La chiusura per quasi due settimane del Parlamento, poco prima delle festività natalizie che lo terranno poi serrato ancora a lungo, e in un periodo terribile per il Paese dal punto di vista economico, politico, sociale, per non parlare dell’emergenza morale, è passata sulla testa dell’opinione pubblica italiana come una brezza leggera, di cui si dà conto senza preoccuparsene più di tanto.
È incredibile quanto sia difficile scalfire l’indifferenza, il tranquillo galleggiare al di sopra degli eventi più inquietanti, delle classi dominanti in Italia, si tratti di politici, giornalisti, intellettuali, come pure di Confindustria e sindacati. La nobile capacità di indignarsi pare estranea ai più, così come la memoria storica. Non si ricorda il passato, né si progetta il futuro, paghi delle infinite trame, dei mille tatticismi politici di cui si fatica a seguire il filo.
Torniamo alla inaspettata chiusura del Parlamento. Molti hanno detto trattarsi di un fatto grave e inedito. Grave lo è certamente, inedito purtroppo no. C’è un precedente, che se può spingerci a ripetere l’abusata massima sulle tragedie della storia destinate a ripetersi mutate in farsa, ci lascia tuttavia assai inquieti. Il precedente è solo apparentemente lontano nel tempo, visto che il fascismo è si il nostro passato, ma un passato con cui, a differenza dei tedeschi, la maggioranza degli italiani non ha fatto i conti, per cui non lo riconosce, non lo teme, e pertanto non lo combatte.
I fatti, in breve. Il 30 maggio del ’24, dopo le elezioni vinte da Mussolini grazie ad una legge maggioritaria da lui stesso voluta e per certi aspetti simile al porcellum attuale, Giacomo Matteotti denunciò con forza in Parlamento i brogli e le violenze che avevano gravemente inquinato il voto. I deputati fascisti quasi non lo lasciarono parlare, schiumavano di rabbia e di odio per l’uomo libero che non si lasciava piegare nonostante avesse già subito pestaggi. Il 10 giugno Matteotti venne rapito da un gruppo di fascisti segretamente organizzati (si erano autodefiniti “Ceka”) per far fuori i nemici. La notizia venne tenuta nascosta per timore delle reazioni della piazza. In effetti quando uscì, il 12 giugno, l’emozione nel Paese fu fortissima. Mussolini si sentì in pericoli. Si tentarono inutili depistaggi. Cresceva l’indignazione della gente, anche di molti fascisti. A questo punto Il capo del governo ebbe una brillante idea: il 14 giugno decise la chiusura anticipata del Parlamento, con la scusa dell’estate imminente e non lo riaprì che a novembre, e per poco.
A dicembre la pubblicazione sul “Mondo” di Amendola dei diari di Cesare Rossi, uomo che era stato vicinissimo a Mussolini, che denunciavano il ruolo di Mussolini nell’assassinio di Matteotti, scatenò una nuova ondata di indignazione nell’opinione pubblica. L’opposizione divisa, come sempre, come oggi, non seppe sfruttare il momento . Mussolini rassicuratosi sull’appoggio del re, del Vaticano, dei magnati dell’’industria, sventolando il drappo rosso del pericolo comunista e sostenuto, quasi minacciato dai ras fascisti, i falchi del partito, pronunciò il famoso discorso del 3 gennaio del ’25 che dette l’avvio al regime vero e proprio. Il 25 dello stesso mese le camere vennero sciolte definitivamente e solo il crollo del fascismo e la Resistenza ne consentirono la rinascita, dopo una guerra atroce.
Allora come oggi prepotenza e corruzione da un lato, debolezza, accondiscendenza, cinismo dall’altro mettono in pericolo il Paese. Che Dio ce la mandi buona!
Non si sa più che pensare. D’accordo su tutta la linea. A proposito di pensiero forte, di forti personalità, di coerenza e di lucidità a oltranza. Ho seguito il programma di ieri sera su LA 7, dedicato a Monicelli: raccoglieva alcune sue interviste recenti e meno recenti. Beh! Non era uomo di cultura in senso stretto, e non usava il linguaggio della filosofia ma era un grande e saggio vecchio!! Devo dire che avevo bisogno di sentire parlare così!