Con questa lettera, che domani sarà pubblicata sul Corriere della Sera, Roberta De Monticelli intende stigmatizzare il titolo totalmente fuorviante con cui lo stesso Corriere ha pubblicato la sua intervista del 22 luglio: «Laurea a Barbara. La prof attacca: esclusa da quella commissione», intervista firmata da Elvira Serra.
Nella mia intervista al Corriere del 22 luglio 2010 ho preso le distanze da parole che consideravo avvilenti per l’università di cui faccio parte. Assolutamente nulla, nella mia presa di posizione, ha a che vedere con il lavoro della laureata cui il nostro Rettore si è specificamente rivolto, né tantomeno con la composizione della commissione che l’ha giudicata, o con il giudizio da questa emesso: e perciò è profondamente ingiusto far apparire, nel titolo, il contrario. E addirittura fare apparire come un “attacco” la mia personale presa di distanza da ciascuna delle parole pronunciate dal mio Rettore, e pronunciate in veste di Rettore, cioè di rappresentante del corpo docente e discente. Prendere le distanze da parole che si considerano avvilenti è il contrario esatto del gettar fango su un’istituzione o sul lavoro dei colleghi: è testimoniare il proprio rispetto per l’istituzione, la propria fedeltà ai principi di etica proclamati dallo stesso fondatore e Rettore e condivisi con tutti i colleghi, e primo fra questi il principio di libertà che è il cuore e l’anima dell’insegnamento della filosofia. È difendere il senso del proprio lavoro – direi di più, il senso della propria vita. Ma non soltanto della propria: è difendere la fatica e l’orgoglio di ogni persona, studente o docente, che dell’attenzione al peso e al valore delle parole, e del rispetto per le regole e il diritto (al di fuori dei quali solo esiste l’impero della forza) ha fatto la ragione della propria vita.
Roberta De Monticelli
On line, con altro titolo, il testo dell’intervista.
La lettera di Roberta De Monticelli a Repubblica del 20 luglio 2010.
La controlettera di Massimo Cacciari, Prorettore, e Michele di Francesco, Preside della Facoltà di Filosofia.
Il comunicato stampa dell’Università Vita-Salute San Raffaele.
Alcuni commenti in merito alla vicenda, hanno insinuato l’idea che Roberta De Monticelli si sia mossa più perché in gioco c’era il nome Berlusconi che per difendere la dignità del sapere e delle istituzioni che lo rappresentano. Può forse offrire spunto di riconsiderazione di questo giudizio, leggere l’articolo uscito il 24 luglio su Il Fatto Quotidiano, ma pubblicato sin dal 12 luglio su questo sito, e proposto invano ad altri e ben più noti giornali nei giorni seguenti, sui vizi del reclutamento universitario italiano. Purtroppo, in Italia fa più notizia la laurea di Barbara Berlusconi della denuncia senza giri di parole da parte di un professore ordinario dell’incapacità del sistema universitario di cambiare se stesso e le regole che gli impediscono di premiare, selezionare, promuovere e sostenere esclusivamente gli studenti migliori, persino quando – come in questo caso – avanza concrete proposte. A questo proposito, è ulteriormente istruttivo leggere anche l’articolo di Maurizio Viroli, Docente di Teoria politica alla Princeton University e autore di La libertà dei servi (Laterza 2010), pubblicato sempre su Il Fatto Quotidiano il 23 luglio 2010, a sostegno della presa di posizione di Roberta De Monticelli.
Condivido al 100% ogni parola, ogni virgola e ogni punto di questa lettera. E rinnovo tutta la mia stima, il mio affetto e, lo ripeto alla professoressa che me lo ha già sentito dire, la mia invidia per il suo coraggio. Un coraggio che, diciamocelo apertamente, non tutti avrebbero avuto nella stessa situazione. Non ho capito la reazione di filosofi come Di Francesco e Cacciari. Non l’ho capita in primo luogo da un punto di vista filosofico “spicciolo”, “applicato”. Non servono competenze filosofiche per comprendere come e perché la lettera di “Presa di distanza” della professoressa non volesse essere né un attacco all’Università in cui ella lavora, né un attacco alla laureanda, né un attacco al lavoro dei suoi colleghi, né competenze analitiche, né competenze ermeneutiche, solo, semplice, buon senso. Aggiungo un solo rilievo a questa vicenda: professoressa De Monticelli, NON SI DIMETTA, NON SE NE VADA DA QUELL’ATENEO. Non dia retta a chi Le dirà, o magari glielo sta già dicendo “Adesso per coerenza vattene, dimettiti”. Se ne vadano loro, piuttosto. Un caro saluto a tutti e ancora complimenti per il blog!
E ora diranno che l’hai fatto in caccia di visibilità. Per gratificarti dei panni dell’eroina. Per il caldo. Per un morboso e puerile senso della giustizia che ti ha annebbiato sensi e intelletto fino a non intendere la levità di una battuta o di un affettuoso augurio. Oppure per un vetusta idea – poco moderna e poco laica – del sapere e del suo insegnamento. O anche – questo i peggiori, non ancora sicuri di quanto possa convenire darti addosso -, che forse qualcosa di poco conveniente, di discutibile, sarà forse anche avvenuto; ma inviare una lettera ai giornali, suvvia! Non se ne poteva parlare tra di noi? In consiglio di facoltà, magari; oppure alla macchinetta del caffé, o nel retrobottega di qualche convegno. Con pacatezza, senso della misura, della realtà, della re-spon-sa-bi-li-tà. Un rapido scambio di vedute, qualche “ma sì, certo…” di circostanza, una battutina su quanto gigioni, talvolta, siano i potenti; un sorrisetto, un’occhiata all’orologio, una scrollata di spalle, e via… che tanto c’è da fare, cose importanti, ben altri problemi che questo, battaglie vere per le quali (naturalmente) da tempo ci stiamo tutti attrezzando. Inviare una lettera ai giornali, invece, è proprio il tipico gesto di cattivo gusto dei fanatici, dei moralisti ideologici, di quelli che l’economista Carlo Maria Cipolla, nella sua Teoria della stupidità, definiva appunto “stupidi”: incapaci di fare sia il bene proprio sia quello altrui. Così parla chi conosce il mondo. E non perde la testa.
Io non riesco a provare invidia per Roberta De Monticelli, purtroppo. Perché ho chiaro davanti agli occhi l’intero Dizionario dei luoghi comuni al cui fuoco di fila sarà sottoposta per esorcizzarne il gesto di rottura, che desta scandalo recando testimonianza della nostra dignità; e che sempre – sempre – irrompe imprevisto, incomprensibile e smodato, come quello di certi idioti che il genio della letteratura, e qualche volta della vita, ci ha regalato.
Provo invece gratitudine. C’è chi tra i filosofi è destinato a diventare un Maestro. E chi tutt’al più diventerà un rettore.
Per pura dimenticanza dovuta alla foga della prima bozza ho omesso anche io di ringraziare la professoressa. E allora lo faccio. E aggiungo la gratitudine di tanti studenti di liceo che grazie a questo gesto “semplice” ma proprio perché semplice, puro, e quindi rivoluzionario, hanno recuperato in questi giorni – mi creda cara Prof. – una dose terapeutica tale da sfiorare la panacea di fiducia nell’università dove stanno, in moltissimi, per andare. Grazie, grazie, grazie!
Mi chiamo Silvia Meloni, sono un’insegnante di latino e greco presso il liceo ginnasio della mia città, Nuoro.
Scrivo per ringraziare le professoressa De Monticelli per le parole con cui ha preso le distanze dalla non troppo velata richiesta di denaro rivolta da don Verzé al padre della neolaureata Barbara Berlusconi.
Perché è appunto questo ciò che emerge dalla lettera del 20 agosto: non un attacco alla giovane, né al suo studio, né una messa in discussione della votazione, né della serietà o onestà intellettuale dei docenti che hanno fatto parlare della commissione.
Ringrazio la professoressa per ciò che emerge davvero dalla lettera, per il metodo e per il merito della presa di posizione.
Quando leggo l’Iliade con i miei ragazzi di IV ginnasio, faccio sempre notare loro che la letteratura occidentale esordisce con una parola che usualmente si traduce “ira” e che invece più densamente si può intendere “sdegno”, e li induco a riflettere sull’importanza del fatto che la letteratura, in quanto rilettura della vita, prenda avvio proprio da una vibrata presa di posizione contro un sopruso.
La letteratura occidentale nasce parlando di onore, di amicizia, di valore, di onestà, ma prima di tutto mette in parola lo “sdegno”, la protesta per lo scollamento tra ciò che è e ciò che sarebbe bello e giusto che fosse.
Perciò mi è parso bellissimo che la professoressa De Monticelli, in quanto docente, non abbia scelto di ridurre il suo sdegno ad uno scambio di battute interno ad un Consiglio di Facoltà, dandogli la dimensione quasi di un fatto privato, ma abbia preso la parola in forma pubblica e risonante, per ricordare a docenti, a studenti e a tutti che la forma è imbevuta di sostanza e non è accettabile che un allievo sia oggetto di particolari attenzioni per le possibilità economiche della sua famiglia, come non è accettabile che il pregio di un’attività di studio sia ricondotto alla sua immediata traducibilità in quattrini.
Le riflessioni che la vicenda suscita sono molteplici: sul danno arrecato da tutte le letture in diagonale, approssimative e sommarie, da cui nascono titoli di giornale aberranti; sulla tattica argomentativa fondata sulla difesa di chi e di ciò che non è stato chiamato in giudizio, che è un modo sottile per minare di traverso la forza dei reali argomenti dell’interlocutore; sulla categoria di “gigionismo” e “paternismo”, evanescente scusante per arbitrî ammantati di leggerezza.
Ringrazio tanto la professoressa, e la ringrazio come insegnante, come madre di due bambini, come individuo che vive nella società, e, più nel complesso, come persona, che si sente profondamente disgustata dalle parole e dal contegno di don Verzé, e profondamente ristorata dalle sue parole e dal suo contegno.
Sono qui a portare la mia vicinanza alla professoressa De Monticelli perchè semplicemente mi riconosco nel suo intervento fatto sulle parole dette dal Rettore in onore della laurea della signora Barbara Berlusconi. Il fatto che le sue parole facciano notizia, mi rattrista non poco, in quanto lo stesso sentimento sarebbe da provare nel caso contrario a quanto invece successo. Mi rifaccio alle parole di una persona molto più autorevole di me, la quale dice:
“FIN CHE C’E’ PENSIERO C’E’ DIGNITA’, FIN CHE C’E’ IL CORAGGIO DI INQUIETARSI, C’E’ LIBERTA’.”
Grazie per le mosche bianche che ancora una volta hanno deciso di vivere, e non di sopravvivere, sul pianeta Terra.
Nel suo commento Stefano ha già descritto bene – e con la giusta dose di sarcasmo – la situazione. Conosciamo tutti l’andazzo e, chi più chi meno, abbiamo anche noi (io per primo!) contribuito alla diffusione del “Take it easy” all’italiana. Ogni società ha le sue buone maniere e la nostra non prevede un posto a tavola per le persone troppo seriose. Da noi i buoni diventano in men che non si dica buonisti, i giusti moralisti, gli entusiasti esaltati, gli esigenti intolleranti.
A tavola non ce li vogliamo. A tavola ci gratificano i giocolieri, gli acrobati, gli equilibristi, i cinici, i flessibili. Non è che li vogliamo brutti, sporchi e cattivi (ci mancherebbe!), però ci piacciono un po’ immoralisti, sempre pronti ad assumere la giusta distanza. Gli asceti della cultura e della vita ci garbano tra le pagine di un libro o sullo schermo di un cinema, ma non a tavola. Ve la immaginate una cena con Simone Weil? O una colazione con Hannah Arendt? Ma un posto alla nostra tavola non mancherà mai per chi eccelle in audaci esercizi di equilibrismo camuffati da Wetlklugheit.
Qui sta il punto, credo. In Italia, e forse nel mondo intero (da che mondo è mondo!), quelli che ce la fanno sono spesso proprio quelli che riescono a tenere insieme con nonchalance cose incompatibili (senza per altro sentirsi mai chiamati a tematizzarle, anche se sono filosofi). Un “cattolicesimo” triviale che mi suscita sempre un misto di ammirazione e ribrezzo.
In fondo siamo sempre lì: una pizza in compagnia, una pizza da soli, in totale molto pizzo, ma l’Italia è questa qui…
Grazie comunque a Roberta per essere un convitato così scomodo in questa grande (e mortificante) abbuffata italiana.
Un maestro. Già, ogni docente dovrebbe esserlo, a maggior ragione se filosofo, non solo di nome, ma nella vita.
La Professoressa Roberta De Monticelli, nelle sue lezioni, ci insegna questo, a vivere come si compone un’opera d’arte, con vitalità, con animo, con senso.
Si può stare al mondo e compromettersi con esso ogni volta ciò risponda a un mero principio di sopravvivenza. Ma si può anche amare il mondo e non limitarsi a sopravvivere, anche là dove sembra scomparire ogni spiraglio di critica e di autentica vitalità.
La vitalità non è semplice “vita”, è la “forza della vita”, quella che anche Scheler definiva come un impulso irresistibile a prendere posizione su contenuti di valore oggettivi e positivi.
Martedì pomeriggio ho conseguito anch’io la laurea in filosofia presso il San Raffaele. Si è trattato di una discussione viva, critica e costruttiva, che ha risposto pienamente alle mie aspettative, che ha sorpreso positivamente chi, ogni giorno, mi ha sostenuto a distanza in questi tre anni di studio; che ha scatenato, insomma, quello che una laurea in quanto tale si propone di scatenare: un dibattito libero e vigoroso, con i docenti, ma anche con chi, “estraneo alla filosofia”, si sente ugualmente ridestare da certe tematiche “vitali”, quindi imprescindibili.
A maggior ragione, gli avvenimenti che Roberta De Monticelli denuncia riscuotono tutta la mia ammirazione, per il coraggio, la chiarezza e la dignità con cui difende il lavoro di noi studenti e la missione per cui nasce il San Raffaele. Non si sta gettando fango su nulla. Si risponde adeguatamente, si ob-bedisce, richiamando noi tutti, docenti e studenti che abbiamo il merito e la fortuna di studiare al San Raffaele, ai principi etici su cui si fonda la nostra università. La forma di cui un’isituzione può farsi vanto deve interagire sempre con contenuti altrettanto “ricchi”, che una toga, un tocco, o quant’altro possono e dunque devono rappresentare.
Al termine dei miei studi liceali, un professore mi consigliò il San Raffaele come ambiente di ricerca sano, aperto, formalmente e sostanzialmente ricco, mosso da soli principi eductivi. Grazie a chi, come Roberta De Monticelli, conferma ogni giorno le mie aspettative su questa università.
Cara De Monticelli,
desidero manifestarti la mia stima e il mio apprezzamento per quello che stai facendo. Dovesse diventare utile o necessaria una presa di posizione pubblica di qualche tipo, puoi contare su di me e su molti altri colleghi.
Grazie e un saluto cordiale,
Maurizio Tirassa
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Prof. Maurizio Tirassa, M.D., Ph.D.
University of Torino
Department of Psychology and Center for Cognitive Science
A DIFESA DELLA LIBERTA’ E DEL VALORE DELLA ‘PERSONA’ COME INDIVIDUO IN GRADO DI OPINIONI AUTONOME E RESPONSABILI.
SOLIDARIETA’ ALLA PROF. DE MONTICELLI E A TUTTI COLORO CHE – PUR LAVORANDOCI -NON RAPPRESENTANO NE MAI HANNO RAPPRESENTATO “QUEL” SAN RAFFAELE CHE RISCHIA DI EMERGERE DAI RECENTI ACCADIMENTI ma CHE ANZI, NE SOSTENGONO E DIMOSTRANO QUOTIDIANAMENTE I VALORI E L’ECCELLENZA PROFESSIONALE E MORALE.
Carissima Prof. De Monticelli,
accetti il mio GRAZIE personale, soprattutto per quanto ha di sicuro trasmesso ai giovani in formazione!
Conosco profondamente bene il San Raffaele perché mi ci sono laureata e vi ho lavorato per quasi 20 anni (Università compresa, dove ho insegnato come contrattista per circa 7 anni alla Facoltà di Psicologia).
Poi, per svariati motivi, ho DOVUTO E VOLUTO scegliere tra il mio codice etico e deontologico e quello che mi veniva ‘proposto’.
CON DOLORE e DELUSIONE (perché nel San Raffaele, non solo avevo sempre creduto, ma in linea con ciò, mi ci ero spesa e dedicata), ho preferito declinare e fare altro. Il San Raffaele è composto anche da persone di enorme valore professionale e personale, e Lei nè è la prova. Ma eventi come quello accaduto, se capiti male, rischiano di squalificare una struttura intera!
Quanto successo alla Laurea della figlia del Premier non poteva passare sotto silenzio e la Sua voce è stata preziosa, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione.
Ho letto che Le hanno attribuito coraggio, ma personalmente non ritengo che essere coerenti con se stessi ne sia prova. Credo piuttosto vero il contrario.
Perciò LA RINGRAZIO PER LA SUA COERENZA e non per il Suo coraggio, perché ritengo che la fedeltà a se stessi sia dovuta e doverosa. Non coraggiosa.
Suppongo La ritengano coraggiosa perché lavorando al/per il San Raffaele, non ‘era atteso’ di potesse dissociare con tanta forza. Altresì forse qualcuno ha immaginato a quale ‘fuoco amico’ avrebbe dovuto fare fronte…
Ritengo che al San Raffaele, taluni giochino sull’uso imbarazzante (oltre che ignorante), dell’ ‘indurre paura’ e ‘generare vissuti di irriconoscenza’, quando qualcuno desideri esprimersi come ‘persona’ e non unicamente come ‘affiliato a un gruppo’ cui essere fedeli sempre, concettualmente, ideologicamente e a qualsiasi prezzo e, soprattutto, sopprimendo la propria autonoma capacità di giudizio e scelta. Fingendosi ciechi pur vedendo e sordi pur sentendo.
Ma l’autonomia di pensiero e funzione, non è un punto debole di un gruppo, ne è anzi un punto di forza.
Dal canto mio, da quando sono uscita dal San Raffaele non ho in onestà avuto rimpianti in merito, avendo ad ora preziosi amici che vi lavorano – MA oggi ne ho uno: quello di non essere più 1 membro dell’Università Vita-Salute, per poter PUBBLICAMENTE esprimermi al Suo fianco.
Infatti, mi ha profondamente amareggiata il leggere le ‘contro-lettere’ inviate dal Preside di Filosofia e dal relativo Pro-rettore.
Trovo quantomeno ASSURDO che il Corpo Docente, anziché cogliere l’opportunità di mostrarsi coeso e compatto a difesa della qualità accademica, di fianco ad una voce che non certo intendeva mettere in discussione il punteggio della candidata, proponga INVECE informazioni di scadente pertinenza rispetto alle votazioni della medesima e aggiunga ‘spot commericiali’, anziché coglierle l’occasione per CHIARIFICARE che il senso dell’eccellenza non passa attraverso un cognome illustre quanto piuttosto attraverso un CV illustre… E tanta fatica, sforzi, studio, aggiornamenti e dedizione.
ASSURDO – lo ribadisco – Lei abbia dovuto rettificare pubblicamente, non tanto perché i media abbiano ANCHE strumentalizzato il suo pensiero ma SOPRATTUTTO perché i Colleghi l’hanno lasciata inspiegabilmente sola.
Altrettanto ridicolo, trovo il richiamo alla visione del sito dell’Università, finalisticamente a verificare i CV dei Docenti: CI MANCHEREBBE ALTRO , mi viene da dire! Oltre al fatto che non corrisponde al vero che solo al San Raffaele i CV siano trasparenti e/o forti. Chiunque abbia un buon CV non ha motivo alcuno per celarlo, né altresì bisogno di sbandierarlo. La qualità dei professionisti si dimostra sul campo e parla da sola.
Benché quindi nei fatti sia una ex-raffaeliana (come penso direbbe Don Luigi), continuo a credere nelle potenzialità della maggioranza dei raffaeliani e del San Raffaele in sé, e spero Lei possa accettare comunque questa mia lettera.
Grazie per avermi letta e per avere preso la parola. Questo tipo di parola, perché parlano in molti, ma non tutti lo fanno in modo così efficace e determinato.
IL MONDO (ACCADEMICO e non) HA BISOGNO DI DOCENTI COME LEI!
Buongiorno,
mi chiamo Alessandro Viganò, sono un ingegnere meccanico laureato presso il Politecnico di Milano e sto svolgendo un dottorato in Francia sull’ingegneria aerodinamica.
Mi scuso prima di tutto per il disturbo che questa mail Le arreca, ma volevo solo farLe i miei più sentiti complimenti per la lettera pubblicata da Repubblica e ripresa a vario titolo da altre testate giornalistiche.
La sua riflessione sulla domanda posta da don Verzé (e sul peso che le parole dette hanno «ogni parola è pietra, è posizione, è contributo alla chiarezza e all’onestà») la interpreto come una luce “energica ed efficace” nel mezzo di molte ombre che si annidano attorno a svariati intrecci che possono nascere. Penso che l’università, sia essa ad indirizzo scientifico o umanistico, pubblica o privata, debba rimanere asettica da queste “interferenze” e sono felice che sia rimasto qualcuno anche “ai piani alti” che sia della mia stessa opinione.
Ritengo che non ci sia peggior istruzione che un’istruzione guidata, di parte e non libera, un’istruzione che prevalga sul puro gusto di conoscenza, essendo tale gusto, alla base di un paese che si voglia definire evoluto, colto e democratico.
Concludendo Le rinnovo i miei più sentiti complimenti per il pensiero dato in questa occasione e Le rinnovo le mie scuse per il disturbo.
Cordiali saluti
Grazie infinite per la sua presa di posizione!
Certamente il rettore della Sua università non ha parlato a suo nome, ma posso dirle che Lei ha certamente parlato anche a mio nome!
Ha tutta la mia stima
Le porgo distinti saluti
Ho apprezzato molto l’intervento della Professoressa De Monticelli per tre semplicissimi motivi:
1) per il rispetto nei confronti dei tanti meritevoli studenti “non figli di…” (ma don Verzè quelle parole le dice a tutti i laureti con 110/110 e lode?)
2) per il rispetto nei confronti della stessa Dr.ssa Berlusconi ( l’elogio fatto in quella maniera e con il poco velato intento di richiedere fondi al padre potente ha gettato non poche ombre sull’onesto operato della studentessa)
3) per il rispetto dell’Università (la sensazione che ho avuto leggendo la vicenda della Laurea – tra l’altro triennale e non specialistica – è quella di uno dei tanti “spettacoli” ad uso dei media, stile Soap Opera, della vita del Premier)
ho notato con gioia che anche la De Monticelli, come me, si è laureata a Pisa. Credo che il suo gesto abbia rispecchiato in pieno lo spirito della “nostra” Università (anno di fondazione 1343) il cuo motto recita: “In Supremae Dignitatis”
Gent.ma Prof.ssa De Monticelli
leggo solo ora, tramite Facebook, ed apprendo il bailamme scatenato dalla recente tornata di lauree presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano.
In qualità di laureato, dottore di ricerca e precario del mondo accademico italiano, le scrivo per esporle il mio seppur umile attestato di stima e solidarietà per la sua presa di posizione.
Ritengo sia stato normale, oserei dire ovvio, che la neo-dottoressa Barbara Berlusconi si sia laureata col voto conseguito, visto il curriculum accademico col quale si presentava in seduta di laurea.
Ritengo ovvia, al limite del cui prodest, la precisazione inerente il fatto che all’Università San Raffaele, così come per ogni altro Ateneo statale o privato giuridicamente riconosciuto che sia, si acceda tramite procedura concorsuale pubblica.
Arrivo a ritenere persino scontata la prassi di costituzione della commissione di laurea, tesa a “rappresentare” e “tutelare” i laureandi.
Come, però, ritengo ovvio, normale e scontato tutto quanto sopra descritto, mi si permetta di ritenere quantomeno inopportune le parole espresse, soprattuto se successive a queste: http://www.youtube.com/watch?feature=youtube_gdata&hl=it&v=17EbnOF_hAU&gl=IT.
Spero solo che la questione non faccia male ad un Ateneo d’eccellenza in Italia e nel Mondo, al quale sono sicuro nessuno dei docenti ha voluto, vuole e vorrà cagionar danno.
Cordiali saluti
Matteo Cacciola
Buonasera, signora. Ho chiamato stamane la segreteria della sua Università e mi hanno dato questo suo indirizzo. Spero di non importunarla ma sento, forte, la necessità di esprimerle la mia infinita ammirazione per la dignità con la quale ha collocato il “contorno” relativo alla laurea di una sua studentessa, dal nome famoso. Un’abbraccio immenso ed i miglioro auguri per il suo futuro, dove e come vorrà.
Paolo Riva
Gentilissima signora. La sua dignità ci sia di insegnamento nei confronti di un Paese supino, di fronte al primo pataccaro che passa.
Ci contatti, la vorremmo a cena da noi, qui fuori Milano.
Sarà un a occasione per imparare come si fa….
Adele
A Roberta
Ti ringrazio per la tua voce di giustizia che hai fatto sentire “ai potenti di turno”.
Chi crede nella “pari dignità degli studenti” non può che esserti grato, anzi molto grato.
Credo che questa sia la strada che tutti dovrebbero percorrere. L’ho trasmesso ai miei allievi quando ero al liceo, ai miei figli e a tutte le persone con le quali ho rapporto di lavoro, di stima e di affetto.
Mimma Forlani ex-insegnante, attualmente giornalista e scrittrice.
Cara Roberta,
desidero parteciparti la mia ammirata solidarietà per il tuo intervento su Repubblica in relazione all’ultima seduta di tesi di laurea del San Raffaele. Mi fa star bene pensare che tra noi c’è ancora chi ha il coraggio della verità. È davvero paradossale (ma non è certo una novità) che lo si debba constatare ogni volta.
Edoardo Ferrario
Chiarissima professoressa De Monticelli,
Ho letto la Sua recente presa di posizione a proposito del discorso fatto dal Suo Rettore durante la cerimonia di laurea di una nota laureanda. Ho letto anche la Sua successiva precisazione. Non entro nel merito del problema in quanto non e’ di questo che vorrei parlare. Mi permetta solo di congratularmi con Lei per la chiarezza della Sua posizione e per il coraggio con il quale l’ha espressa. In un paese normale non ci si dovrebbe stupire di una cosa del genere ma nel nostro, purtroppo, tutti sono pronti ad esprimere le proprie opinioni in privato ma mai in pubblico. Sono quindi lieto che in Italia esistano ancora insegnanti come Lei che trasmettano i valori da Lei evocati e che li perseguano con la coerenza da Lei dimostrata. Da semplice cittadino non posso che ringraziarLa per avermi riconciliato con la società. Da oggi parlare di etica e di valori avrà un significato decisamente più nobile grazie all’esempio da Lei fornito. la prego di accettare il senso della mia grande stima ed ammirazione. Con i miei più distinti saluti. Franco Moscetti
Complimenti a Roberta De Monticelli per aver saputo fare la cosa giusta.
Mi stupisce un poco la reazione del S. Raffaele, oltre che le precisazioni di Cacciari + Di Francesco. Quando questo casino è successo ero sperduto tra i monti austriaci, dove i giornali italiani arrivavano con una giornata di ritardo. Quando ho letto la lettera su Repubblica, commentandola con alcuni commensali, siamo tutti quanti giunti alla medesima conclusione: il San Raffaele dovrebbe dare una medaglia alla De Monticelli, perché solo le sue parole hanno posto un argine a quella che era l’impressione dominante per i non addetti ai lavori, e cioè che il San Raffaele fosse, un po’ come l’università di Mr. Cepu, un club privato per gli amici degli amici, dove si negoziavano prebende italian style in cambio di pezzi di carta. Ovviamente chi conosce la realtà del San Raffaele sa che si tratta di una università vera, ma la scenetta del rettore che si profonde in salamelecchi nei confronti della figlia del Lider Maximo era una pagina di commedia all’italiana: la Grande Leccata. Vedere che un docente autorevole di quella realtà si alzava per dire ciò che tutti avevano davanti agli occhi è la migliore operazione di marketing che il San Raffale poteva concepire, se avessero voluto concepirla: l’unica in grado di salvare la faccia dell’istituzione.
Esprimo la mia piena solidarietà alla Prof.ssa Roberta De Monticelli in merito alla vicenda accaduta al San Raffaele. Il coraggio della sua parresia è cosa rara e preziosa. Altri diranno che ha frainteso; che ha ingigantito; che ha esagerato. Ma la sua parola retta, libera, coraggiosa non si lascia fraintedere: è semplicemente la parola di una filosofa degna di questo nome.
Ho trovato nella fenomenologia il luogo dove la mia passione per la filosofia può farsi pratica.
Ho letto Scheler, Husserl, e Hildebrand con l’impegno e gli strumenti che la mia giovane avventura nella filosofia mi consente di avere, e ne ho tratto un’assiologia che è prima di tutto vocazione all’attenzione.
Quell’attenzione che anima ogni presa di posizione critica che possa dirsi oggettivamente fondata, e che ho ritrovato nelle parole della Professoressa.
Ciascuno porta nella propria individualità, nel suo compito intrinseco (lo sviluppo di un’autentica personalità), un’occasione di rinnovamento… Penso che chiudere gli occhi (lo sguardo assiologico) e tapparsi le orecchie (il sentire assiologico) di fronte a ciò che è accaduto sia un’offesa alla verità, per la cui difesa, per la cui salvaguardia, ogni filosofo è chiamato a battersi.
Penso, poi, che fingere di non capire le parole e le intenzioni della Professoressa fino ad arrivare a stravolgerle completamente sia ancora più grave. Più grave e più pericoloso.
Una cecità assiologica che si autoacceca di continuo, in nome di un ordine di preferenze che, forse, non è più oggettivamente fondato, in nome di una verità che, forse, non può avere una portata pubblica (quel pubblico di parlanti ed agenti che rende ragione di ciò che dice e fa) proprio perché non è più degna di questo nome.
La filosofia non è una “chiacchiera”, e chi pretende di impegnarsi con dedizione ad essa non può “raccontarsi” che le cose vadano diversamente da come vanno.
La Professoressa ha dimostrato agli studenti le implicazioni pratiche del proprio impegno di ricerca, confermandone l’autenticità (quell’autenticità che si dà solo al cospetto dell’attenzione, un’istanza di rispetto per il fenomeno, in primis per quel fenomeno straordinario che è la persona, la propria persona e quella altrui).
Penso che questo realizzi un valore davvero importante. Imprescindibile per la nostra società (a cominciare dalla piccola comunità che è quella formata da noi studenti). Della sua presa di posizione gli studenti del San Raffaele non possono che essere davvero e sinceramente grati.
Gent.ma prof. De Monticelli,
sono un’insegnante ed una collaboratrice dell’Università Cattolica e desidero esprimerLe la mia stima per avere avuto il coraggio, la dignità e la coerenza di riprovare pubblicamente la mancanza di rispetto verso i giovani e la piaggeria verso il potere dimostrata dal Suo rettore in occasione della laurea in Filosofia della Dott. Barbara Berlusconi. In quest’epoca di servilismo verso coloro i quali si ritengono potenti e ricchi e da cui si aspettano benefici è davvero consolante vedere che ancora rimane qualche voce a difendere l’uguaglianza di tutti i cittadini, specialmente dei giovani che a noi guardano in attesa di un esempio e di una parola di verità ed integrità.
Con stima i miei più cordiali saluti
Antonella Bartoletti
Chissà se utilizzando contro Roberta l’epressione “gettare fango” ci si è resi conto di quanto essa sia logora e falsa nella sua ovvietà. Recentemente è stata usata contro Robero Saviano, accusato di “gettare fango” per l’appunto sull’Italia, dopo aver denunciato la pervasività della camorra e del malaffare in genere, giunti ormai ai livelli più alti nella nostra società.
In passato fu lanciata, da un politico tanto longevo quanto moralmente discutibile come Andreotti, addosso a Rossellini, per aver questi mostrato attraverso il cinema la verità di un paese uscito a pezzi dal fascismo e dalla guerra. Si disse allora che “i panni sporchi si lavano in famiglia”.
È questa la logica che governa le consorterie, non la Res-Publica. Ma forse, come lamentavano Bobbio e Viroli in un saggio del 2001 (“Dialogo intorno alla Repubblica”), di vero spirito repubblicano nel nostro paese ce n’è ancora troppo poco.
Proprio per questo la denuncia pubblica di Roberta acquista il valore di una testimonianza necessaria quanto scandalosa. Si possono immaginare le battute e la facile solidarietà che le sarebbero state riservate dai colleghi se si fosse limitata alle critiche da corridoio. Chiamare le cose col loro nome, mostrare senza risentimento, con voce limpida e ferma il servilismo interessato divenuto per molti in Italia abito consuetudinario, questo le è stato aspramente rimproverato. Non da tutti ovviamente. Sono stati soprattutto i giovani a cogliere il senso delle sue parole, testimoniandole affetto e solidarietà. E credo anche tutti quegli insegnanti che hanno compreso come i ragazzi non chiedono loro un semplice travaso di conoscenze, né un generico aiuto, ma piuttosto un modello di comportamento esemplare cui ispirarsi, una spinta a diventare ciò che potenzialmente sono, oserei dire a trascendersi.
Si ritrova qui il senso alto della parola “maestro”, così ben esplicitato nella chiusa di Stefano: “C’è chi tra i filosofi è destinato a diventare un maestro. E chi tutt’al più diventerà un rettore”.
Ciao Roberta,
penso che la tua protesta per l’indecente intervento di don Verze’ in occasione della laurea di BB sia giusta e ti ringrazio per avere dato voce alla tua insofferenza. Mi unisco a te nel ritenere che le sue parole siano state offensivo della dignità del vostro corpo docente e dell’universita’ italiana in generale.
Un abbraccio e molto affetto,
Claudio Luzzatti
Dipartimento di Psicologia
Università di Milano-Bicocca
Su richiesta dell’autore, pubblichiamo qui di seguito la lettera da lui inviata alla Redazione de Il Fatto Quotidiano.
Spett.le Redazione de Il fatto quotidiano,
Gent.mo Direttore,
oggi mi permetto di scriverVi nuovamente per sottoporVi la lettera da me scritta in merito alle vicende che hanno riguardato la mia università martedì scorso. Autorevoli quotidiani nazionali hanno “adottato come regola” – cito le parole amareggiate, come le mie, della Prof.ssa De Monticelli – una “politica di non trasparenza”; nessuno si è premurato di approfondire pubblicamente le ambiguità di questa vicenda, che vedono una tesi di laurea tenuta inizialmente nascosta al corpo docente (quando dovrebbe essere a disposizione dei docenti presso le segreterie), la presenza, legittima ma eccezionale, del Rettore alla proclamazione delle lauree, e altre ombre. Ma soprattutto, per quello che mi riguarda in veste di studente, presente a quella triste e a tratti grottesca cerimonia, nessuno ha ritenuto di dover dare voce a chi è stato, io e molti, molti colleghi, profondamente ferito dalle parole della più alta carica della nostra Università, pronunciate alla presenza del corpo docente quasi al completo, di un vasto pubblico di studenti, di cinque brillanti laureandi e di una carica istituzionale come il Presidente del Consiglio, seppure in veste di privata, da padre. Mi sono sentito rispondere da giornalisti, che avevano curato articoli su quelle vicende, cose come “non prevediamo in pagina il contributo degli studenti” (Dott.ssa Elvira Serra, del Corriere della Sera), reazioni che mi avrebbero fatto volentieri domandare di chi dovrebbe essere un contributo su fatti che hanno riguardato docenti/ e /studenti; magari, visto il livello non solo della libertà, ma anche e soprattutto della /qualità/ dell’informazione in questo sempre più triste Paese, giornalisti certo meno seri di Voi avrebbero previsto più volentieri in pagina il contributo di qualche /opinionista/ di quelli che invadono i nostri programmi televisivi, i nostri giornali e ora anche la rete (il solo vocabolo “opinionista” dovrebbe far rabbrividire un aspirante filosofo, o /apprendista filosofo, /come preferisce chiamarci la Prof.ssa De Monticelli, quale vorrei essere io, attraverso il mio impegno accademico).
Sperando, quindi, possiate almeno tenere conto, fosse anche come spunto per aprire una riflessione di più ampio respiro, del mio amareggiato scritto, vi rinnovo il mio sincero apprezzamento per il lavoro che svolgete ogni giorno attraverso il vostro quotidiano,
Cordiali saluti,
Andrea Tito Nespola
Esprimo il mio sostegno e la mia ammirazione per la recente lettera di Roberta De Monticelli a Repubblica, pienamente coerente con i suoi brillanti interventi in cui ogni tanto incappo sui quotidiani e soprattutto con la passione per il pensiero e per l’insegnamento che di lei ricordo a lezione!
Mi chiamo Chiara Santamaria, vivo nel Dorset, Inghilterra del sud. I giornali britannici raramente si occupano dell’Italia e quando lo fanno, c’e’spesso da vergognarsi di essere italiani.
Leggo oggi sull’Observer la storia della laurea di Barbara Berlusconi, della richiesta di Verzè e della presa di posizione della signora De Monticelli. Chissà se le cose sono andate proprio come John Hooper le descrive, ma mi pare che i giornali italiani non si discostino molto dalla versione che ho sotto gli occhi io.
Ringrazio la signora De Monticelli (di cui ho sempre apprezzato gli scritti, pur non occupandomi di filosofia) di avermi fatto sentire ancora orgogliosa di essere italiana.
Credo che noi, cittadini qualunque, dovremmo seguire il suo esempio e far sentire più spesso la nostra voce. Soprattutto quando non ci ritroviamo nei giochi poco puliti e onesti dei potenti, nelle loro dozzinali furbizie, nelle crapule da osteria. Se continuiamo a stare zitti va a finire che ci credono tutti compiacenti e contenti di loro.
A Roberta di Monticelli:
grazie per le tue parole.
Da straniero vedo con panico la situazione nella quale il paese sta precipitando e soprattutto. l’immobilismo regnante di fronte alla dinamica degli eventi che hanno portato fuori dal vocabolario la meritocrazia, la competitività nelle aziende, l’etica dello stato e dei cittadini.
Le tue parole mi hanno ricordato come ognuno di noi abbia la responsabilità di denunciare e combattere i soprusi che vediamo ogni giorno. Non serve infatti essere nelle posizione di potere. Il circolo virtuoso nasce dallo scontrino preteso per il caffe al bar alle gare d’appalto da Mld di euro, dalla scelta del miglior prodotto per il suo contenuto agli avanzamenti di carriera e giusti compensi.
Grazie ancora e coraggio!
German Rodriguez
Cara Roberta,
vedo con piacere che ad onta del divario digitale che penalizza la Toscana riusciamo a comunicare. Ho visto la tua lettera al Corriere e quella di Cacciari. Devo dire che mi ha stupito il tono e il merito della sua difesa di don Verzé, giocando, mi par di capire, sull’equivoco della tua presunta esclusione dalla commissione, cosa dui cui non so darmi una piegazione (non posso credere che Cacciari non sappia come sono andate le cose da questo punto di vista).Per quanto riguarda la dottoressa Barbara, mi limito a considerare che è risaputo che la cosa che veramente conta nei corsi triennali di primo livello è di laurearsi entro i tre anni, non importa con quali voti, e lauree tardive, ancorché molto brillanti, valgono molto poco. Spiace solo per la povera Barbara, che dell’essere figlia di Berlusconi non ha colpa.
Hold on, Roberta!
Un abbraccio
Giuseppe Giolitti
Cara Roberta
ho visto ieri la tua lettera a Repubblica e l’intervista di oggi sul Corriere (con anche la tua successiva lettera di chiarimenti). Voglio innanzitutto ringraziarti per il coraggio di avere detto che il re è nudo. Infatti in ambito pubblico Don Verzè può essere molto parziale e discriminatorio ma tutto gli viene lasciato passare perché “è fatto così”, bonariamente, perché è anziano… però fa delle pessime figure e qualcuno glielo deve dire. A tanti di noi è venuto in mente ma non ne abbiamo avuto lo spirito.
Credo che questi suoi cerimoniali’ (a voler ben pensare) o parzialita’ interessata (a voler mal pensare) verso il potente facciano male all’ immagine del San Raffaele e di chi ci lavora piu’ di quanto lo possono fare delle critiche che richiamano al rigore del suo ruolo. Anche per questo io me ne sono andata e altri ci stanno pensando.
Chissà se vorrà cogliere il messaggio e mettersi in gioco. Potrebbe nascerne un dibattito interessante e l’Università Vita-Salute potrebbe distinguersi come quel luogo dove ci si confronta, anche duramente, rispettandosi.
Grazie, e un caro saluto
Daniela Bellomo
Solo per ringraziarla,
per questo le scrivo. Per aver sollevato l’incongruenza di un intervento del Rettore di fronte al Presidente de Consiglio, per aver reso pubblico il disagio degli altri laureandi in uno dei giorni più importanti della loro vita, per non aver taciuto di fronte all’evidenza che, ci sono precise parole, con precisi significati che generano conseguenze, non sempre e solo materiali.
Peccato che non si sia capito fino in fondo il dramma di una civiltà, che si pensi che tutto sia legato al nome del presidente del Consiglio, che non si capisca che sarebbe stato ugualmente grave se il fatto fosse avvenuto di fronte a chiunque abbia nomi conosciuti che vantano più o meno potenza.
Grazie
Mi permetto di lasciare il link alla mia lettera pubblicata su MicroMega.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/don-verze-e-barbara-berlusconi-uno-studente-racconta-lumiliazione-vissuta-quella-mattina/
Sento grato e doveroso rendere manifesta la mia personale solidarietà, in quanto dottorando di ricerca in un’università italiana, per la lucida, coraggiosa e vibrante presa di posizione della Professoressa Roberta De Monticelli.
Di pregnante significato il richiamo “al peso e al valore delle parole”. Non ho potuto ascoltare in prima persona le dichiarazioni del Rettore, ma ho avuto l’impressione che le successive “precisazioni” fornite in risposta alle critiche della Professoressa siano l’ennesima manifestazione di un atteggiamento incline ad eludere il significato delle parole dette: un chiamarsi indietro ed una “fuga” che in ambito pubblico si verifica con preoccupante frequenza quando si tenta di richiamare giustamente l’attenzione sulla necessità di “inchiodare l’etica alla logica”.
Anche una “battuta paterna” può essere inopportuna se di fatto è una sola “figlia” a poterne beneficiare.
Federico Bacco
Vorrei sottolineare un paradosso. L’eroina della vicenda propugna la meritocrazia nel suo attacco al Rettore. Ora, se veramente nell’Università dove lei lavora vigesse un sistema meritocratico e non logiche di potere, la gentile prof.ssa De Monticelli non dovrebbe insegnare. Il corso che tiene, infatti, è giudicato insoddisfacente dal 95 percento degli studenti (si vedano i questionari di valutazione), che, nonostante il disgusto, sono COSTRETTI a frequentarlo, anche se trattasi di un corso sicuramente non essenziale per la formazione di filosofi. Il corso è reso obbligatorio perché ella deve insegnare; quindi, se il mercato la castiga, difendiamola drogando il mercato. Piccolo paradosso
Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti, anche se non è affatto detto che il dibattito sia chiuso. Ringrazio gli studenti, i colleghi delle scuole secondarie, i normali cittadini – e i rari e preziosi colleghi universitari che hanno voluto parteciparvi, spesso aiutando chi ci legge a capire che il dovere della critica, il dovere della libertà, la coerenza fra parole ed atti fanno tutt’uno con l’insegnamento della filosofia.
A Matteo e a tutti coloro che vogliono verificare propongo di visitare questo sito:
http://docenti.unisr.it/Questionari/Statistiche_AD.asp?Docente_Id=238&Ad_Id=2617
dove compaiono le valutazioni del mio ultimo corso al San Raffaele (confesso che sono andata a vedere con timore, e ho letto i risultati con sollievo. Non corrispondono a quanto scrive Matteo).
Per il caso che non fosse accessibile da computer non “interni”, copio e mando al webmaster la pagina! Nella speranza che renderla pubblica non infranga alcuna regola interna, lo faccio più che volentieri.
Che il dibattito continui o no: ci ricrei un po’ di riposo, e rafforzi in noi speranza e fiducia. Perché, come amava scrivere il mio logico preferito, Gottlob Frege, “Il pensiero non ha padrone”.
Roberta De Monticelli
Cara prof.ssa De Monticelli,
probabilmente non si ricorderà di me. Sono Giuliana Mandirola e mi sono laureata a febbraio del 2007 presso l’Università San Raffaele. Lei è stata la relatrice della mia tesi di laurea.
Le scrivo davvero per ringraziarla per la sua determinata presa di posizione nei confronti dell’incresciosa dichiarazione del Rettore durante la proclamazione di laurea di Barbara Berlusconi.
La ringrazio per l’indignazione che ha espresso, indignazione che senza essere presente ho provato anch’io non appena sono stata informata dell’accaduto.
Ho sempre avuto una grande stima di lei, come docente. Come persona non posso certo dire di conoscerla, ma credo davvero che questa sua presa di posizione dica molto di lei, della sua dirittura e integrità morale, dei profondi valori e convinzioni che la animano.
Davvero il suo intervento sui quotidiani mi ha stupito, forse perché ha scosso la disillusione a cui mi ha abituato la vita post-lauream.
Se di quello che lei chiama “affossamento dei criteri d’eccellenza” avevo già avuto sentore all’università, le assicuro che le esperienze da laureata purtroppo mi hanno fatto comprendere che l’affossamento è la logica dominante.
Mi conceda lo uno sfogo personale. Non sono una persona pessimista, ma con estremo realismo rifletto su ciò che ha comportato per me l’iscrizione alla Facoltà di Filosofia di Cesano Maderno.
Se ben otto anni fa ho riflettuto con i miei genitori sulla possibilità di iscrivermi alla neonata Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele e solo perchè credevo molto in quel progetto. Dico “riflettere” perché di fatto avevo riflettuto molto. Ho riflettuto io, la mia famiglia, persino i miei professori del Liceo che per primi mi avevano informato su questa possibilità.
Ai miei genitori è costato un enorme sacrificio economico l’iscrizione alla Facoltà. Ma mi creda non ne faccio solo una questione economica: ho investito tempo, speranze, illusioni in quell’idea. Credevo in una filosofia libera dalla torre d’avorio, credevo in un quel pensiero concreto tanto millantato dai fondatori della Facoltà.
Lei più di tutti mi ha aiutato a credere a questo. Davvero mi sembrava che più di altri lei credesse nell’idea di fondo dell’ateneo, nella concretezza della filosofia, come vero strumento di conoscenza, che libera dall’ideologie e lascia spazio alle idee, aperta al confronto e al dialogo con altri campi del sapere.
Certamente lei non mi ha deluso.
Ma quando mi sono sentita dire dalla segreteria generale al momento del ritiro dell’attestato di laurea “gli stage gli studenti se li devono cercare da soli”, quando mi sono confrontata con i colleghi che, come me, hanno tentato invano di ricevere un consiglio, un’indicazione sui percorsi post-lauream che qualsiasi università statale italiana che si rispetti sa dare (dico statale e non privata), quando ho preso consapevolezza del fatto che, dopo il pagamento dell’ultima retta della specialistica, l’università aveva assolto i suoi doveri nei miei confronti, allora davvero mi sono sentita umiliata.
Certo ci voleva la filosofia dell’università San Raffaele ad aprirmi gli occhi sul mondo. E se all’inizio non avevo coraggio, e avevo in fondo ancora l’ illusione che il sacrificio economico dei miei genitori mi avrebbe per lo meno aiutato ad avere un posto da stagista in un’azienda, adesso che sono disillusa non riesco più a tacere.
Davvero mi sento di ringraziarla per la netta condanna all’offesa alla dignità delle persone da parte di tutti gli ex studenti del San Raffaele, almeno dei primi laureati, perché so che in molti condividono con me questo sentimento, la ringrazio in nome di quelli che dovevano essere “i nuovi manager, i nuovi politici, le nuove menti di domani” e ora sono solo poveri laureati a spasso, ma con la benedizione del Magnifico Rettore.
Devo ammettere che non mi piace fare la vittima. Nonostante mi abbia logorato il senso di colpa nei confronti dei miei genitori, che si sono sacrificati per investire sulla mia formazione, sperando che loro figlia potesse godere di quei servizi che un’università privata normalmente offre ai propri studenti, nonostante tutto questo mi ritengo una persona fortunata. Adesso lavoro presso un’associazione culturale a Genova. Un ambiente giovane e stimolante, il lavoro che da sempre ho desiderato. La prima vera esperienza di lavoro dopo due anni di incertezze. Ma almeno è un’esperienza significativa… e, come ben saprà, ai giovani laureati l’esperienza è sempre richiesta. Senza esperienza “non si va da nessuna parte”. Credo che questa logica dominante dovrebbe essere presa in seria considerazione da chi vanta università d’eccellenza.
Mi scuso per essermi dilungata, ma dopo anni di silenzio, credo sia doveroso ringraziare chi, come lei, crede davvero in quello che fa.
Grazie ancora di tutto, per quanto ha saputo trasmettermi, come docente e come persona.
Giuliana
Mi scuso sinceramente, non pensavo che questo spazio fosse dedicato ai soli panegirici. Quindi mi ero permesso ingenuamente di pubblicare un secondo post critico, ma non è stato accettato (anche se le critiche erano espresse in modo educato). Scusate, pensavo fosse un forum democratico. Mi rendo conto che probabilmente anche questo post, di conseguenza, verrà cestinato.
Ringrazio la Prof.ssa De Monticelli per il suo intervento. Sono contento se le cose stanno in questo modo, perché vuol dire che negli ultimi anni la situazione è decisamente migliorata.
Io mi riferivo a qualche anno fa, non a quest’anno: non c’era bisogno di guardare i questionari di valutazione in quel caso. Il corso venne fatto terminare anticipatamente perché la gente scappava durante la pausa dopo aver firmato il foglio delle presenze. Aule deserte nonostante l’obbligatorietà.
Cordiali saluti.
Scriviamo in merito al post (che insieme ad altri nei giorni scorsi, alcuni favorevoli, altri critici nei confronti della presa di posizione di Roberta De Monticelli) non sono stato approvati. Sul Phenomenology Lab non esiste censura. Esiste però, e attenta, una moderazione dei contributi, in particolar modo se anonimi. Il nostro è un blog di una comunità filosofica alla quale aderiscono 300 persone e la cui newsletter ne raggiunge 500. Abbiamo ritenuto fin dalle origini di promuovere il confronto non soltanto su tematiche specialistiche, ma anche su questioni, inclusa la politica e il costume accademici, che crediamo non possano non entrare nell’orizzonte di un’idea alta della teoria e della prassi filosofica. Questo, però, non può trasformarci in un forum on line o in un social network qualsiasi, nei quali, anziché esprimersi nel merito delle questioni poste, ognuno si può disinvoltamente sentire libero di screditare persone, gettare obliquamente ombre sulla loro condotta, riferendo aneddoti, dicerie, pettegolezzi o anche presunti “fatti” di scarsa pertinenza, magari anonimamente riferiti, illegittimamente acquisiti o privi di una ancorché minima contestualizzazione. Non è soltanto questione di “rischio giuridico”, che pure c’è ed è rilevante. È una questione di rispetto, dunque di etica. Vi sono fatti e prese di posizione pubbliche da parte di tutti i protagonisti. S’è fatto di tutto, a partire dai giornali, per parlar d’altro. Noi crediamo sia non soltanto opportuno ma necessario parlare di quelli e delle loro implicazioni per l’oggi e per il futuro. Non d’altro.
Mi permetto un commento personale alle osservazioni sull’eventuale modesta frequentazione da parte degli studenti dei corsi di Roberta De Monticelli. Non vedo che rilevanza abbia in merito alla questione qui dibattuta. Ma è un tema di per sé interessante, se posto in generale, e con rispetto e consapevolezza della complessità della questione. Ricordo, per esempio, come i questionari di valutazione siano stati una delle richieste che a suo tempo, insieme ad altri studenti, nei lontani anni ’90 facemmo (invano) all’Università Statale di Milano, dove popolarissimi docenti non si presentavano al ricevimento o interrompevano dopo 30 minuti la lezione per lasciare a noi tutti “il tempo di riflettere attentamente sul profondissimo concetto espresso”. Non è sempre facile capire e assecondare le aspettative degli studenti. Mi ha colpito, per esempio, la frase per cui il corso della De Monticelli “non sarebbe essenziale per la formazione di filosofi”. Non è un giudizio facilmente intellegibile, ai miei occhi. E anche le metafore del “successo” e del “mercato”, cosi’ ovviamente accostate ai concetti di “merito” ed “eccellenza”, sono sì un interessante spunto di riflessione, ma nient’affatto scontato. Hegel più meritevole di Schopenhauer, Heidegger di Husserl, Sartre di Aron? Ricordo, per citare ancora la mia esperienza personale, la diversa atmosfera che, a cavallo tra gli anni ’80 e i ’90, si respirava nelle aule in cui alla Statale tenevano le loro lezioni Carlo Sini e Giovanni Piana. Il primo, eloquente e ieratico, ammaliava l’uditorio; il secondo, severo e ironico, lo incantava. Al primo, tuttavia, generalmente si attribuiva e tributava pubblicamente un maggior “successo”. Ma che cosa questo avesse davvero a che fare con i rispettivi meriti come studiosi e come insegnanti era ed è ancora difficile da sceverare. Spero che anche di questo tema si torni a discutere su questo blog, a viso aperto e al riparo dal rumore e dai veleni di questi giorni.
Stefano ha sollevato un problema che dovrebbe stare a cuore a tutti coloro che lavorano nel campo dell’istruzione universitaria (e che sicuramente interessa me): la valutazione della qualità del lavoro del docente da parte degli studenti. Come spesso accade con le cose della vita, anche questo strumento, quando non esisteva, sembrava inequivocabilmente prezioso, mentre ora ne possiamo apprezzare tutta l’ambivalenza. Che sia irrinunciabile, mi pare chiaro. Abbiamo tutti bisogno ogni tanto di un “reality check” e di confrontare le nostre aspettative e sensazioni intime con i dati di fatto. Per chi insegna è un’esperienza comune (e mortificante) constatare come lezioni che ci erano sembrate ben congegnate e coinvolgenti vengano vissute in tutt’altra maniera dagli studenti, che magari hanno apprezzato invece una lezione in cui ci sentivamo fiacchi e demotivati. Ben vengano quindi i feed-back anonimi degli studenti. C’è sicuramente molto da imparare dalla loro schiettezza.
Questo però non significa che gli studenti abbiano sempre ragione e che le loro sensazioni siano l’unico ed esclusivo banco di prova su cui misurare la qualità dell’offerta formativa. Per molti aspetti, qui sta il punto cruciale, il crocevia dove le nostre intuizioni e opinioni si bi- o tri- o tetraforcano. Le variabili in gioco sono tante; gli ingredienti per realizzare un buon corso svariati. Per fare il primo esempio che mi viene in mente, uno dei problemi di chi insegna è la necessità di destreggiarsi tra dati di fatto che di norma sfuggono – ma come diavolo sono fatti questi studenti che ci stanno di fronte in tutta la loro varietà e opacità? – e immagini normative a cui è impossibile rinunciare e le cui radici affondano in luoghi e momenti decisivi della nostra esistenza ed esperienza passata. Come dovrebbero essere e come vorremmo che fossero gli studenti dei nostri corsi? Che aspetto ha lo studente a cui tacitamente pensiamo quando scegliamo il tema del nuovo corso o prepariamo settimanalmente le nostre lezioni? È soltanto una proiezione della nostra memoria personale, un’idealizzazione dei nostri ricordi, di ciò che sarebbe potuto essere ma non è stato? O è una caricatura al ribasso, una scusa o una giustificazione per la nostra perenne mancanza di tempo, stimoli, competenze?
Personalmente penso che non ci sia modo di sfuggire completamente alle insidie che si nascondono dietro questi interrogativi legittimi. E questo è tanto più vero per chi insegna filosofia, una disciplina i cui contenuti non possono mai essere disgiunti dalla forma di presentazione: la perfetta incarnazione di quella che Michael Polanyi chiamava la conoscenza personale. In questo senso, sarebbe assurdo che i questionari compilati (magari frettolosamente) dagli studenti diventassero un feticcio e la costumer satisfaction finisse per inglobare tutti i possibili significati e le feconde e inevitabili tensioni di un percorso formativo complesso come un corso universitario. La valutazione degli studenti è sicuramente uno strumento utile per migliorare l’offerta didattica. Ma è solo uno tra i tanti. Sarebbe sbagliato attribuirgli un potere taumaturgico che non ha e non può avere. La soluzione del problema complicatissimo della trasmissione del sapere alle nuove generazioni non dipende di certo dal perfezionamento di una sorta di Auditel universitario. Anche oggi che il telecomando è chiaramente passato di mano, resta comunque vero che cambiare canale non basta.
Gentile Prof.ssa De Monticelli, trovandomi fuori sede riesco solo con ritardo a farle avere questo messaggio riguardo la vicenda di cui sopra. Non sa quanta gioia mi hanno dato le sue parole, così educate, equilibrate e necessaria di fronte all’episodio (di cui non conosco – e non mi interessano – annessi, connessi e backstage) della recente tesi discussa su Amartya Sen.
Stia tranquilla che chi vuole comprende perfettamente quel che è successo; la sua presa di posizione in un momento come questo è stata straordinariamente opportuna. La verità cerca araldi simpatici e smart come lei per continuare a brillare in questi tempi grigi.
Ancora congratulazioni.
La questione della valutazione della didattica da parte degli studenti è una questione importante, anche se la legge di riforma ora in discussione al senato non vi dà particolare peso. Personalmente sono sempre stato e continuo ad essere fortemente a favore del fatto che gli studenti esprimano la loro valutazione sui docenti e sul fatto che tale valutazione sia un fattore importante per valutare la qualità della docenza. Contrariamente a quanto molti credono, gli studenti sono generalmente in grado di valutare l’efficacia dell’insegnamento impartito, anche laddove, in presenza di giudizi critici, non abbiano la capacità positiva di spiegare come altrimenti la lezione andrebbe impostata.
Ovviamente in nessun sistema al mondo vige una sorta di norma Auditel per cui ciò che non piace agli studenti, magari occasionalmente, costituisce il solo parametro di valutazione della docenza; in tutti i sistemi in cui la valutazione degli studenti è presa sul serio essa è comunque solo uno dei parametri in un sistema pesato di valutazioni, di cui fanno parte i risultati degli studenti stessi successivi all’uscita dal sistema universitario, l’attività di ricerca nelle sue varie articolazioni, i peer review, ecc.
Per quanto concerne il modo in cui le valutazioni da parte degli studenti sono concepite oggi, è necessario precisare che il sistema è totalmente ridicolo e sostanzialmente inutilizzabile per la formazione di giudizi sensati. Ciascuna università, anzi spesso, ciascuna facoltà di ciascuna università ha elaborato proprie griglie di domande, con proprie priorità e proprie scale di valutazione, rendendo comparazioni interuniversitarie (o interfacoltà) impossibili. Inoltre la formulazione delle domande è spesso stupida in modo imbarazzante: per dire, nel questionario che somministro agli studenti da diversi anni a questa parte non viene richiesto di specificare il nome del docente; si dirà, che questo va da sé, visto che i corsi sono assegnati a docenti specifici. Purtroppo ciò non è precisamente vero, in quanto in molte realtà il docente nominale non è il docente reale, che è invece un assistente (anonimo fungente…). Ancora: nel suddetto questionario si chiede se le lezioni del docente sono conformi alla preparazione dello studente, attribuendo una valutazione massima in caso di piena conformità, ed una minima nel caso in cui le lezioni risultino troppo difficili rispetto alla preparazione dello studente. Inutile dire che la piena conformità corrisponde alla lezione più elementare possibile. Inoltre, i questionari vengono compilati frettolosamente dagli studenti (che ne sanno l’inutilità), con talune conseguenze divertenti: il sottoscritto, ad esempio, si ritrova ogni anno valutato da circa un quarto degli studenti per un laboratorio che non tiene.
In conclusione, i questionari di valutazione, così come la valutazione della ricerca che sarà attribuita all’ANVUR, sono questioni cruciali per lo sviluppo prossimo venturo dell’università, ma proprio per ciò bisogna stare ben vigili circa come tali valutazioni verranno concretamente realizzate. L’impressione, temo, è che una volta ancora ci si limiterà al confezionamento di uno slogan (la Valutazione; i docenti sotto esame, ecc.) senza guardare se non distrattamente all’implementazione di criteri efficaci, con le solite sciagurate conseguenze all’italiana: sotto lo slogan ideologico, sotto il ‘vestito di idee’ (Ideenkleid) niente…
Caro Matteo
ritorno su questo blog per curiosità (è la prima volta in assoluto che scrivo un intervento su uno strumento del genere), leggo i tuoi interventi e vorrei risponderti.
Sono intervenuto per solidarizzare e non per incensare la De Monticelli per un fatto, diciamo così privato, che in questi giorni mi ha rattristato molto. Fino a qualche giorno fa non sapevo nemmeno chi fosse la prof e non mi occupo di filosofia (la dimestichezza che ho con questa Disciplina è paragonabile a quella che può avere un esquimese con un albero di banano): sono un medico, lavoro in ospedale ed i mei rapporti con “il mondo dell’Università” si sono chiusi ormai da oltre 20 anni da quando cioè, preso il mio secondo diploma di specializzazione, mi fu fatto capire che non c’era posto per me. (ma ho continuato a fare ricerca al di fuori di essa e con soddisfacenti risultati- questo lo dico a Giuliana Mandirola di cui ho apprezzato molto l’intervento ed a cui auguro, parafrasando Indiana Jones, “fortuna e gloria” ).
Fatta questa premessa vengo al dunque: noi terroni durante le vacanze ritorniamo nella nostra terra d’origine, e come di solito succede si riannodano i fili con le proprie origini. La sera prima della lettera della Prof ero a cena con molti parenti che non vedevo da tempo. C’erano molti giovani quasi tutti universitari e tutti, indistintamente, alla mia domanda su cosa volessero fare dopo mi hanno risposto che non vedevano l’ora di andare via dall’Italia “perchè qui non c’è futuro per gente come noi che non siamo nessuno”. Io non ho saputo cosa rispondere, la mattina dopo leggendo il giornale ho letto l’intervento della Prof De monticelli e non ho potuto non ringraziarla
buona fortuna
Non ho mai brillato per una ottimistica visione della storia e della natura umana. Come docente ho combattuto però contro me stessa per non lasciarmi andare al mio pessimismo dell’intelligenza mentre parlavo ai miei giovani ascoltatori. Ho coltivato comunque la convinzione che un intellettuale abbia il dovere di sporcarsi le mani, di mettersi in discussione confrontandosi con i paradossi della storia, con le sfide poste dal suo tempo. Niente torre d’avorio, specie per chi si interessa di epistemologia, di metodo della conoscenza, di criteri di analisi ed esplorazione della verità (significhi quel che si vuole). Portare l’amore, o almeno il rispetto, per la conoscenza fra i potenziali (e non) abbrutiti della tv spazzatura è forse impresa disperata, ma è anche un dovere cui non possiamo sottrarci. Mi ha molto deluso l’atteggiamento di Massimo Cacciari. Per quel che ne so (senza conoscerlo personalmente) è un buon navigatore, tra i primi ha saputo costruirsi addosso un “personaggio” televisivamente efficace. Si è giocato senza risparmiarsi come politico e pensatore senza allinearsi. Forse ora è stanco, forse ha voglia di sistemarsi. Lo posso capire, ma mi piaceva di più quando mediava di meno. Un apprezzamento per gli interventi pieni di calore, di passione e positività di Carla Poncina e un grazie che non ha più bisogno di spiegazioni alla prof.ssa De Monticelli. Il coraggio della verità, una volta tanto.
Solo due righe, per dire che condivido profondamente quanto ha scritto Zhok riguardo la valutazione dei docenti attraverso questionari: vorrei ooservare, anzitutto, che è vero, che gli studenti, magari non tutti, sanno cogliere il senso di una lezione complessa, anche se, proprio per questo motivo, questa impone loro di ritornare sui propri appunti, di approfondirne la struttura con qualche lettura in più. Solo che questi aspetti sono proprio quelli che i questionari, in generale, trascurano, puntando quasi esclusivamente sulla immediata fruibilità dei contenuti: tale aspetto è particolarmente limitante, e limitato, nella facoltà umanistiche, dove il gusto per l’articolazione minuta del passaggio logico, così essenziale in una corretta esposizione di un problema teorico, sembra non far più parte del lavoro espositivo del docente. La cosa è paradossale perchè uno studente di matematica, di fisica, di chimica o di ingegneria, pone una particolare attenzione al modo in cui si snocciolano i passaggi in una dimostrazione, in una reazione chimica, o nel calcolo di una derivata. Spia di questa irrefrenabile tendenza al peggio è il fiorire di un’insulsa letteratura di tipo manualistico, che produce spesso appiattenti introduzione tematiche, che non vengono mai svolte fino in fondo, valendosi di criteri tassonomici o di caricature concettuali, che producono lo stesso risultato del vecchio nozionismo, edulcorandolo un poco.
In un quadro teso a minimizzare i contenuti, e la fatica che ne accompagna l’elaborazione legando nell’attività intellettuale docente a studente, il gesto di Roberta De Monticelli ha un senso forte, e profondo. Un piccolo sussulto che sembra opporsi alla tendenza che mi sembra dominare il pensiero che guida l’articolazione della vita universitaria secondo i sensi della recente riforma approvata in Senato, dove il sistema universitario rischia di implodere non tanto per l’apertura al privato, che potrebbe avere delle valenze positive, ma nel pesante accorpamento didattico che toglie di colpo quelle specificità che la riforma del 3 + 2 ha saputo, purtroppo, solo mimare.
Voglio ringraziare la professoressa De Monticelli, la quale con coraggio e consapevolezza ha ritenuto opportuno assumere una chiara posizione di distanza e distacco dagli episodi sgradevoli che hanno riguardato la cerimonia della laurea di Barbara Berlusconi.
La scelta di difendere la propria posizione di docente tout court non solo ha rinforzato l’immagine dell’Università San Raffaele, ma soprattutto ha ricordato ai cittadini, che vivono storditi in un mondo contraddistinto dal potere, dal denaro, dall’apparire, la serietà ed il valore intrinseco degli studi e dello studio, a maggior ragione di carattere filosofico. La reazione della docente è stata importante. Così i cittadini italiani si sentono meno soli e isolati, grazie.
Ritornato dalla vacanze esprimo la mia solidarietà a Roberta De Monticelli. Del resto è proprio di questo che si sente la mancanza: coerenza, buoni esempi.
@ Stefano Cardini: cosa significa il suo commento circa la virtù di ammaliare di Carlo Sini? Piana filosofo più grande di Sini? Non diciamo castronerie. Sini sarebbe una specie di sofista? Se lei avesse studiato meglio Platone, saprebbe che la filosofia è un esercizio “erotico” che deve per sua natura usare fascinazione.
Caro P.B. (visto che si firma così…). Significa quel che ho scritto, ma che evidentemente Lei non ha inteso. Ognuno, anche in filosofia, può avere le preferenze che crede, naturalmente, pur essendo tenuto generalmente a darne conto. L’espressione “castroneria”, però, che mi ricordi, non mi pare faccia parte del repertorio, anche platonico, delle argomentazioni. Non saprei quindi come controbattere alle sue affermazioni, diciamo, di merito. A parte questo, in fondo un dettaglio risibile, il mio commento, che so condiviso da moltissimi miei compagni di studi e amici allievi di Carlo Sini, non intendeva “prendere parte” per lui o per Giovanni Piana, peraltro a loro volta amici di antica data, ma evidenziare come siano tanti gli elementi che possono entrare a far parte del “giudizio” degli studenti sul “valore” di un filosofo, incluse idiosincrasie stilistiche e comprensibili entusiasmi goliardici. Per noi, in effetti, era un gioco di società, peraltro dialetticamente utile, confrontarci con uno spirito da ultrà con i nostri compagni “siniani”. Il mio commento, pertanto, non era altro che un affettuso omaggio a una rivalità costruttiva, condivisa con molti amici. Spero che ora tutto le sia più chiaro. Platone, comunque, vale sempre la pena rileggerlo. Su questo concordo con Lei. I miei più cordiali saluti.
È così, pur se certe cose riportate propongano ulteriori questioni…
Sono daccordo, anche se alcune cose scritte propongano ulteriori considerazioni!