Su due versanti principali oggi la discussione filosofica, che sempre interpella i fondamenti del sapere, investe il mondo degli studi e delle scienze giuridiche.
Uno – forse oggi più in vista nel dibattito pubblico, specie italiano ma non soltanto – è il versante che potremmo chiamare meta-giuridico, e forse anche pre-politico della normatività. È quello investito dalla magna quaestio dei principi che stanno alla base degli ordinamenti giuridici e dell’attività legislativa, configurando le moderne costituzioni. La questione dello status di questi principi, della loro relazione con i valori, della loro storicità o razionalità/ragionevolezza, della loro giustificazione o delle ragioni per dubitare che ve ne sia una. Questione che investe anche principi come quelli della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (o di altre Carte) che, come scriveva Jeanne Hersch, «non sono ancora il diritto, e non sono ancora la morale… Sono alla fonte di ciò che può diventare diritto o morale».
L’altro versante del sapere giuridico – che come ogni ramo del sapere è scosso e toccato dall’avanzata odierna delle neuroscienze – è invece quello del diritto penale, che è oggi portato alla superficie della pubblica consapevolezza da casi e sviluppi recenti, come il “caso di Trieste” – ovvero una sentenza, la prima in Europa, con la quale si è giunti l’anno scorso a riconoscere l’intero beneficio della semi-infermità mentale sulla base non più di una semplice perizia psichiatrica, ma di una perizia genetica e neurobiologica condotta da due eminenti neuropsicologi italiani (Giuseppe Sartori e Pietro Pietrini).
Per diverse che siano le questioni sollevate sui due versanti, tanto che si potrebbe credere che il riferimento alle “scienze giuridiche” non sia sufficiente a “tenere insieme” i filoni di ricerca corrispondenti, è invece importante rendersi conto delle ragioni per cui da entrambi i dibattiti in atto vengono alla ricerca filosofica sollecitazioni complementari, e preziose proprio nella loro complementarità. Attraverso i due ordini di questioni, sui fondamenti della nostra convivenza civile e sulla natura della colpevolezza, ciò che viene ad essere indagato oggi sono le due facce del nostro essere persone: la faccia rivolta alla società e quella rivolta alla natura. D’altra parte, non sorprendentemente, i due ordini di questioni si intrecciano costantemente: è a livello di Costituzione (Art. 27 comma 1) ad esempio, che si stabilisce il principio che “La responsabilità penale è personale” – e si opta quindi effettivamente per una delle possibilità filosoficamente aperte di definire la responsabilità penale (se si volessero trarre le conseguenze estreme di un’ipotesi naturalista sulla condizione di persona, ad esempio, o di un’ipotesi consequenzialista sulla funzione della pena, si potrebbe rigettare il principio di personalità della responsabilità penale).
Una ricerca sulle fonti della normatività, e non solo giuridica ma anche etica, si vede rinviata ad alcune questioni cruciali che investono i concetti di valore, responsabilità, libertà, norma, ma anche quelli di potere, diritto, obbligo, impegno… Sono solo alcuni dei concetti che punteggiano il territorio della ragione pratica, che ha giurisdizione sulla più gran parte della vita delle persone umane in quanto tali (soprattutto per l’inadeguatezza potenziale di ogni suo momento, per la nostra esperienza del disvalore, dell’irresponsabilità, della coazione, dell’anomia, dell’impotenza, dei diritti negati, degli obblighi elusi, degli impegni inevasi…). Da ciascuno degli ambiti di discussione che questi concetti delimitano, partono due vie: l’una indaga i limiti e le condizioni di esercizio della ragione pratica nel supporto naturale, biologico e neurobiologico della nostra vita; l’altra indaga le entità, le istituzioni, gli abiti di cui il mondo sociale è fatto (Making the Social World è il titolo dell’ultimo libro di J.R. Searle, intorno al quale farà perno la Summer School che il nostro Phenomenology Lab organizzerà nel prossimo anno accademico, come la natura del corpo e della mente erano al centro di The Phenomenological Mind di S. Gallagher e D. Zahavi, intorno a cui si è svolta la nostra Winter School di quest’anno).
Apriremo questo canale di discussione con alcuni materiali e alcune riflessioni a partire dal Caso di Trieste: vorremmo che questo fosse solo l’inizio di una discussione interdisciplinare seguita e alimentata da studiosi e ricercatori di tutte le discipline menzionate – da quelle giuridiche, a quelle neuroscientifiche, a quelle filosofiche.
Commenti recenti