseguenza del suo rifiuto a ritenere esistenti sia quelle che i medievali chiamavano sostanze esistenti per arte (tavoli, case ecc.) che le sostanze esistenti per accidente (parti di materiali, un pezzo di legno, sassi, una fetta di carne di manzo, delle frattaglie). Van Inwagen afferma di condividere la posizione di Quine sulla natura di quello che c’è nel mondo – entità materiali poste in uno spazio quadridimensionale – ed anche i metodi scientifici che dovrebbero essere utilizzati nel cercare di determinare quello che esiste nel mondo, ma è in quasi completo disaccordo su quello che Quine ritiene esistere nel mondo. Van Inwagen condivide la meta-ontologia di Quine che definisce come la più sofisticata concezione “thin” dell’essere in cui il concetto di essere è strettamente compreso attraverso il concetto di numero. In altre parole, affermare che esistono delle cose equivale ad affermare che il numero delle cose è uguale a 1 o più, ma niente di più. Il metodo per investigare la natura delle cose è solamente quello delle scienze naturali e quello della logica di secondo ordine del calcolo dei predicati, che per Quine non è nient’altro che la teoria degli insiemi in sheep’s clothing, camuffata.
È possibile anche pensare ad una terza concezione dell’essere che Van Inwagen menziona in riferimento alla tradizione della filosofia continentale ermeneutica, l’ontologia dell’Essere come tale. I sostenitori di questa visione non sono impegnati né a configurare l’estensione dell’essere né a rispondere alla domanda sulla struttura e i costituenti dell’essere. La filosofia dell’Essere come tale concerne innanzitutto la questione del significato di termini come “c’è”, “esiste”, “essere”. Secondo van Inwagen lo studio del significato e della natura dell’essere come tale, ad esempio l’ontologia di Heidegger, è una meta-ontologia piuttosto che una genuina ontologia. Per questi filosofi quello di Essere è un concetto “thick” e vedono la concezione “thin” dell’essere come una perdita di ricchezza dell’essere. Secondo van Inwagen l’errore della filosofia analitica risiede nel ritenere che gli oggetti materiali e gli esseri viventi siano entità che possono essere analizzate allo stesso modo come particolari concreti o individui. La conseguenza negativa di questo atteggiamento è che i differenti status ontologici dei differenti tipi di entità vanno perduti o confusi. La cosiddetta concezione “thick” dell’essere è invece fondata, secondo van Inwagen, sull’errore di trasferire ciò che appartiene alla natura delle cose al loro essere. Assumere la concezione continentale dell’essere è commettere l’errore che Kant attribuì a Descartes, l’errore di trattare l’essere come un predicato reale. Le cose hanno una loro natura ed è fuorviante trasferire le proprietà che appartengono a un tavolo, a un essere umano ecc. all’essere del tavolo e così via. Questa dunque, in breve, è la posizione molto particolare e idiosincratica che van Inwagen assume fra analitici e continentali.
Identità e parti in “Material Beings” (1990)
Secondo van Inwagen il problema cruciale circa la natura delle cose e degli esseri viventi è il problema della loro identità specifica. Gli oggetti materiali, gli artefatti, dispongono di un’identità specifica? Gli artefatti sono esseri materiali come lo sono gli esseri viventi? Possiamo pensare che lo stesso principio di identità, le stesse strategie logico-concettuali e procedure per stabilire l’identità possano essere applicate agli oggetti materiali e agli esseri viventi? Sappiamo che la metafisica degli esseri materiali è stata riconosciuta come una delle aeree più complesse della filosofia. Nel panorama filosofico degli anni 60 l’esistenza degli oggetti era data per scontata mentre appariva problematico lo status dei sense-data, dei pensieri, degli universali, delle particelle elementari. Ma il puzzle ontologico sollevato dagli esseri materiali è innegabile come lo dimostra il dibattito sull’identità degli oggetti materiali che si è fortemente sviluppato dall’inizio degli anni 90 con le ricerche di P. Simons, A. Varzi, B. Smith, D. Lewis, fino al recente testo di L. Baker, The Metaphysics of Everyday Life, 2007, e con la ripresa degli studi sulla Terza ricerca logica, La teoria degli interi e delle parti di E. Husserl, studi che hanno gettato una nuova luce sulla portata ontologica delle indagini fenomenologiche.
Un terreno di scontri e convergenze fra differenti visioni ontologiche è stato senza dubbio il puzzle della nave di Teseo, quello del paradosso del Sorite o del mucchio, quello del gatto Tibbles. Consideriamo quello del gatto Tibbles che viene discusso anche da van Inwagen. Supponiamo che ad un certo tempo t il gatto Tibbles sia un gatto normale e dotato di una coda mentre al tempo t1 Tibbles viene a perdere la sua coda. Chiameremo Tib la parte del gatto senza la coda e continueremo a chiamare Tibbles il gatto che a t1 sopravvive alla perdita della coda. Al tempo t Tibbles, il gatto intero, e Tib, Tibbles meno la sua coda, sono perfettamente distinti poiché hanno differente forma e peso, mentre quando Tibbles a t1 perde la coda allora Tibbles and Tib diventano identici:
(1) Tibbles at t ≠ Tib a t
(2) Tibbles a t1 = Tib a t1
Ma se assumiamo – seguendo in questo caso l’ontologia del senso comune, ingenua, pre-teorica che riconosce la validità del principio di continuità temporale degli oggetti – che il gatto che ha perso la coda dovrebbe essere sempre lo stesso gatto che avevamo all’inizio, avremo come risultato che Tibbles è lo stesso gatto in due momenti temporali diversi, anche se Tibbles in t è un gatto con la coda e in t1 un gatto senza coda. La conclusione che possiamo vedere in (4) Tib a t = Tib a t1 è proprio il passaggio che vogliamo mettere in discussione poiché Tib in t è solo una parte potenziale di un gatto, mentre in t1 è diventato un gatto vero e proprio, un autonomo intero. Se assumiamo anche (4), per il principio logico di transitività degli identici segue (5):
(3) Tibbles a t = Tibbles a t1
(4) Tib a t = Tib a t1
(5) Tibbles at t = Tib at t
che contraddice la premessa (1). Van Inwagen sottolinea come in questo puzzle si verifichi una chiara violazione del principio di transitività degli identici. La conclusione di questo paradosso è che un oggetto può essere identico ad una delle sue parti. Secondo Van Inwagen se noi ammettiamo che la parte nord della Torre Eiffel è un particolare materiale concreto nello stesso senso in cui lo è la Torre Eiffel intera, se crediamo che la parte di un essere materiale esista realmente come l’oggetto stesso, allora dobbiamo accettare una teoria in profondo disaccordo con l’ontologia del senso comune che ci porterà a negare l’identità diacronica attraverso il tempo e il cambiamento. L’assunzione cruciale del puzzle è che a t Tib esiste realmente, nello stesso senso in cui a t esiste Tibbles e a t1 Tib. È proprio questa assunzione che ci porta a dover accettare una tesi dove diventa impossibile per un oggetto perdere una qualsiasi delle sue parti e continuare ad essere lo stesso oggetto. Si tratta quindi di capire se sia possibile uscire da questo dilemma che ha origini lontane, basti pensare al famoso motto di Eraclito: non ti bagnerai mai due volte nello stesso fiume. Questa assunzione è supportata da una teoria nota come essenzialismo mereologico secondo la quale ogniqualvolta un oggetto perde o acquisisce una parte si determina un nuovo oggetto con una nuova identità. Secondo van Inwagen la soluzione può essere una sola: negare che esistano realmente delle parti connesse di un oggetto¸ parti come Tib a t. E’ sufficiente stabilire che si tratta soltanto di parti arbitrarie non reali e in questo modo si salva l’ontologia del senso comune che ammette l’identità attraverso il tempo contro l’essenzialismo mereologico. Se infatti non esistono realmente parti non possono nemmeno verificarsi cambiamenti di parti. Appare comunque evidente che negare l’esistenza delle parti degli oggetti è in realtà una posizione che sembra anch’essa molto lontana da un’ontologia del senso comune.
La lezione fenomenologica
Ma è vero che se assumiamo che esistano delle parti degli oggetti siamo allora costretti dall’argomento del puzzle a negare l’identità delle cose attraverso il cambiamento? Come potremmo uscire dal dilemma seguendo la metodologia fenomenologica degli interi e delle parti della Terza ricerca logica di Husserl? Come conciliare l’ipotesi che possono esistere delle parti, come Tib a t, e continuare a pensare che gli oggetti perdurino attraverso il tempo? Abbiamo visto che da questo puzzle sembra derivare che un intero, Tibbles, e una sua parte indipendente, Tib, nello stesso istante temporale potrebbero essere diversi ed uguali. Nella prospettiva fenomenologica husserliana l’identità di un oggetto non può essere concepita come una questione algebrica o topologica. L’identità di un oggetto non coincide con la somma delle sue parti all’interno di una determinata regione spaziale. Il riconoscimento in Husserl dell’esistenza non solo di parti indipendenti, come ad esempio la coda di Tib, ma anche di parti non indipendenti, qualità, proprietà ecc., rende vacua la posizione algebrico-mereologica in materia d’identità attraverso il tempo. L’assunzione implicita del puzzle e in cui anche van Inwagen sembra essere impigliato è che l’identità degli oggetti è comunque un problema di somma di parti. Questa assunzione conduce van Inwagen ad escludere l’esistenza di parti reali e ad allontanarsi fortemente dalle evidenze del senso comune, mentre nella prospettiva fenomenologica questo passo non è necessario in quanto l’identità è sempre qualcosa di diverso e maggiore della somma delle parti. Più specificamente, possiamo osservare come l’identità di una parte indipendente come Tib a t non può essere spiegata a prescindere dalla parte (coda) che viene momentaneamente sottratta nei termini di un’operazione puramente rappresentazionale.
Tib a t = la parte di Tibbles che non comprende la sua coda
L’identità di Tib a t è costituita da questa operazione di sottrazione in cui i due contenuti, l’intero e la parte, il gatto e la sua coda, si richiedono necessariamente perché sono realmente dati ancora entrambi.
Tib a t1 = l’intero Tibbles senza coda
La lezione husserliana è dunque che non possono esistere parti senza un intero e interi senza parti. Il puzzle nega il primo termine di questa congiunzione mentre van Inwagen rifiuta il secondo temine. In conclusione, il paradosso può essere risolto distinguendo nettamente due livelli, quello reale da quello rappresentazionale che corrisponde alla distinzione fra il livello delle evidenze e datità fenomeniche e quello delle modalità (eidetico). Il puzzle del gatto Tibbles costituisce comunque un problema per la tesi dell’identità diacronica che non viene superato semplicemente rifiutando la conclusione (4) sulla base di una teoria fenomenologica della partizione degli interi. L’ipotesi che gli oggetti possano avere parti temporali non viene né convalidata né confutata da questo puzzle. Questo puzzle, secondo van Inwagen, ha evidenziato l’esistenza di una lunga serie di potenziali problemi concernenti gli oggetti materiali. Ad essere rimessa in discussione è in primo luogo l’assunzione metafisica dell’ontologia del senso comune, secondo van Inwagen infondata, che il principio di transitività può essere applicato all’identità degli esseri materiali. La combinazione di questi fattori ha condotto molti filosofi a proporre differenti teorie sull’identità degli oggetti materiali. Si è cercato innanzitutto di abbandonare il confortevole principio o teoria standard dell’identità numerica suggerendo almeno tre differenti possibilità:
– L’identità deve essere relativizzata a tipi, in senso sia individuale che generale. Non ha senso domandare se la nave X è la stessa nave Y poiché X può essere la stessa nave Y ma non lo stesso aggregato di parti, pezzi di materiale.
– L’identità deve essere relativizzata al tempo. X e Y possono essere due oggetti distinti ad un certo tempo t e più tardi diventare numericamente identici, proprio come nel caso del gatto Tibbles.
– L’identità può anche essere concepita come una relazione in cui si trovano molte entità rispetto ad una sola. Non individualmente ma collettivamente. Ad esempio migliaia di alberi possono essere identici alla Foresta delle Ardenne in Belgio. Le gambe e il piano di una sedia che sono cinque in numero sono identici a una cosa unica, la sedia.
È indubbio che si celino al contempo problemi metafisici e concettuali in rapporto alle antinomie e ai paradossi sull’identità degli oggetti materiali. Le parole di Kripke (1980) in proposito si sono rivelate senz’altro profetiche: “condizioni adeguate necessarie e sufficienti per l’identità che non siano una petizione di principio sono in ogni caso molto rare. La matematica è l’unico caso che io conosca in cui tali condizioni siano date addirittura entro un mondo possibile. Non conosco condizioni del genere per l’identità di oggetti materiali attraverso il tempo o per le persone. Tutti sanno di che razza di problemi si tratti”.
Peter Van Inwagen tuttavia ha inteso presentare una teoria su questi oggetti che prenda seriamente in considerazione le apparenti caratteristiche paradossali della loro unità e persistenza. Tutti questi paradossi hanno in comune il fatto di coinvolgere le parti degli oggetti materiali che diversamente non potrebbero generarsi nel caso di oggetti privi di parti. E’ dunque essenziale in questi paradossi il ruolo giocato dalla costituzione in parti degli oggetti materiali. La natura della partizione, della composizione di parti deve diventare quindi il problema centrale della ontologia. Il temine “parte” ha sempre lo stesso significato quando ci riferiamo a parti di tavoli e case o di animali, di poemi o di giochi, di regole, di istituzioni, di eventi, di azioni? Secondo van Inwagen, devono esistere più tipologie di relazione di partizione per ogni campo di applicazione, ad esempio un tipo dovrà includere oggetti materiali che vanno dalle case alle particelle elementari, un altro caso non chiaro di esseri materiali. Ma ci saranno anche altre relazioni di partizione definite su eventi, storie, azioni e così via per un numero indefinito di classi. Sussisteranno solamente delle analogie che saranno perlopiù fondate nell’idea dello “scomporre una cosa”, ma secondo van Inwagen scomporre in re è cosa ben diversa dallo scomporre in intellectu.
Il Problema della Composizione
Il contributo teorico che ha reso famosa l’ontologia di van Inwagen è costituito dalla ben nota Special Composition Question. L’interrogativo è ordinariamente formulato nel modo seguente: in quali circostanze una determinata cosa è la parte propria di qualcosa? Questa è la formulazione apparentemente più ovvia che tuttavia van Inwagen trova fuorviante perché inizia già in medias res. Non è utile domandarsi: in quali circostanze un’asse è la parte di una nave? poiché questo tipo di domanda presuppone già la partizione e tende a condurci ad una risposta di natura puramente inclusiva. La formulazione corretta del problema della composizione deve essere la seguente: in quali circostanze un oggetto forma o compone qualcosa? Ad esempio, una domanda che rispetta questa formulazione è la seguente: quando dei granelli di sabbia o dei sassolini formano un mucchio? Secondo van Inwagen quando gli elementi rilevanti in questione sono disposti o configurati come un mucchio, oppure come una barca. Ciò che diviene cruciale non sono i sassolini o le assi – parti non proprie di un mucchio e di una barca – ma la forma o struttura a mucchio e a barca. Ci stiamo infatti ponendo una domanda intorno alle mutue relazioni che valgono fra vari oggetti dello stesso tipo, i quali, in virtù di queste relazioni, costituiscono un determinato tipo di intero. Sembrerebbe dunque che queste relazioni si possano stabilire indipendentemente da quelle presunte parti e dalla natura di quelle parti. E’ in questo senso che i sassolini o le assi non sono le parti proprie dei rispettivi interi. Le relazioni rilevanti fra le parti, che definiscono la nozione di parte propria, sono a loro volta definite solo internamente all’intero costituito di oggetti materiali. Possiamo sostenere in modo equivalente che una casa è fatta di mattoni ecc., oppure affermare che è costituita da una metà nord ed una metà sud, non si verifica alcuna inconsistenza nell’affermare queste due proposizioni. La conclusione di van Inwagen è che non possiamo spiegare la natura e l’identità di un intero sulla base delle sue parti, la questione centrale è invece la seguente: quando l’unità si produce dalla pluralità? E’ ben noto come a questa domanda Aristotele nel libro Delta della Metafisica rispose ammettendo delle articolate gradualità in rapporto all’unità arrivando a proporre un lungo elenco. E’ interessante notare come la gradualità concerne l’integrità o l’interezza di qualcosa piuttosto che l’individualità che non appare essere un criterio graduabile. Come ha rilevato anche Simons, non è che alcune cose siano più individuali di altre, mentre è plausibile che possano essere più o meno connesse e unitarie. Van Inwagen prende le distanze da questo tipo di risposte gradualiste come quella aristotelica sostenendo che qualsiasi teoria che riguardi il contatto, fusione, contiguità tra parti materiali non può offrire la giusta soluzione al problema della composizione. Nel capitolo “Individualità”, a mio avviso uno dei più significativi del testo Metafisica, van Inwagen conduce una profonda critica alle concezioni che vedono l’individualità di un’entità come fondata sulla sua separabilità o isolabilità reale o potenziale. La sua conclusione è che esistono entità individuali, che l’individualità è una proprietà ultima e primitiva della realtà, ma riconosce che si tratta di una conclusione ancora debole. E’ possibile che esistano realmente molte cose individuali che non coincidono con quelle che noi riteniamo essere entità individuali. Van Inwagen arriva quindi a sostenere che l’individualità esiste e illustra come non possa coincidere con tutta una serie di casi e proprietà che molti hanno ritenuto essere qualificanti dell’individualità, anche se non ci indica in via conclusiva quali siano queste entità individuali. Non possiamo muoverci dalle parti agli interi senza conoscere l’identità dell’intero, senza rispondere preliminarmente alla domanda: che cos’è questa entità?. Dobbiamo conoscere le caratteristiche e la relazioni tipiche fra le sue parti. Non possiamo sapere quali sono le parti proprie di una casa se non abbiamo risposto alla domanda che cos’è una casa. Sono gli atomi, le molecole, i mattoni, i muri ecc., la parti genuine di una casa? Non può essere fornita una risposta chiare ed univoca a questa domanda senza evitare di cadere in paradossi. Abbiamo qui per così dire una chiara applicazione del principio di Quine: no entity without identity; molto verosimilmente possiamo parafrasarlo dicendo: niente parti senza identità dell’intero.
Secondo van Inwagen esistono almeno due risposte antitetiche al problema della composizione. La prima è quella del nichilista, la seconda è l’universalismo. La tesi del nichilista afferma che è impossibile sostenere che qualcosa abbia delle parti che lo compongono poiché nessuna entità del mondo ha delle parti. Nichilisti sono i fisici che credono che il mondo fisico consista interamente di quark, leptoni, bosoni ecc. Il nichilista afferma che non esistono esseri materiali composti ma soltanto delle entità fisicamente semplici. Un “semplice” è un oggetto senza proprie parti che a loro volta appartengono alla materia fisica. L’identità di una cosa è strettamente uguale alla mera composizione dei semplici. Il nichilismo corrisponde a una forma estrema di nominalismo o mereologismo. Al contrario, la tesi dell’universalismo sostiene che se qualcosa esiste è tale che qualche X lo compone. Secondo l’universalismo per ogni gruppo di X abbiamo differenti somme (insiemi), uno dei quali necessariamente corrisponde all’oggetto dato. Queste somme di X esistono già prima che questi X compongano effettivamente qualche somma, nel senso che potremmo avere almeno un afferramento intuitivo di esse. Consideriamo ad esempio un enunciato come:
“ Io esisto adesso”
Questo enunciato è negato dal nichilista perché non abbiamo né un Io o Sé, ma non è negato dall’universalista. Gli enunciati:
“Io esisto adesso e Io sono esistito un anno fa”
“Io sono un organismo (in senso biologico) e sono sempre stato un organismo”
sono invece negati dall’universalista perché le stesse parti non possono comporre lo stesso oggetto simultaneamente o successivamente. Ad esempio, dei blocchi di materia possono costituire sia la Cattedrale di Salisburgo che il Colosseo di Roma. Lo stesso “insieme” può costituire un modello di questi due edifici. Per l’universalista “la somma di questi blocchi” è semplicemente una descrizione definita priva di un’indicizzazione temporale e si presenta come l’enunciato “l’insieme contenente queste e queste cose”. L’universalismo, secondo van Inwagen, non è una risposta al Problema della Composizione in quanto è un principio che concerne la somma e non la composizione. L’universalista nega l’esistenza di un’identità attraverso il tempo così come un principio strutturale di continuità fra stadi temporali di un individuo. J. Locke, ad esempio, non fu universalista mentre van Inwagen difende la tesi che esseri materiali come gli esseri umani esistono e persistono attraverso il tempo. Nella sua prospettiva gli esseri viventi forniscono l’esempio più chiaro di esseri materiali composti di parti differenti in tempi diversi.
La risposta al Problema della Composizione.
Nella prospettiva ontologica di van Inwagen non si riconosce uno status ontologico ad artefatti come tavoli, case o computers. Van Inwagen ritiene che gli artefatti materiali siano soltanto un modo di riarrangiare gli elementi della materia senza aggiungere a questi delle parti o altri contenuti. Da questo punto di vista gli oggetti materiali sono oggetti virtuali con parti solo virtualmente, arbitrariamente o convenzionalmente differenziabili e connesse reciprocamente fra di loro da un ampio insieme di forze fisiche. Gli artigiani non creano ma piuttosto ricompongono e riarrangiano materia nello spazio, ponendo in essere o decomponendo delle relazioni di connessione fra porzioni di materia. Un tipico esempio di van Inwagen è il seguente: “immaginate un deserto e immaginate che un battaglione della legione straniera giunga in un certo luogo con l’ordine di accampare la carovana. La prima cosa da fare per i legionari sarà quella di costruire un forte. Essi hanno con loro dei bulldozers che possono spingere la sabbia in modo tale da costruire un aggregato di sabbia. Hanno realmente portato all’esistenza, così facendo, un forte?”
La risposta di van Inwagen è che nessuno oggetto è stato effettivamente portato all’esistenza e quindi in questo senso il forte è un oggetto virtuale. La soluzione proposta da van Inwagen sembra tuttavia troppo forte e radicale nella direzione eliminativista e non offre elementi di comprensione per le relazioni fra le parti di un oggetto e l’oggetto come intero, relazioni che hanno la capacità di determinare l’identità specifica funzionale di molti tipi di oggetti. Nella sua prospettiva un classico dilemma come quello della nave di Teseo sembra apparentemente dissolversi. La leggenda narra che la mitica nave di Teseo che ogni anno portava dei giovani ateniesi a Creta per essere sacrificati al Minotauro, fu sempre conservata dagli ateniesi a cui sostituivano continuamente le parti di legno ormai consumate con delle nuove. Se accettiamo la versione di T. Hobbes che ogni parte danneggiata e sostituita veniva riutilizzata per riassemblare in un altro luogo la nave originale, ad un certo punto della storia ci dovremmo ritrovare con due navi, una con tutte le parti sostituite ed un’altra con tutte le vecchie parti consunte della nave iniziale. Qual è la vera nave di Teseo? Il principio di identità basato sulla continuità spazio-temporale suggerisce che la vera nave sia quella con le parti progressivamente sostituite e che in ogni fase del processo è rimasta sempre completa e integra, mentre un principio d’identità basato sull’identità qualitativa-materiale indicherebbe la nave composta dalle parti originarie. La soluzione di van Inwagen è che non ci sono realmente delle navi e quindi non sussiste nessun puzzle sull’identità della vera nave di Teseo. Tutto quello che succede è che delle parti di legno sono state riarrangiate, unificate o separate ma in nessuna fase di questa storia due o più di queste parti compongono qualcosa o ricoprono il ruolo di parti essenziali di un entità dotata intrinsecamente di una sua identità. Il puzzle di Teseo sembra scomparire nel momento in cui smettiamo di pensare che gli artefatti materiali siano dotati di un’identità individuale o specifica. Solo gli esseri viventi, secondo van Inwagen, hanno parti reali unificate e ritiene che le cellule degli esseri viventi di cui sono costituiti […] siano entità unitarie con un’entelechia; sotto questo profilo esse sono come gli uomini, le donne e i cani di cui esse sono parti .
Dalla prospettiva che stiamo sviluppando la soluzione di van Inwagen è condivisibile solo per quello che concerne il suo rifiuto di attribuire un’identità intrinseca agli oggetti materiali ma non per le sue ragioni peculiari. La soluzione di van Inwagen si trova inoltre nella difficoltà di dimostrare che se gli oggetti materiali altro non sono che degli aggregati di atomi arrangiati in un determinato modo egli deve mostrarci perché anche le cellule degli esseri viventi come questi ultimi altro non sarebbero che un modo di riarrangiare atomi e materia preesistente mediante forze fisiche. Non dovremmo dimenticare che secondo le più recenti ricerche della fisica contemporanea le particelle ultime elementari (quark, elettroni, ecc.) che compongono indistintamente la materia organica e quella inorganica sarebbero sempre le stesse in un senso forte, perfettamente invariate a partire dalla loro origine nell’universo. La motivazione del rifiuto del criterio di van Inwagen potrebbe quindi essere cercata nell’ipotesi dell’impossibilità da parte degli artefatti materiali inanimati di soddisfare una specifica struttura di relazioni di dipendenza fra le parti spazialmente connesse.
Qual è dunque la risposta al Problema della Composizione? Quando si verificano casi reali di partizione? Quali condizioni devono essere soddisfatte perché oggetti o parti compongano qualcosa? Se le cose materiali non sono nient’altro che aggregati di entità semplici che non dispongono d’identità allora non possono avere parti. E’ evidente che per van Inwagen le corrette risposte a queste domande devono essere radicalmente differenti da quelle che gran parte dei filosofi hanno proposto. Reale composizione si verifica infatti solo nel caso dei viventi. Degli X compongono un Y se e solo se Y è un organismo e l’attività degli X costituisce la vita di Y. Gli esseri materiali che chiamiamo organismi hanno parti e le proprietà di questi organismi sono ampiamente determinate dalle proprietà di queste parti. La tesi che le proprietà di un intero non sono completamente determinate dalle proprietà è l’olismo, ma van Inwagen su questo punto non assume una posizione del tutto chiara, forse l’olismo è vero, forse non lo é. Ora che la composizione è un problema che concerne solo gli organismi viventi, abbiamo secondo van Inwagen un principio sulla natura della realtà: ogni entità fisica, ogni essere materiali o è un organismo vivente o un’entità semplice. Ma che ne è allora degli oggetti di taglia media della nostra vita quotidiana? Che cosa distingue meri artefatti, aggregati, da reali esseri materiali? Secondo van Inwagen non abbiamo bisogno di un criterio per distinguere fra questi due tipi di entità poiché esistono solamente esseri viventi ed entità semplici. Questa tesi afferma tuttavia qualcosa di non completamente chiaro perché un essere materiale reale può essere un’entità con o senza parti proprie. Una parte propria reale di qualcosa non è semplicemente un’entità contenuta spazialmente in un’altra più ampia ma è un’entità la cui esistenza, identità o funzionalità sono in larga parte determinate dall’intero a cui appartengono. Sembrerebbe dunque che nell’approccio di van Inwagen essere una parte propria significhi essere un parte propria essenziale o intrinseca, pregnante. Come si è già visto in precedenza gli esseri materiali di taglia media non esistono realmente, sono solo delle modalità di riarrangiare gli elementi base, le entità semplici del mondo. Supponiamo che esista qualcosa che non è un organismo vivente ma nemmeno un’entità semplice. Non trattandosi di un organismo vivente non avrà parti e in quanto non è un’entità semplice dovrà possedere parti, questa supposizione è quindi impossibile per van Inwagen. Un organismo deve essere concepito come una cosa la cui natura intrinseca determina le modalità di trasformazione nel tempo delle sue parti. Anche un’entità semplice soddisfa questo criterio astratto di ciò che deve essere un organismo. La sua natura intrinseca determina infatti che sia sempre composto della stessa parte. Possiamo sostenere che ogni oggetto fisico o è un organismo o una forma degenerata di organismo, possiamo infatti pensare le entità semplici proprio come degli organismi ormai degenerati. Un tavolo non può essere un organismo poiché questo tipo di oggetti, se esistesse, modificherebbe le sue parti solo come risultato dell’azione di forze esterne. Queste assunzioni, perché è di questo che si tratta, implicano che gli organismi siano composti di entità semplici? Potremmo supporre, come fece anche Aristotele, che gli organismi non hanno parti proprie ma siano costituiti solo di materia assolutamente continua. Tuttavia, oggi sappiamo che questo è empiricamente falso. Secondo Van Inwagen è anche empiricamente falsa l’ipotesi che gli organismi viventi abbiano parti proprie e che ogni loro parte propria sia a sua volta composta di parti proprie e così all’infinito. Van Inwagen ritiene che la nozione di entità semplice sia solamente di tipo funzionale e non strutturale o ontologica. La sua argomentazione è che se la scienza fisica ha ragione allora entità semplici potranno essere i quark, i leptoni, i bosoni; ma la fisica contemporanea potrebbe essere in errore o comunque incompleta.
Vediamo ora solo qualche semplice esempio di come, secondo van Inwagen, deve essere intesa la nozione di inclusione di una parte in un essere vivente. Possiamo, ad esempio, chiederci se esistono delle parti che appartengono intrinsecamente al monte Everest e quali sono queste parti. Possiamo inoltre sottrarre molti blocchi di roccia a questa montagna senza tuttavia impedire che il monte Everest continui a d esistere. Possiamo cambiare anche la forma del monte Everest senza perdere questa montagna. Quanti blocchi di roccia dobbiamo sottrarre per perdere definitivamente il monte Everest? E’ ben noto che non abbiamo risposte univoche a queste domande perché l’identità del monte Everest è indipendente dalla materia e dalla forma che lo compongono e lo caratterizzano. Con il nome “Everest” ci riferiamo a una montagna esattamente localizzata da delle precise coordinate spaziali. Ogni criterio d’identità materiale o individuale per questa montagna è caratterizzato da una profonda vaghezza. Nel caso degli organismi viventi possiamo invece stabilire delle condizioni di continuità dell’identità strutturale e formale di un individuo che determinano quale tipo di parti devono appartenere a quell’individuo. Condizioni che sono del tutto assenti nel caso degli artefatti materiali. Possiamo facilmente mostrare, come nel caso del mucchio, che i sassolini non sono parti proprie del mucchio. E’ l’esistenza di un certo tipo di forma che ci permette di affermare che il mucchio esiste. La montagna e il mucchio proseguono nella loro esistenza se e solo continuano ad esibire una determinata forma che rappresenta la loro identità specifica ma non individuale. E’ dunque un dato di fatto e una conclusione logica, e anche mereologica, affermare che esattamente, come nel caso del mucchio, non siamo in grado di stabilire quali siano le parti proprie di un artefatto materiale e di un’entità individuale determinata come il monte Everest. L’argomento di van Inwagen sembra funzionare nel mostrare che gli artefatti materiali non dispongono di parti proprie essenziali o intrinseche in quanto meri aggregati di materia semplice, di entità semplici che fungono da loro parti non proprie. Tuttavia, gli artefatti materiali possono ancora disporre di una loro identità che non dipenda dalle loro parti o dalla natura di queste parti. Se le entità semplici non costituiscono le parti proprie degli oggetti materiali e quindi non possono costituire nemmeno l’identità di questi oggetti, allora le entità semplici non possono costituire a loro volta nemmeno le parti proprie degli esseri viventi perché in tal caso anche le parti proprie degli esseri viventi sarebbero meri aggregati e non sostanze. Le parti proprie degli esseri viventi devono quindi essere dei particolari complessi di parti di un organismo che tuttavia van Inwagen non ha ancora mostrato in che cosa consistano. E’ molto plausibile pensare che il modo corretto di stabilire che cosa sia una parte propria di qualcosa debba prendere in considerazione una modalità top down e non bottom up di individuazione delle parti proprie sulla base dell’identità specifica dell’intero. Le parti proprie di un essere umano non sono le parti proprie (atomi di carbonio ad esempio) di un essere unicellulare e questo dipenderebbe strettamente dall’identità specifica dell’organismo.
Le sottili analisi e indagini che costituiscono il testo Material Beings di Peter van Inwagen attraversano anche i primi capitoli di Metafisica: Individualità, Esternalità, Temporalità. Decisive sono le domande – perché le domande sono tutto e il loro valore determina quello delle risposte – nel far compiere progressi intorno allo status delle grandi questioni metafisiche. Se la metafisica è il tentativo di dire l’ultima verità, o semplicemente l’ultima parola, come osserva van Inwagen, intorno al mondo e ad ogni cosa, il vero problema sarà allora stabilire che cosa vogliamo realmente sapere intorno al mondo e quali le domande da formulare le cui risposte potrebbero essere le ultime verità intorno al mondo.
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